Gli indizi di un risorgente protezionismo erano apparsi con chiarezza mesi addietro, quando un Rapporto dell'Ue mise in guardia contro i rischi derivanti da misure restrittive su export e appalti pubblici decise dai paesi emergenti. I Bric - Russia, Brasile, Cina e India - ne erano i principali responsabili, ma anche l'Argentina mostrava già di essere della partita. Con il
perdurare della crisi internazionale gli emergenti sembrano decisi a chiudersi in difesa delle proprie risorse, nonché ad accelerare i programmi di industrializzazione e import substitution.
Perciò, di fronte alla recente nazionalizzazione di Ypf da parte della presidente argentina Kirchner, è difficile sfuggire a una sorta di déjà vu che induce a riesaminare l'esperienza del passato. Sebbene la presenza delle imprese italiane in Sudamerica risalga alla fine dell'Ottocento, negli anni fra le due guerre, i nuovi investimenti diretti all'estero furono sovente una reazione al ritorno del protezionismo e al naufragio della cooperazione fra Stati.
Fra i grandi gruppi italiani, Pirelli decise di attivare la produzione in loco nel Subcontinente per gli effetti attesi dalle nuove barriere doganali, e altrettanto fecero le concorrenti americane Goodyear e Firestone. In Argentina la presenza di imprese italiane trasse inoltre un forte impulso, alla fine degli anni '40, dagli ambiziosi piani per l'industrializzazione voluti da Peron, in particolare nella meccanica e della siderurgia. In quelle circostanze Agostino Rocca, ex grande manager della siderurgia di Stato, dopo aver lasciato l'Italia per il Sud America, avviò l'espansione della Techint, oggi uno dei più potenti gruppi industriali del Subcontinente. D'altra parte, il recente accordo fra Fiat e governo argentino per la produzione di macchine agricole tecnologicamente avanzate, tramite la controllata Cnh, ripercorre nelle linee di fondo il modello di intervento manifatturiero a suo tempo delineato dalla Fiat Concord, che venne creata per la produzione di trattori con una partecipazione di minoranza dello Stato argentino nel 1954.
Fra i grandi gruppi italiani, Pirelli decise di attivare la produzione in loco nel Subcontinente per gli effetti attesi dalle nuove barriere doganali, e altrettanto fecero le concorrenti americane Goodyear e Firestone. In Argentina la presenza di imprese italiane trasse inoltre un forte impulso, alla fine degli anni '40, dagli ambiziosi piani per l'industrializzazione voluti da Peron, in particolare nella meccanica e della siderurgia. In quelle circostanze Agostino Rocca, ex grande manager della siderurgia di Stato, dopo aver lasciato l'Italia per il Sud America, avviò l'espansione della Techint, oggi uno dei più potenti gruppi industriali del Subcontinente. D'altra parte, il recente accordo fra Fiat e governo argentino per la produzione di macchine agricole tecnologicamente avanzate, tramite la controllata Cnh, ripercorre nelle linee di fondo il modello di intervento manifatturiero a suo tempo delineato dalla Fiat Concord, che venne creata per la produzione di trattori con una partecipazione di minoranza dello Stato argentino nel 1954.
Nei decenni '50 e '60, in uno scenario dominato dal bipolarismo politico Est-Ovest e segnato dalle nuove istanze dei paesi in via di sviluppo, le imprese italiane non mancarono di rispondere alle sollecitazioni che provenivano dai governi di quelle aree. In India, per esempio, l'impostazione dirigistica della politica economica nazionale, con i piani quinquennali, aveva dettato le regole per gli investimenti esteri in entrata con una politica altamente selettiva e dando la preferenza ad accordi di proprietà a maggioranza locale. Molte industrie strategiche furono inserite nel settore pubblico e si aumentarono incentivi finanziari per attrarre i progetti industriali anche di importanti imprese italiane come l'Olivetti.
Cosa insegnano queste esperienze? In generale, che l'acquisizione di una identità "nazionale" per i propri insediamenti in loco da parte delle grandi multinazionali manifatturiere, al fine di dare maggiori garanzie ai propri investimenti esteri, non è una novità, e può produrre vantaggi per l'impresa e il paese ospitante. Diverso è il discorso per le Pmi che sugli scenari internazionali devono essere doppiamente sostenute: da una rete finanziaria e informativa, nonché da una forte determinazione dell'autorità politica italiana ed europea.
A fare le spese di questa nuova fase di arroccamento degli Stati emergenti, ricchi di - o affamati di - materie prime e risorse energetiche come il petrolio, saranno infatti gli Stati europei e la Ue. Le nuove tendenze nazionalistiche che derivano da un'economia mondo divisa per "arcipelaghi" e continenti sono l'effetto dei nuovi scenari aperti dalla globalizzazione senza regole dei mercati che ha tratto impulso dalla fine della contrapposizione politica fra Est ed Ovest, dalla perdita di efficacia della leadership americana e dalla debolezza delle istituzioni internazionali come la Wto.
Perciò è quanto mai urgente una vera leadership politica europea che sappia approntare le azioni di difesa e intraprendere le innovazioni, innanzitutto con una politica energetica comune, per traghettare l'Europa fuori dalla secche del risorgente protezionismo mondiale.