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sabato 22 ottobre 2011

Mubarak piange per Gheddafi

da: La Stampa

Choc e crisi di nervi dopo aver visto le foto del Colonnello insainguinato e spaventato

Si è messo a piangere e ha avuto una vera e propria crisi isterica l’ex presidente egiziano Honsi Mubarak quando, dal suo letto d’ospedale, ha visto le foto di Muammar Gheddafi insanguinato e poi esanime, ucciso dai miliziani del Consiglio nazionale transitorio libico a Sirte il 20 agosto. Lo riferiscono fonti mediche dell’ospedale militare del Cairo dove l’ex presidente egiziano è ricoverato mentre è in corso un processo contro di lui per aver ordinato di sparare contro i manifestanti a Piazza Tahrir.

La reazione di Mubarak alla vista delle foto del cadavere di Gheddafi ha richiesto l’intrevento dei medici, che gli hanno somministrato dei calmanti, come riferisce il giornale egiziano el-Fagr sul suo sito Internet. L’esercito, invece, ha rafforzato la presenza degli uomini della scorta nei pressi del nosocomio, per evitare che qualcuno possa essere spinto dalla fine di Gheddafi a uccidere anche Mubarak. Dopo la fine di Gheddafi anche altri leader tremano. L'attuale presidente siriano Bashar al è alle prese con la rivolta dagli esiti più cruciali per gli equilibri di tutto il Medio Oriente. Lo dimostra il pesante bilancio di vittime - oltre 3.000 secondo i numeri al ribasso dell’Onu - di una sanguinosa repressione condotta dalle forze lealiste in modo indisturbato da sette mesi. Sull’opportunità o meno di un intervento straniero in Siria non c’è un consenso internazionale e, a parte la Turchia, tutti i Paesi vicini compreso Israele sembrano avere più da perdere che da guadagnare da un’eventuale caduta degli Assad. Da qui il permanere dello squilibrio delle forze in campo tra manifestanti e disertori da una parte, e lealisti dall’altra.

Lo stallo è evidente anche nel lontano Yemen, la cui stabilità è cruciale per gli equilibri della Penisola Araba, del Corno d’Africa e per i lucrosi traffici che passano tra Suez e Oceano Indiano. Il presidente Ali Abdallah Saleh, ferito gravemente a giugno in un attentato a Sanaa nel mezzo di massicce proteste popolari in parte represse nel sangue (oltre 450 morti da febbraio scorso), è tornato a sorpresa nelle scorse settimane dopo esser stato ricoverato a Riad. Nonostante il precario stato di salute del rais in carica da 31 anni, il potere è ancora in mano ai suoi figli e nipoti, a capo delle forze d’elite, dei servizi di sicurezza e della guardia repubblicana. I manifestanti non smettono però di protestare, aprendo il Paese a ulteriori scenari di instabilità, già presenti a nord (ribelli sciiti), a sud (secessionisti), nelle regioni orientali e occidentali (presunte cellule di al Qaida). Apparentemente soffocata è invece la rivolta in Bahrein, regno nel Golfo Persico dominato da una casata sunnita in carica da 40 anni e sotto influenza sunnita, ma abitato da una maggioranza sciita corteggiata dal vicino Iran. I moti di febbraio e marzo (decine di morti), domati con l’intervento delle truppe di Riad, sono sopiti solo in superficie, e i recenti incidenti avvenuti nella confinante provincia saudita di Qatif, anch’essa abitata per lo più da sciiti, tiene in forte allarme i sauditi. La primavera araba ha investito in maniera meno significativa anche l’Alegeria, il Marocco, l’Iraq, l’Oman e la Giordania.

Ma in questi Paesi - quasi tutte monarchie - le autorità sono riuscite per il momento a sedare le proteste con un misto di regalie e repressione. Dando però l’impressione di aver solo rimandato la resa dei conti. Che è ancora aperta, a Tunisi, al Cairo e a Tripoli, dove la caduta dei rispettivi rais non ha certo significato la fine delle rivoluzioni, ma solo il loro tormentato inizio.


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