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martedì 22 febbraio 2011

Contagio e infezione

di: il Foglio

“Resterò in Libia e morirò da martire”, dice Gheddafi. Ma la sua sorte dipende da clan e mercenari

Muammar Gheddafi ha parlato alla nazione, l’ultimo tentativo per fermare la rivolta che scuote la Libia da Tripoli alla Cirenaica. “Morirò da martire come i miei nonni, non lascerò questa terra – ha detto nel lungo messaggio trasmesso dalla tv di stato – Ho realizzato la gloria del popolo libico, un piccolo gruppo di terroristi non sarà la scusa per far arrivare nel paese gli americani”. Rivolgendosi ai ribelli, ha minacciato di “ripulire la Libia casa per casa. Consegnate subito le armi e i poliziotti catturati. Abbiamo bisogno di stabilità e di sicurezza”. Il colonnello ha lanciato un avvertimento ai paesi stranieri che, a suo dire, avrebbero fornito “razzi Rpg ai ragazzi di Bengasi”. In passato, ha detto, “abbiamo sfidato l’arroganza dell’America e della Gran Bretagna e non ci siamo arresi. Anche l’Italia è stata sconfitta sul suolo libico”. Gheddafi ha parlato da una delle sue case di Tripoli, la stessa che fu bombardata dai caccia americani nel 1986 e che oggi è un monumento nazionale. Dopo la minaccia di trasformare Bengasi in una nuova Tiananmen, il colonnello ha promesso l’inizio delle riforme – a partire dalle “autonomie regionali” – e la distribuzione dei proventi petroliferi.

Il discorso non ha fermato gli scontri. Gli oppositori dicono di controllare mille chilometri di costa, mentre decine di testimoni assicurano che le strade di Tripoli sono ormai “un campo di battaglia”. Al Jazeera riporta che le tribù ribelli hanno sottratto all’esercito il controllo dei confini. Il gasdotto Greenstream, che rifornisce l’Italia, è stato bloccato a Nalut. Per al Arabiya, i morti sono “più di mille”. Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha ribadito ieri la condanna delle violenze.

Il destino del rais dipende dalla tenuta dell’apparato militare, che sarebbe sul punto di crollare. Uno dei pochi dati certi di questa rivolta è lo scarso contributo dell’esercito alla repressione. A Bengasi, almeno due brigate dell’esercito sono passate dalla parte  dei rivoltosi. Una soltanto, la al Sibyl, combatteva anche ieri agli ordini di Gheddafi. Le defezioni avrebbero indotto Gheddafi a mettere agli arresti domiciliari il capo di stato maggiore, Abu Bakr Yunis Jaber, e il suo vice, El Mahdi El Arabi. Due dei dodici Mirage F1 sono atterrati martedì a Malta, e altri due hanno raggiunto la base di Bengasi che aderisce alla rivolta. I piloti si sono rifiutati di compiere raid contro i manifestanti, anche se pare che la gran parte delle incursioni aeree sia soprattutto volta a distruggere i depositi di armi nelle zone sotto il controllo dei rivoltosi.
La Valletta sarebbe la destinazione di una nave militare salpata ieri e manovrata da ufficiali disertori, come dice il quotidiano Times of Malta: la nave sarebbe ora seguita dalla corvetta italiana Fenice. Gheddafi ha costituito fin dagli anni Settanta un sistema di difesa popolare che, in caso d’invasione, avrebbe trasformato ogni cittadino in un combattente. Il colonnello, del resto, ha sempre diffidato dei militari: già nel 1971, due anni dopo il golpe contro re Idris, costituì i Comitati popolari, una milizia paramilitare composta da 40 mila fedelissimi che rappresenta la manovalanza dei servizi di sicurezza interni. Le due strutture sono sotto il controllo di parenti di Gheddafi o di membri del suo stesso clan.

L’appartenenza tribale è un requisito decisivo nelle forze dell’ordine. I posti di pilota dell’aeronautica, di ufficiali nelle brigate missilistiche e della Guardia sono assegnati ai membri del clan del raìs. Tutti gli altri ufficiali che affiancarono Muammar Gheddafi nel golpe del 1969 sono stati eliminati o costretti a fuggire all’estero. Nel 1985 alcune brigate dell’esercito e un reparto di Mig dell’aeronautica tentarono di rovesciare il regime, ma il piano fu scoperto e una sessantina di ufficiali furono giustiziati. Dodici anni più tardi, la rivolta del Gruppo militante islamico libico fu soffocata sulle colline del Gebel el Akhdar soprattutto da un migliaio di mercenari serbi reclutati tra i reduci della guerra in Bosnia – appoggiati da cacciabombardieri Mig ed elicotteri d’attacco pilotati da mercenari russi e ucraini.

I mercenari sono una presenza costante nelle Forze armate libiche, servono ad addestrare i reparti e a mantenere efficienti i mezzi. Oggi sembrano costituire uno dei più importanti strumenti di repressione nelle mani del regime. Il loro numero pare inferiore ai 35 mila stimati dall’opposizione. Tra loro ci sarebbero ex poliziotti tunisini e algerini, anche se per la gran parte si tratterebbe di volontari arruolati dagli agenti libici nei paesi del Ciad e in Mauritania, dove Gheddafi ha sempre trovato manovalanza per la sua legione straniera.

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