Visitare la mostra “In Cammino” di Alessandra Giovannoni (Museo Carlo Bilotti di Roma, dal 11 marzo al 8 maggio 2011) è una vera e propria passeggiata tra le vedute di una Roma pacifica, assolata e lenta di una qualsiasi giornata d’estate. Piazza del Popolo, il Pincio, Villa Borghese, Piazza del Quirinale divengono le protagoniste dei principali lavori eseguiti dall’artista romana tra gli anni Novanta e oggi, e riuniti in questa esposizione, per la prima volta accolta da una sede istituzionale dell’arte italiana. Insomma, la Giovannoni è entrata nella storia dell’arte e lo ha fatto con la naturalezza di chi non si è mai distratta dalla propria ricerca artistica, intima e personale.
Alessandra Giovannoni, nata a Roma nel 1954, diplomatasi all’Accademia delle Belle Arti, è tra i protagonisti di quel ritorno alla pittura che ha come soggetto privilegiato la città, il paesaggio e la realtà circostante. Fin dagli anni Ottanta è stata indicata come giovane promessa dell’arte italiana da alcuni dei nomi più importanti della critica italiana, come Lorenza Trucchi, Marisa Volpi, Maurizio Calvesi, Fabrizio D’Amico e Lea Mattarella. E il motivo di tanto interesse lo si comprende immediatamente osservando i suoi lavori. La Giovannoni possiede lo spazio e ce lo dimostra continuamente presentandoci luoghi familiari trasfigurati in scenari metempirici, invasi da una luce che muta con il trascorrere delle ore e dei giorni; uno spazio sospeso, immobile, dilatato, a volte, fino a restituirne una visione amplificata che altera il luogo d’origine per trasformarlo in un altro possibile. Altro che non diviene non-luogo ma piuttosto meta-luogo. L’artista esplicita così il doppio livello di percezione dello spazio, ciò che fa parte della memoria e ciò che appartiene alla coscienza del presente, infrangendo i condizionamenti che ci frenano dal conoscere ciò che è, per comprendere finalmente che percepire non è ricordare.
Le piazze capitoline divengono agorà contemporanee, percorse da figure silenziose raccolte nelle loro azioni semplici ma mai banali, protagoniste inconsapevoli di un mondo costruito attraverso luci e ombre. Istantanee di una percezione totale resa attraverso un lungo lavoro di costruzione tono su tono, nel quale ogni pennellata diviene un passo avanti nella definizione di una sintassi personale, amalgamata da una chimica mentale che fa fondere questi materiali in un tutto compatto, coerente con la visione che Alessandra ha avuto in quel momento.
Momenti vissuti, percepiti e interiorizzati attraverso interminabili passeggiate dalle quali sono nati schizzi e annotazioni che ne fissano l’ora, il giorno, il mese per cercare di precisare sempre più la sensazione di quell’attimo di luce che si è scelto. Nulla è mai identico nello scorrere perpetuo del tempo, eppure ogni attimo assurge a frammento di un’eternità. E quale luogo, se non Roma, può raccontare meglio il concetto di aeternĭtas, mediante la coesistenza della traccia del presente con la memoria del passato e il movimento di ciò che è prossimo?
Quel momento in cui il sole è talmente forte che piazza del popolo diviene rosa, l’acqua delle fontane capitoline viola, i muri di marmo paiono color ocra come le mura di una città affacciata su un mare blu che in verità è cielo, e citando una poesia dell’artista Marco Lodola:
Villa Borghese quasi non esiste / I cancelli difendono una luce / che si fa prato e acqua e innamorati: / luce dipinta, e tutto il resto è mondo.
La pittura della Giovannoni mostra le contraddizioni dell’epoca attuale, dominata dalla potenza del digitale che ha riconfigurato le modalità di creazione e fruizione dell’arte, spostando l’attenzione dall’oggetto al medium e mettendo in atto una teatralizzazione dell’esperienza artistica che, regalandoci esperienze preconfezionate, spoglia la percezione della sua funzione essenziale che è quella di rivelare l’oggetto. Poiché in fondo, citando le parole del filosofo Maurice Merleau-Ponty, tutto ciò che esiste, esiste come cosa o come coscienza.
Nessun commento:
Posta un commento