15 maggio 2012
Domenica a Roma si è svolta la seconda Marcia Nazionale per la Vita. Era la prima volta nella capitale, ed è stato un grande successo: 15.000 persone che marciano sotto il cielo perfettamente azzurro di Roma, per contestare senza compromessi e sfumature la legge 194, quella che nel 1978 ha reso lecito l’aborto volontario in Italia. Il colpo d’occhio che ne è venuto fuori è stato impressionante: un corteo interminabile, dominato dalle bandiere di decine, forse centinaia di associazioni, e pullulante di cartelli espliciti. Cartelli che ricordavano le cifre dell’aborto legale in Italia – più di 5 milioni di vittime in trent’anni – e che andavano al cuore del problema: ogni aborto comporta l’uccisione di un essere umano. I politici? Alcuni hanno aderito con convinzione, come ad esempio De Lillo, Gasparri, Binetti, Oliveri, Magdi Cristiano Allam. Ma non è stata la politica a “inventare” l’iniziativa. E non è stata nemmeno la Chiesa, che pure è stata al fianco dei manifestanti attraverso le decine di autorevolissime adesioni di Cardinali e di vescovi, e alla presenza fisica nel corteo del Cardinale Leo Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica.
La Marcia è stata, realmente, una genuina espressione di popolo. Sul palco, a parlare davanti al Colosseo, la figlia di santa Gianna Beretta Molla; una scelta eloquente, che richiama la testimonianza di una mamma che è morta per dare alla luce la sua creatura, all’interno di una nitida prospettiva di fede.
E’ buona regola non sopravvalutare mai le manifestazioni di piazza: la folla spesso dà alla testa, crea impressioni distorte, evoca prove muscolari. Insomma, si presta a interpretazioni discutibili. Ma chi domenica era presente in mezzo a quei 15.000 ha visto un corteo molto diverso da tutti gli altri, perché il popolo che lo ha animato è diverso. E’ quel “popolo della vita” di cui parlava Giovanni Paolo II nell’enciclicaEvangelium Vitae. Un popolo molto variegato, nel quale si agitano anime, storie, tendenze, sensibilità anche molto diverse fra loro. Migliaia di persone, di famiglie, di giovani, di gruppi organizzati, provenienti da tutta Italia, e dalla Polonia, dalla Germania, dalla Francia e da altri Paesi. Ognuno con il proprio striscione, i propri manifesti, il proprio stile. Questo dato formale è fondamentale per capire la novità di questa manifestazione, e per coglierne tutta la forza dirompente: una coalizione per la vita, molto più ampia e molto più larga di qualunque singola associazione istituzionalizzata. Chi non è capace di accogliere questa varietà e questa ricchezza dimostra di avere un cuore chiuso, e di non saper allargare le prospettive. Peggio ancora chi vorrebbe stabilire una sorta di “patente” o di certificato per consentire solo ad alcuni di manifestare per il diritto alla vita. Non si era detto che l’importante è capire dove uno vuole andare, senza chiedergli da dove viene? E allora, perché non applicare a tutti questo criterio “dialogante” quando si organizza una Marcia per la vita? Possibile che nel 2012 possa ancora funzionare il vecchio trucco con cui nel ‘68 si chiudeva la bocca ai non allineati, soprattutto ai cattolici, accusandoli di essere “fascisti”?
La Marcia per la Vita è un evento che in Italia mancava da decenni, in una sorta di lungo letargo durante il quale il mondo pro life è rimasto nelle catacombe. Lavorava, ma quasi di nascosto. E, soprattutto, taceva, o preferiva parlare solo “in positivo”, evitando toni decisi e fermi contro l’aborto, contro la legge 194, contro la fecondazione artificiale. E tacendo, rischiava di smarrire di giorno in giorno la sua ortodossia, e di perdere la voglia di opporsi senza se e senza ma a leggi come quelle sull’aborto, o sull’eutanasia.
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