RIMINI - Se Lorenzo Jovanotti ha un merito, e non è da poco, è quello di avere il talento della spugna. Assorbe e fa proprio tutto ciò che gli passa a tiro e lo stuzzica. E il nuovo tour ne è la testimonianza diretta della voglia di crescere, di capire, di migliorare, di stupirsi: «Stasera ho perfino cantato bene» dice dopo il debutto, seduto al tavolo di un ristorante di Riccione. L’aria è soddisfatta, la tensione della prova dal vivo si è sciolta, il più è fatto. Racconta Jovanotti: «Per questo show mi sono immaginato come un crooner elettronico, un Dean Martin o un Sammy Davis sulla luna. Sono due cantanti formidabili, come del resto Frank Sinatra. In qualche modo mi sono ispirato a loro. A Sammy Davis ho copiato pure le scarpe di strass». Sorprendente, ma l’ispirazione non conosce confini. E non finisce qua: «Per il palco ho chiamato il designer dei Linkin park, perché avevo visto il loro spettacolo e m’era piaciuto il tentativo di rompere con l’idea solita dei musicisti disposti come su un altare». Ancora: a un certo punto sul megaschermo ad altissima risoluzione scorrono le proteste del Cairo, le donne a piazza del Duomo, il gaypride di Rio: «Di utilizzare quei filmati me l’ha suggerito You tube, dove un ragazzo aveva inserito un video di La notte dei desideri con le immagini dell’Iran. L’ho chiamato e gli ho detto, ti rubo l’idea».
E c’è anche un piccolo furto nell’archivio di casa: le immagini da bambino scovate in un super 8 girato dal padre. E’ fatto così Jovanotti, altrimenti il ragazzotto che cantava «E’ qui la festa» con la zeppola in bocca non sarebbe diventato uno dei personaggi di prima linea della nostra pop music, uno che può vantarsi di fare spettacoli con l’ambizione d’essere all’avanguardia. Così eccolo, l’altra sera al 105 Stadium di Rimini (zeppo come un uovo, con 7000 spettatori), fare fuoco e fiamme con un concerto spettacolare, a tratti lungo, musicalmente generoso che comincia in modo rutilante, con mezz’ora secca di techno che bombarda il pubblico pescando nei materiali dell’ultimo album, «Ora», pezzi come «Megamix», «Falla girare», «La porta è aperta». Mentre il palco che rinuncia al classico led («ce l’hanno pure a Sanremo») fa sfoggio di uno schermo che sdoppia e avvolge il corpo di Lorenzo di gomitoli di raggi laser. «Questo è un concerto per il futuro, non sul passato», assicura. E, allora, mani affondate nel nuovo materiale (13 pezzi dall’ultimo cd), mentre gli hit (ci sono, comprese «Penso positivo», «Ombelico del mondo», «Ragazzo fortunato» e le ballad «A te», «Mi fido di te», «Baciami ancora») sono confinati nella seconda parte, dove c’è pure spazio per un set acustico (con «Piove», «Bella», «Fango»). Insomma una prova ambiziosa dal punto di vista estetico e da quello fisico visto che corre come un disperato e non ha mai il fiatone («ho il preparatore di Pantani e Alonso e faccio 40 minuti di jogging ogni mattina»). A un certo punto, vestito di bianco, rosso e verde, Jovanotti canta «Io danzo», baccanale ritmico, estensione dell’antico «Penso positivo» che intona «Ci rubano le password/Ci frugano nel bancomat/... /Ci perquisiscono/Eppure non mi sono mai sentito così libero», mantra spericolato coi chiari di luna che ci circondano, ma Lorenzo, quello di Emergency, delle lotte, ha una nuova filosofia: «Resto di sinistra, ma non me la sento in questo clima di fare teatro sociale o parlare a chi è già d’accordo. Se volessi fare la lista dei motivi che ci sono per essere tristi sarebbe assai più lunga di quelle di Fazio e Saviano. Invece voglio parlare a chi non è convinto, non ne posso più delle egemonie culturali. John Milius è un uomo di destra, ma è un regista che adoro. Alla fine dello spettacolo brandisco una spada dorata come un Alberto da Giussano o un Orlando furioso, quello è il simbolo del riscatto». Il tour di Lorenzo proseguirà, per ora, fino a metà luglio. In buona parte è già sold out, farà quattro tappe a Milano e due alla curva sud dell’Olimpico, l’8 e il 9 luglio: «Si, avrei potuto anche farne una sola con tutto lo stadio, ma non mi sento pronto. Sarei andato in agitazione». A giugno il tour si interrompe perché deve tornare in America: «Mi hanno invitato al popolarissimo Bonnaroo festival nel Tennesse, non voglio mancare».
E c’è anche un piccolo furto nell’archivio di casa: le immagini da bambino scovate in un super 8 girato dal padre. E’ fatto così Jovanotti, altrimenti il ragazzotto che cantava «E’ qui la festa» con la zeppola in bocca non sarebbe diventato uno dei personaggi di prima linea della nostra pop music, uno che può vantarsi di fare spettacoli con l’ambizione d’essere all’avanguardia. Così eccolo, l’altra sera al 105 Stadium di Rimini (zeppo come un uovo, con 7000 spettatori), fare fuoco e fiamme con un concerto spettacolare, a tratti lungo, musicalmente generoso che comincia in modo rutilante, con mezz’ora secca di techno che bombarda il pubblico pescando nei materiali dell’ultimo album, «Ora», pezzi come «Megamix», «Falla girare», «La porta è aperta». Mentre il palco che rinuncia al classico led («ce l’hanno pure a Sanremo») fa sfoggio di uno schermo che sdoppia e avvolge il corpo di Lorenzo di gomitoli di raggi laser. «Questo è un concerto per il futuro, non sul passato», assicura. E, allora, mani affondate nel nuovo materiale (13 pezzi dall’ultimo cd), mentre gli hit (ci sono, comprese «Penso positivo», «Ombelico del mondo», «Ragazzo fortunato» e le ballad «A te», «Mi fido di te», «Baciami ancora») sono confinati nella seconda parte, dove c’è pure spazio per un set acustico (con «Piove», «Bella», «Fango»). Insomma una prova ambiziosa dal punto di vista estetico e da quello fisico visto che corre come un disperato e non ha mai il fiatone («ho il preparatore di Pantani e Alonso e faccio 40 minuti di jogging ogni mattina»). A un certo punto, vestito di bianco, rosso e verde, Jovanotti canta «Io danzo», baccanale ritmico, estensione dell’antico «Penso positivo» che intona «Ci rubano le password/Ci frugano nel bancomat/... /Ci perquisiscono/Eppure non mi sono mai sentito così libero», mantra spericolato coi chiari di luna che ci circondano, ma Lorenzo, quello di Emergency, delle lotte, ha una nuova filosofia: «Resto di sinistra, ma non me la sento in questo clima di fare teatro sociale o parlare a chi è già d’accordo. Se volessi fare la lista dei motivi che ci sono per essere tristi sarebbe assai più lunga di quelle di Fazio e Saviano. Invece voglio parlare a chi non è convinto, non ne posso più delle egemonie culturali. John Milius è un uomo di destra, ma è un regista che adoro. Alla fine dello spettacolo brandisco una spada dorata come un Alberto da Giussano o un Orlando furioso, quello è il simbolo del riscatto». Il tour di Lorenzo proseguirà, per ora, fino a metà luglio. In buona parte è già sold out, farà quattro tappe a Milano e due alla curva sud dell’Olimpico, l’8 e il 9 luglio: «Si, avrei potuto anche farne una sola con tutto lo stadio, ma non mi sento pronto. Sarei andato in agitazione». A giugno il tour si interrompe perché deve tornare in America: «Mi hanno invitato al popolarissimo Bonnaroo festival nel Tennesse, non voglio mancare».
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