La Missione è quella di creare un'associazione tra la Comunicazione e la Cultura. Spesso questi due ambiti non si incontrano (il comunicatore non fa vera cultura e l'accademico non sa comunicare in modo efficace). Noi vorremmo far incrociare i due binari per portarli a formarne uno unico.

Vorremmo stimolare l'aspetto critico del fruitore, per comunicare cultura e per acculturare la comunicazione.

Questo Blog vuol essere un punto di riferimento per articoli d'informazione giornalistica-scientifico-culturale-economica.

Qui potrete trovare ogni tipo d'informazione e saremo lieti di stimolare un sano e doveroso dibattito per ogni singolo articolo, con il fine d'incrociare nel massimo rispetto di pareri ed opinioni diversi tra loro, per giungere così ad una proposta d'incontro tra i molteplici aspetti di una società multiculturale

mercoledì 29 giugno 2011

Povera Famiglia Cristiana

di: La Bussola Quotidiana

se vuoi leggere il precedente articolo di denucia clicca qui

C’è un vecchio modo di dire – “la toppa è peggiore del buco” – che si adatta perfettamente al settimanale Famiglia Cristiana. Alcuni giorni fa, in relazione allo scandaloso rapporto tra l’UNICEF e il “filosofo” animalista Peter Singer, avevamo rilevato, tra l’altro, che Famiglia Cristiana aveva pubblicizzato con enfasi il seminario svoltosi a Roma in cui Singer veniva presentato come un testimonial della filantropia. Ovviamente senza neanche porsi il problema di chi fosse Singer e, men che meno, delle attività dell’UNICEF.

La vicenda non deve essere passata inosservata a molte persone, perché in data 27 giugno sul sito di Famiglia Cristiana è apparsa la risposta a una “serie” di mail di protesta in cui si accusa non si sa bene chi di campagne strumentali volte a screditare Famiglia Cristiana. E già questo, professionalmente, è un gran brutto segno. Se il settimanale dei Paolini ha la certezza di campagne organizzate ai suoi danni, dica chiaramente chi è che le organizza e a quale scopo, sennò si limiti ai contenuti senza patetici vittimismi. Il diritto di critica vale anche nei confronti degli articoli di Famiglia Cristiana.
Ma passiamo ai contenuti, appunto. E qui la cosa si fa molto più seria, per non dire sconcertante:
“Veniamo accusati – lamenta l’articolo – di aver esaltato come filantropo il filosofo australiano Peter Singer, favorevole all’aborto”. Bugia pietosa. Nessuno se l’è presa con Singer perché favorevole all’aborto, ma perché è il teorico dell’infanticidio, è colui che ritiene persona umana solo gli esseri umani con certe caratteristiche, ovviamente decise da lui; perché tutte le altre categorie – malati, handicappati, neonati – possono essere uccisi, anzi sarebbe meglio ucciderli. Questo è Singer, non semplicemente un filosofo che incidentalmente è favorevole all’aborto. Perché fare i furbi in questo modo?

Così come quando si sostiene che Famiglia Cristiana non ha esaltato Singer come filantropo, ma ha semplicemente detto che è “filosofo ed esperto di bioetica, docente a Princeton, autore di saggi tradotti in trenta lingue in tutto il mondo”. “Una riga e mezza di pura cronaca – aggiunge il settimanale dei paolini -. Nessuna esaltazione di Singer, né come filantropo né in altra veste, ma il minimo dei dati personali e professionali”. Peccato che quella “riga e mezzo di pura cronaca” era preceduta e seguita da una serie di affermazioni – riprese dall’UNICEF – che ne esaltavano l’attività filantropica che doveva servire da esempio anche agli italiani (non a caso il titolo dell’articolo di Famiglia Cristiana era “L’UNICEF a caccia di filantropi”).

Non solo: nascondere informazioni importanti riguardo al soggetto che si presenta è pura disinformazione. Non si pretende il gossip, ma Singer non è famoso nel mondo per la sua attività filantropica e basterebbe mettere il suo nome su un motore di ricerca per esserne informati. Se Famiglia Cristiana fosse coerente, dal prossimo numero ci dovremmo aspettare che presenti Silvio Berlusconi semplicemente come “un cittadino italiano residente ad Arcore, appassionato di televisione e tifoso del Milan”: una riga e mezzo di pura cronaca.

Il capolavoro poi è la difesa dell’iniziativa UNICEF, affidata a una nota dello stesso presidente UNICEF Italia, Vincenzo Spadafora, organizzatore dell’evento romano: “L’UNICEF Italia, insieme a Luiss e Unindustria, ha invitato Peter Singer per il suo noto impegno filantropico, riconosciuto a livello internazionale e praticato in prima persona. L’iniziativa non va in alcun modo ritenuta una condivisione, da parte nostra, di affermazioni fatte da Singer in contesti differenti da quello della filantropia, in particolare sul concetto di persona umana e sull’universalità dei diritti del bambino. Su questi temi l’UNICEF fa riferimento esclusivamente alla Convenzione sui diritti dell’infanzia e agli altri documenti sui diritti umani sanciti dall’Onu”.

Se si seguisse questo ragionamento, ci si potrebbe dunque aspettare – ad esempio - anche un invito a Erich Priebke, qualora l’ex gerarca nazista invitasse a versare contributi all’UNICEF. Il che non significherebbe, ovviamente, condividere le idee dell’ex criminale nazista su razza e trattamento dei nemici.  Un ragionamento davvero curioso: l’UNICEF dovrebbe proteggere i bambini, Singer vuole eliminare fisicamente i bambini malati, ma siccome invita a dare i soldi all’UNICEF allora va bene.

E sì, perché bisogna sapere che Singer ha messo a servizio dell’UNICEF il suo spirito filantropico, che pure dovrebbe sollevare qualche dubbio morale, visto che il filosofo australiano teorizza che non offrire soldi alle agenzie umanitarie equivale moralmente all’omicidio. Ma all’UNICEF, evidentemente non si va tanto per il sottile: devono essere rimasti ammaliati da quell’articolo scritto da Singer nel 1999 sul New York Times Magazine in cui sostiene appassionatamente la causa dell’UNICEF al punto da affermare che non dare soldi a questa agenzia che lavora per i bambini equivale, ad esempio, a rapire un bambino per venderlo ai trafficanti di organi pur di avere i soldi per comprare un televisore. Pensiamo un po’ cosa significherebbe se un tale principio fosse fatto proprio da uno stato.

E forse a Famiglia Cristiana, dovrebbero meditare sul fatto che allo scopo di salvare la vita dei bambini poveri, Singer sostiene anche che non bisognerebbe mettere al mondo altri bambini: questi infatti costano e distolgono fondi per salvare quelli che già ci sono e soffrono la fame. Hanno un’idea a Famiglia Cristiana di come si faccia ad evitare di mettere al mondo altri bambini? Lo diciamo perché nell’articolo in questione Famiglia Cristiana rivendica una lunga tradizione a difesa della vita.

Ma soprattutto ci piacerebbe  capire perché ogni volta che si mette in discussione l’UNICEF, il settimanale dei paolini rinuncia a dare spiegazioni lasciando la parola all’UNICEF stessa. L’ultima volta era successo lo scorso dicembre (no. 52/2010): un lettore scrive scandalizzato perché Famiglia Cristiana ospita la pubblicità dell’UNICEF visto che l’agenzia dell’Onu ha da tempo cambiato indirizzo e sostiene campagne per contraccezione e aborto. Non solo, il lettore sa che la Santa Sede da tempo non versa più il contributo all’UNICEF proprio per protesta contro questa deriva dell’agenzia, e chiede ragione al direttore di Famiglia Cristiana. Il quale però preferisce lasciare la risposta al solito presidente di UNICEF Italia, il quale dice che no, figurarsi, non promuove né contraccezione né aborto e, ovviamente, con la Chiesa tutto bene.

Allora, ci chiediamo: visto che il ritiro del contributo della Santa Sede all’UNICEF fin dal 1996 è cronaca (anche meno di una riga e mezzo) e che le proteste dei lettori di Famiglia Cristiana per questo rapporto con l’agenzia dell’Onu sono ricorrenti, a Famiglia Cristiana non hanno un giornalista che faccia il suo mestiere e vada ad indagare su cosa c’è di vero riguardo alle attività dell’UNICEF e sul perché della posizione della Santa Sede? E si prenda poi la responsabilità di dirlo ai lettori?
Oppure i soldi in pubblicità che entrano dall’UNICEF sono così fondamentali da passare sopra a tanti dettagli?

sabato 25 giugno 2011

Peter Falk Morto: a 83 anni il Tenente Colombo ci dice addio…

di: Donna 10


Come dicevo poco fa con una mia collega, queste sono notizie che in un modo o nell’altro ti segnano. Non importa se seriamente o in tono ironico. Non conta se per cinque secondi o se per un’intera giornata. Sta di fatto che toccano un particolare pensiero e sentimento dentro di noi. Peter Falk non è uno di quegli attori cinematografici che tutti conoscono bene (a meno che non si tratti di cinefili). La sua meravigliosa interpretazione in Angeli Con La Pistola, ad esempio, è stata forse riconosciuta ed esalta nella Hollywood di quegli anni (1961), ma nel complesso e a livello globale Falk è sempre stato “solo” il Tenente Colombo. E questo ruolo ha fatto la sua fortuna, riconoscendogli una bravura che (purtroppo) era un po’ costipata nel piccolo schermo, ma che l’ha reso grande e immortale, facendolo entrare a pieno diritto nel cuore e nella testa di milioni di persone. Tanto da arrivare a “perdere” il suo vero nome, di bocca in bocca, indicato più velocemente come “Colombo” e basta. Sarà stato gratificante per lui? O l’avrà vissuta come una sorta di maledizione? Il classico personaggio che non riesci più a staccarti di dosso e che penalizza qualsiasi altra interpretazione tu voglia fare…

La giovinezza di molti, comunque, è stata caratterizzata dalla sua presenza in tv nei panni di questo tenente che perennemente vestito del suo impermeabile, con il sigaro pendente da un lato della bocca o incastrato fra le dita, ha risolto infiniti casi di omicidio. E mentre noi continuavamo a seguire le sue avventure poliziesche, mentre tanti nascevano, crescevano e venivano a conoscenza di tale personaggio grazie alle infinite repliche che venivano mandate in onda e che ancora adesso trasmettono (e che probabilmente, ora che lui è morto, manderanno ancora in futuro), il nostro Peter invecchiava e si ammalava di Alzheimer. Una malattia, si sa, che ti avvolge nelle sue spire come un boa gigante, privandoti man mano di tutto e riducendoti a una strana e commovente ombra di te stesso.

Giusto qualche anno fa avevano fatto il giro del mondo le foto che lo ritraevano in quel di Los Angeles (non troppo lontano dalla sua villa di Beverly Hills) sporco e trasandato che se la vagava per le strade instato confusionale, urlando frasi senza senso. La figlia ne aveva poi chiesto l’affidamento (e mi pare il minimo) andando a immergersi in una battaglia legale con la seconda moglie di lui, ma un qualcosa si era rotto per sempre, specie nel nostro immaginario di fan che impotenti osservavamo il suo tracollo.

Un declino arrivato troppo presto e troppo violentemente. Perchè per noi, come per tutti, Peter Falk era un uomo che non si arrendeva, scovando assassini ovunque con acume e ironia ne Il Tenente Colombo. Il simpatico mafioso in Angeli Con La Pistola. Se stesso ne Il Cielo Sopra Berlino. Il mitico Sam Diamante in Invito A Cena Con Delitto. Un nonno che legge una fiaba al nipotino ne La Storia Fantastica.
Peter Falk è morto a 83 anni nella sua villa di Beverly Hills, il 23 giugno 2011. Ad annunciarlo è stata la rete televisiva Cbs. Un’altra stella del firmamento cinematografico si è spenta, ma in qualche modo continuera a brillare. Perchè al contrario della maggior parte della gente, un attore ha paradossalmente una chance di vita in più grazie ai ruoli interpretati, comparendo in eterno sul piccolo e grande schermo, tenendoci compagnia e mostrandosi al mondo ogni volta che avremo voglia di vederlo…

Tv e Etica

di: Etica Televisiva

Perché la TV non piace ai giovani? E perché per andare a trovare qualcosa di gustoso bisogna andare a frugare nelle TV "minori"? Rispondere a queste domande è lo scopo della presente raccolta di commenti a spettacoli televisivi degli ultimissimi mesi. 

Certo, la TV generalista deve arginare piuttosto che proporre, e questo è il suo grande limite. Deve evitare orrori, e questo già è tanto, ma in quanto a vere proposte...
 
Dunque dobbiamo imparare a leggere la TV nascosta, grati a chi riesce a salvarci dall'orrore che potrebbe entrare in quella generalista, ma critici verso palinsesti sbilanciati a favore dello sport e a sfavore dell’informazione sui disabili; verso TG che parlano solo di disastri; in cui c’è più spazio  per l’oroscopo e alle previsioni del tempo che  per i bisogni. Ma non lo vedono il mondo che cambia?

Si vedono solo bimbi belli, giovani senza brufoli, anziani arzilli e tanta pubblicità. E anche qualcosa, raro, di vero valore, ma davvero poco, e ancor più poco il racconto di esempi di valore, coraggio, forza. E soprattutto, si vede poco racconto, ma tanti discorsi: la gente non è fatta parlare, ma funziona come pubblico e basta. La verità si spiega da sola, invece sembra che per la nostra TV tutto debba essere spiegato, non  importa da quale pulpito, perché si deve acquisire il plauso. Questo quando va bene, altrimenti bastano gli strilli per far acquisire l'audience, in un meccanismo che travolge anche chi lo fa, pur dotato di professionalità alta e in qualche caso di alto senso etico.

Abbiamo raccolto questi commenti, o “inviti alla lettura” dei singoli programmi, pubblicati su vari quotidiani, scritti proprio con questo metodo: far vedere cosa c’è al fondo, mostrare il vuoto dove c’è il vuoto. Far vedere come si può far buona TV e come invece si potrebbe migliorare.


Un recente documento dell’American Accademy of Pediatrics (pubblicato su Pediatrics nel settembre 2010) mostra tutti i rischi per i minori che vengono dall’abuso di TV. Il documento raccomanda, tra l’altro, di far sparire i massmedia elettronici (TV e PC) dalle camerette dei bimbi e di non oltrepassare le 2 ore davanti a PC e TV. Guardiamoci in casa e domandiamoci: siamo dentro o fuori questi minimi consigli?

Ma sono i bambini gli unici ad essere a rischio per il bombardamento mediatico? Pensiamo noi adulti di essere al sicuro? Non ci rendiamo conto che avendo messo al centro della stanza più importante della casa il televisore come un moderno simulacro, intoccabile e obbligatorio, abbiamo realizzato la profezia di Orwell, che prevedeva un controllo capillare casa per casa da parte del Big Brother? Una ricerca inglese del 2005, riporta Sue Palmer in “Toxic Childhood” ha mostrato che due terzi dei bambini tra due e dodici anni guardano TV senza supervisione. Aggiunge anche che la tv può aiutare i bambini a conoscere altre culture e modi di pensare. Insomma, c’e di che star attenti, ma anche di che trarre buona farina. 

venerdì 24 giugno 2011

Come risolvere il problema delle intercettazioni

di: Il Foglio

Pubblicarle, vietarle, cancellarle, non farle. Ecco tutto quello che hanno detto e che abbiamo scritto sulla riservatezza delle comunicazioni
"Il problema c'è. Come procedere sarà un elemento di riflessione. Lo scandalo è la pubblicazione di intercettazioni che attendono per lo più alla vita politica e privata di singoli individui. E' un gioco al massacro che va fermato". Sono le parole che il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha detto dopo che il caso del deputato del Pdl, Alfonso Papa, coinvolto nell'inchiesta "P4", ha fatto tornare centrale il tema delle intercettazioni. Anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, oggi ha manifestato la sua contrarietà alla pubblicazione indifferenziata di materiale non rilevante ai fini penali: "La pubblicazione di conversazioni politiche, perché di questo si trattava, è assolutamente indegno e illegale". Anche Giuliano Ferrara, in un editoriale sul Giornale domenica scorsa, si è chiesto: "Il processo di piazza alla politica è fatto senza neanche un reato. Perché nessuno si indigna?".
Il Foglio si era occupato del problema delle intercettazioni lo scorso anno, quando i grandi giornali di informazione conducevano una battaglia contro la legge – presentata dalla maggioranza al governo – di regolamentazione sugli ascolti e sulle loro pubblicazioni. In particolare, con un post-it ricordava ai lettori gli articoli che secondo Repubblica non si sarebbero potuti scrivere se fosse stata in vigore la "legge bavaglio". Il direttore, Giuliano Ferrara, aveva detto la sua in un editoriale, chiedendosi: "Chi vi dice, cari colleghi, che l’eliminazione di quegli articoli sia un danno alla libertà e al giornalismo libero?".
E' esattamente quello che ha ricordato oggi il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlando delle centinaia di pagine di intercettazioni pubblicate in conseguenza del caso Bisignani e alla presunta loggia "P4". Alfano ha detto: "Tutte le intercettazioni che leggiamo oggi sui giornali, oltre a non essere penalmente rilevanti, non sono gratis. Il debito accertato nei confronti delle ditte e degli operatori telefonici è di un miliardo di euro".
Da una piccola inchiesta condotta dal Foglio su come funziona il sistema delle intercettazioni nel mondo era emerso, lo scorso anno, che l'Italia "è il paese più intercettato del mondo”, con 76 intercettazioni ogni 100.000 abitanti". Inoltre, i colleghi stranieri, "messi alle strette", avevano ammesso che all'estero la pubblicazione delle telefonate altrui è normata molto, molto diversamente.  In una lettera Luigi Amicone ci ricordava come anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, prima di cavalcare l'onda di sputtanopoli fosse contrario all'uso indiscriminato delle intercettazioni.
Il principio liberale e costituzionale della riservatezza delle comunicazioni, perno della privacy, era stato oggetto di un appello fogliante, al quale avevano aderito molti intellettuali e politici. Poi Marina Valensise ci aveva raccontato la nascita di quel principio bistrattato: a Boston, nel 1890. Come scriveva Ferrara nel 2008, "la privacy è una zona di rispetto che circonda l’individuo e lo garantisce da ogni forma di indebita intrusione esterna. Senza privacy una società libera non esiste".
Anche il presidente dell'Autorità Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, nella sua relazione annuale di questa mattina, ha toccato il tema delle intercettazioni e dei media: "Molto di più può essere fatto in Italia per dare autorevolezza alla libertà di stampa, alla giustizia e alla politica. Sono necessarie però alcune condizioni di fondo. La prima che i giudici esercitino il loro ruolo sempre e solo nei processi. La seconda che anche per le persone pubbliche abbiano la garanzia di processi in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze di giustizia, e allo stesso tempo accettino di rendere conto dei loro comportamenti ai cittadini e agli elettori nel dibattito pubblico. La terza, che gli operatori dell'informazione rispettino rigorosamente le responsabilità e i principi della loro professione".

D'accordo anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Siamo solo all'inizio di un cambiamento epocale di cui è difficile comprendere fino in fondo tutte le possibili implicazioni, è necessario prendere atto che il concetto di privacy, così come è stato concepito in passato, non esiste più. E' soprattutto il difficile adeguamento del passaggio dalla carta al Web che costringe a interrogarci su quali debbano essere i limiti alla libertà di immettere, nel circuito globalizzato di internet, dati sensibili che non rivestono carattere di urgenza e di indifferibilità".

Leggi La P4, il caso Bisignani e il "retroscenismo verbalizzato" da Cerazade - Leggi Intercettazioni, tutto come un anno fa dal blog Cambi di stagione

L'UNICEF sponsorizza il «boia dei neonati»

di: La Bussola Quotidiana

UNICEF e Peter Singer: nulla di più incompatibile, si direbbe a prima vista. L’UNICEF è infatti l’agenzia dell’Onu che si occupa (o perlomeno dovrebbe occuparsi) della tutela dei bambini, Peter Singer è invece il filosofo animalista che teorizza l’infanticidio. Cosa possono avere in comune?
Eppure la realtà ci dice che UNICEF e Peter Singer vanno d’amore e d’accordo al punto che UNICEF Italia ha sponsorizzato lo scorso 20 giugno una conferenza di Singer alla LUISS, libera università romana, con il patrocinio anche di Unindustria, l’unione degli industriali del Lazio. L’intervento di Singer, addirittura, inaugurava un ciclo di conferenze dell’UNICEF dedicato alla filantropia. Dunque non si è trattato di un incontro casuale.

Per apprezzare meglio la scelta dell’UNICEF, è bene spiegare chi sia l’ospite d’onore. Australiano, professore di filosofia, Peter Singer è autore di diversi volumi su temi di bioetica e diritti degli animali, anche se, e ci tiene a precisarlo, «non ama gli animali» e non ha mai tenuto in casa cani o gatti. Eppure Singer è il principale teorico dell'animalismo. Il suo libro “Liberazione animale” (1975, mentre del 1991 è la sua traduzione italiana) è stato tradotto in sei lingue e viene considerato il manifesto del movimento animalista mondiale.

Partendo dal presupposto che ci sono esseri umani che ancora non soffrono, non possono soffrire o non sono più in grado di soffrire, il filosofo animalista ha preso chiaramente posizione a favore dell'utilizzo di embrioni umani come cavie al posto di animali per l'eventuale verifica della tossicità dei farmaci. Per giustificarsi Singer ha sostenuto che l'embrione nelle prime settimane di vita non prova dolore. Il filosofo australiano non si limita soltanto a sostenere la sperimentazione sugli embrioni o sui comatosi (per il fatto che essi comunque non soffrono), ma giustifica moralmente la soppressione di quei neonati con malformazioni tanto gravi da far ritenere che la loro vita sia priva di ogni valore. Ha scritto il filosofo australiano: «Quando la vita di un bambino sarà così penosa da non valere la pena di essere vissuta [...] se non ci sono ragioni "estrinseche" per tenere il bambino in vita - come i sentimenti dei genitori - è meglio ucciderlo». E ancora: «Quando la morte di un neonato malformato conduce alla nascita di un altro bambino con migliori prospettive di una vita felice, la quantità totale di felicità sarà maggiore se il bambino malformato viene ucciso. La perdita di vita felice per il primo bambino è superata dal guadagno di una vita felice per il secondo, pertanto se uccidere un bambino emofiliaco non ha effetti spiacevoli su terzi, sarebbe giusto ucciderlo secondo il punto di vista dell'utilitarismo totale. Uccidere un neonato con malformazioni non è equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato».

In Etica pratica Singer scrive: «Il fatto che un essere sia un essere umano... non è rilevante all'immoralità dell'ucciderlo; sono piuttosto caratteristiche quali la razionalità, l'autonomia e l'autocoscienza che fanno la differenza. Neonati con malformazioni mancano di tali caratteristiche. Pertanto ucciderli non può essere posto sullo stesso piano dell'uccidere esseri umani normali, o qualsiasi altro essere autocosciente».

Possiamo citare anche qualche altra perla da un'intervista allo stesso Singer pubblicata da Il Foglio (11 marzo 2008): “Anche se il bambino potrà avere una vita senza eccessiva sofferenza, come nel caso della sindrome di Down, ma i genitori pensano che sia un peso eccessivo per loro e vogliono averne un altro, questa può essere una ragione per ucciderlo”. “E’ un diritto ragionevole lasciar morire i malati neurovegetativi perché essi sono simili agli infanti disabili, non sono esseri coscienti, razionali, autonomi, la loro vita non ha valore intrinseco, il loro viaggio è arrivato alla fine”. “I feti, i bambini appena nati e i disabili sono non-persone, meno coscienti e razionali di certi animali non umani. E’ legittimo ucciderli”.

E al New York Times dichiarava tra l’altro: “L’idea di attribuire a tutti un uguale diritto alla vita, è un’arma a doppio taglio. Se la vita con quadriplegia (paralisi) è buona come la vita senza paralisi, non c’è alcun beneficio di salute a curarla”.

Alla base di questo pensiero “illuminato” c’è la distinzione tra essere umano e persona che Singer sviluppa. Secondo il filosofo animalista, infatti, la nostra civiltà usa erroneamente i due termini in modo analogo. Per Singer invece essere umano è un concetto che si riferisce alla specie, mentre persona è un concetto che si riferisce all’essere umano con certe qualità caratteristiche. Caratteristiche che peraltro non sarebbero specifiche del solo essere umano, Singer parla infatti anche di “animali personali”. Tali caratteristiche si riassumono in: razionalità, autocoscienza e anche – ma in misura minore – capacità di provare piacere e dolore e di interagire con l’ambiente.

A questo punto viene da domandarsi: come mai l’UNICEF se la fa con un personaggio che potrebbe tranquillamente essere nominato “il boia dei neonati”, un soggetto che sembra un sopravvissuto del nazismo?

Semplicemente perché l’UNICEF ormai da un ventennio non è più quella meritoria organizzazione che ha contribuito a salvare molti bambini da fame e malattie. Non che tutto ciò che fa l’UNICEF sia cattivo, intendiamoci: tuttora, in diversi paesi sponsorizza programmi meritevoli di sostegno, ma ad essere messa in discussione è la direzione generale dell’organizzazione e la partecipazione a diversi progetti che hanno come obiettivo il controllo delle nascite, nella logica eugenetica che ispira Singer. Tanto è vero che la Santa Sede, dopo anni di avvertimenti, dal 1996 non versa più il suo contributo all’UNICEF per il sostegno alla diffusione di contraccezione e aborto nei paesi poveri. Uno dei motivi è il rifiuto dell’organizzazione di dichiarare in modo trasparente la precisa destinazione dei fondi ricevuti.

Non è soltanto un problema “morale” sollevato dalla Chiesa cattolica, tanto è vero che nel 2004 fu la rivista scientifica britannica Lancet ad affermare – dati alla mano – che l’UNICEF è diventata uno dei maggiori ostacoli per la sopravvivenza dei bambini nei paesi in via di sviluppo. Per Lancet la svolta negativa dell’UNICEF si è avuta nel 1995 con la nomina (volta dall’amministrazione Clinton) alla direzione dell’agenzia di Carol Bellamy che ha provveduto a dirottare su progetti per i “diritti delle donne” i fondi che sarebbero serviti per la sopravvivenza dei bambini. I dati riportati da Lancet dimostravano che 600mila bambini morivano ogni anno per cause assolutamente prevedibili malgrado la disponibilità di interventi efficaci a basso costo. Addirittura la mortalità in alcuni paesi poveri è aumentata, mentre l’UNICEF si preoccupa di promuovere la salute riproduttiva.

E non è che il cambio alla direzione dell’UNICEF, avvenuto sei anni fa, abbia cambiato un granché la situazione. La direzione è sempre quella eugenetica, e quanto avvenuto questa settimana a Roma lo dimostra: la vita dei bambini non vale in sé, ma a certe condizioni. E ormai non ci si preoccupa neanche più di nasconderlo, la cultura è così cambiata che un’agenzia internazionale nata per tutelare l’infanzia non si vergogna neanche di presentare in pompa magna il “nuovo Mengele”.

E il bello è che a fare pubblicità a questo incontro è stata anche “Famiglia Cristiana”, che con l'UNICEF ha un rapporto "commerciale" e secondo cui Peter Singer è un filantropo.

Complimenti al settimanale cattolico. 

giovedì 23 giugno 2011

La luce nell’arte: un fascino eterno

di: L'Ottimista - Michela Di Stefano


Tutta la storia dell’arte sembrerebbe, ad uno sguardo attento, un tentativo di interpretare i fenomeni che regolano e influenzano la vita dell’uomo sulla terra. Lo spazio, il tempo, il movimento, l’assenza – dimensioni ritenute scontate dalla mentalità comune – sono da sempre state delle mete agognate nella ricerca degli artisti. E tra i temi cruciali che hanno impegnato i protagonisti dell’arte di ogni tempo, quello della luce è stato forse il compito più difficile da portare a termine, superato solamente dai grandi della storia. In quest’ottica bisognerebbe infatti leggere l’anelito degli artisti bizantini del VI secolo a rivestire intere pareti delle chiese con mosaici di oro zecchino che, grazie alla luce esterna filtrata dalle finestre, creavano un maestoso effetto di riflessi luminosi, degno di una ‘dimora’ terrestre di Dio. E come chiamare, se non templi di luce, le maestose cattedrali gotiche che, per mezzo delle immense vetrate colorate e istoriate, creavano al proprio interno un caleidoscopico rimando di luce divina?

La peculiarità dell’uso della luce nella strutturazione dell’architettura viene approfondita, infatti, proprio nel Medioevo, dove ogni manifestazione della realtà veniva interpretata come immagine del divino. Così la luminosità diveniva segno concreto del manifestarsi del trascendente nella storia. E ancora nel ‘600, un genio assoluto come Caravaggio, che ha basato tutta la sua ricerca artistica sul tentativo di riprodurre il vero in ogni sua più intima piega, ha individuato nella luce lo strumento di indagine, mezzo di significazione esso stesso, immagine tangibile della grazia; luce che illumina avvenimenti che si pongono al limite tra il conoscibile e l’imponderabile. E ancora, percorrendo il corso dei secoli, incontriamo nell’800 uno dei movimenti che ha rivoluzionato l’approccio dell’arte alla realtà: l’Impressionismo. Tale movimento, decidendo di dipingere en plein air, ha infatti spostato l’attenzione dalla mimesi del reale alla percezione che si ha di questo attraverso la luce, per catturare, appunto, l’impressione che ne riceviamo. Dunque l’uscita dal chiuso dello studio all’aria aperta, sembrerebbe essa stessa una rivoluzione, uno studio su come ‘sentiamo’ le cose, piuttosto che su come le pensiamo. Facendo un paragone ardito, lo stesso mito della caverna di Platone, metafora del processo di liberazione dell’uomo dagli stereotipi per acquisire (o contemplare?) la vera conoscenza, non è altro che il volgere dello sguardo verso la vera luce, piuttosto che sulle ombre proiettate da questa sulle parete.

Dunque, sicuramente, dove c’è luce non c’è solo vita, ma c’è anche bellezza, verità  e conoscenza. Non dimenticandoci inoltre, che il primo movimento significativo di avanguardia in Italia è stato il Futurismo, che ha fatto dello studio sulla luce, assieme a quello sul movimento, uno dei cardini della propria poetica, tanto che i suoi componenti non disdegnavano di nominarsi come Signori della luce.

La stessa invenzione della fotografia, che potrebbe sembrare una frattura insanabile nei confronti del modo tradizionale di fare arte, ne è forse la più logica conseguenza, non essendo altro che una ‘scrittura di luce’ (foto-grafia). Il riferimento alla Luce diviene, anche se in maniera indiretta, il tema centrale della 54° edizione della Biennale di Venezia (inaugurata una settimana fa) curata da Bice Curiger, che ha voluto intitolare ILLUMInazioni le sue scelte artistiche per la prestigiosa mostra. Titolo che ha subito riportato alla mente una frase del collezionista Panza di Biumo: “L’arte vissuta fino in fondo è maestra di vita, poiché ci insegna a vivere attraverso le sue illuminazioni”. E luce sia.

Il 2011 è l’anno delle foreste

di: L'Ottimista


Un anno per evidenziare l’importanza e i benefici delle foreste del nostro Pianeta ed evitare così conseguenze peggiori, a partire dal disboscamento selvaggio. È questo l’intento dell’Onu che ha proclamato il 2011 “Anno Internazionale delle Foreste”.

Le foreste presenti sul nostro Pianeta rappresentano il 30% delle terre emerse. In Italia occupano oltre un terzo del territorio. A causa del disboscamento selvaggio ogni giorno spariscono circa 350 kmq di verde. Per poter riflettere al meglio sull’argomento, l’Assemblea Generale dell’Onu ha proclamato il 2011 come Anno dedicato alle Foreste. Numerosi i benefici che ci regalano quotidianamente questi straordinari spettacoli paesaggistici: oltre a consentire la vita di diverse creature di tutto il mondo, aiutano l’intera umanità a sopravvivere, fornendo sostentamento a 1,6 miliardi di persone (quasi un quarto dell’intera umanità), rappresentando il più grande deposito di carbonio al mondo.

Per tutto l’anno, dunque, il mondo si impegna a riconoscere l’importanza vitale di una vita sana per tutti i popoli attraverso questa grandissima risorsa. L’evento si posiziona nel “Decennio della Biodiversità” che inizia quest’anno e finirà nel 2020. “I diritti ad usare e trarre beneficio dalle risorse forestali spesso non vengono tenuti nella giusta considerazione” afferma il rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao). Nel report viene evidenziato come l’industria forestale possa essere parte di un’economia “più verde”, facendo uso di risorse con una maggiore sostenibilità: utilizzando materiali di scarto, aumentando l’efficienza energetica e riducendo le emissioni. Lo scorso anno quasi il 40% del totale della produzione forestale è derivato da carta riciclata, scarti di legno e fibre non legnose. Una percentuale che si spera possa arrivare al 45% nel 2030, principalmente in Cina ed India.

Il rapporto della Fao sottolinea la necessità dei governi di adottare leggi per i cosiddetti carbon rights (http://redd-net.org/themes/carbon-rights), assicurando così una equa distribuzione di costi e benefici dai programmi Redd+ (http://www.un-redd.org/AboutREDD/tabid/582/Default.aspx). Sarà importante piantare foreste ed alberi ai fini della protezione ambientale, per produrre reddito e aiutare le popolazioni povere che vivono in paesi aridi e soggetti alla siccità. Il rapporto cita, come esempi positivi, quello dello sviluppo e della conservazione delle mangrovie in Bangladesh, la prevenzione degli incendi boschivi nelle Samoa ed i programmi di rimboschimento ad Haiti. Lo scorso 22 maggio è stata celebrata la giornata della Biodiversità e il 5 giugno la giornata Mondiale dell’Ambiente.

Dal rapporto del WWF si evince come politici e imprese debbano porsi degli obiettivi audaci per fermare la perdita delle foreste, combattendo i cambiamenti climatici. Il nostro Paese, ad esempio, che è uno dei primi importatori di legno e derivati dal bacino del Congo, è ancora poco “responsabile” in termini di partecipazione alla sostenibilità del mercato dei prodotti forestali. Da qui la necessità di rinnovare o assumere impegni tangibili a sostegno della tutela del patrimonio forestale. Se non si interviene in tempi brevi, oltre 230 milioni di ettari di foresta scompariranno entro il 2050.

Veronesi difende i gay: «Quello omosessuale è l’amore più puro»

di: Corriere della Sera

La risposta al sindaco di Sulmona (aberrazione sessuale) e a quello di Bologna che tutela le coppie sposate


MILANO - «Quello omosessuale è l'amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione». Così l'oncologo ed ex ministro della Sanità, Umberto Veronesi, risponde alle polemiche scatenate in questi giorni dalle dichiarazioni del sindaco di Bologna, Virginio Merola, e a quelle del sindaco di Sulmona, Fabio Federico. Federico aveva equiparato certi tipi di omosessualità ad una «aberrazione sessuale», mentre Merola aveva lanciato un'iniziativa per la tutela «delle coppie sposate» a dispetto di quelle di fatto, omosessuali comprese. «Io, come potete immaginare - ha detto Veronesi, a margine di una conferenza per presentare la sua iniziativa "The future of science" - la penso all'opposto: l'omosessualità è una scelta consapevole e più evoluta. L'amore omosessuale è quello più puro»; in quello eterosessuale, invece, una persona direbbe «io ti amo non perché amo te, ma perché in te ho trovato la persona con cui fare un figlio. Nell'amore omosessuale invece non accade: si dicono "amo te perché mi sei vicino, il tuo pensiero, la tua sensibilità e i sentimenti sono più vicini ai miei". Quindi sono sul fronte opposto anche ideologicamente rispetto a Merola».

LA SESSUALITÀ - Per l'oncologo, poi, «è difficile dire se la chimica abbia un ruolo nella sessualità. Avere qualcosa di chimico dentro vorrebbe dire che uno è predisposto, e che geneticamente nasce così: questo non lo penso. La sessualità si diffonde in rapporto agli stili di vita, alla cultura del momento, è anche un atteggiamento contagioso. In certi ambienti è molto frequente perché si scopre che è una forma di amore che può essere interessante esplorare». Infine, per quanto riguarda i casi di omosessualità che si ritrovano anche tra diverse altre specie animali, Veronesi ha precisato che «lì vediamo solo un'espressione sessuale, non vediamo il loro pensiero; non credo però che la loro sia lo stesso tipo di omosessualità: quello è un bisogno di ottenere un rapporto sessuale, come l'onanismo».

L’eutanasia è ottima per i trapianti. Studio shock nel Belgio degli orrori

di: La Bussola Quotidiana - Thaddeus Baklinski, traduzione di Marco Respinti


Lovanio, Belgio - Un inquietante studio condotto da un gruppo di medici belgi, di cui ha dato notizia il periodico specialistico Applied Cardiopulmonary Pathophysiology, contempla l’uccisione di pazienti per via eutanasica in una sala adiacente a quelle in cui si svolgono le normali operazioni ospedaliere e quindi il loro trasporto nella stanza accanto per l’espianto degli organi subito dopo la constatazione del decesso. Lo studio afferma infatti che i polmoni di coloro che muoiono per eutanasia sono più adatti a interventi di trapianto rispetto a quelli asportati da vittime accidentali.

Dick van Raemdonck, del Dipartimento di Chirurgia toracica della Clinica universitaria Gasthuisberg, nonché capo dell’équipe impegnata nello studio pubblicato in forma di rapporto con il titolo Initial experience with transplantation of lungs recovered from donors after euthanasia, ovvero “Prima esperienza di trapianto di polmoni prelevati da donatori sottoposti a eutanasia”, ha paragonato tra loro, per il periodo compreso fra il 2007 al 2009, i risultati ottenuti con il trapianto di polmoni prelevati da persone morte per trauma, tipicamente in seguito a gravi ferite alla testa, e quelli raggiunti con l’utilizzo di polmoni provenienti da donatori eutanasizzati.

Secondo il rapporto, tre pazienti su quattro di coloro a cui sono stati trapiantati polmoni provenienti da pazienti eutanasizzati sono stati dimessi dall’ospedale dopo 33 giorni «con eccellenti funzioni d’innesto post-trapianto e un precoce buon esito ricettivo», e tra quei riceventi si è verificato «un solo decesso nel reparto di terapia intensiva causato da problemi indipendenti dal trapianto».

«Tutti i donatori», si osserva nel rapporto, «avevano espresso il desiderio di offrire i propri organi una volta che la loro richiesta di accedere all’eutanasia fosse stata accettata secondo quanto stabilito dalla legge belga. Tutti i donatori soffrivano di insostenibili disordini non maligni».

Il rapporto afferma che fra i quattro donatori eutanasizzati presi in considerazione uno era affetto da «insostenibile disordine mentale» mentre i restanti tre soffrivano «di una debilitante malattia benigna, tipo un disordine di natura neurologica o muscolare».

Per procedere all’operazione, i donatori sono stati ricoverati in ospedale alcune ora prima della progettata eutanasia. Poi sono stati uccisi in una sala prossima a quelle in cui si svolgono i normali interventi clinici. Quindi i loro polmoni sono stati prelevati immediatamente dopo la conclamazione del decesso.

«In una sala adiacente a quella operatoria è stato predisposto un accesso venoso centrale», scrive il dottor Van Raemdonck nel rapporto. «Quindi i donatori sono stati eparinizzati (ovvero è stata iniettata loro dell’eparina, un anticoagulante) subito prima di assumere un cocktail di medicinali somministrato dal medico operante incaricato dell’eutanasia. Infine, come impone la legislazione belga per qualsiasi donatore di organi, il paziente è stato definito morto in base a criteri cardiorespiratorio da tre medici indipendenti. A questo punto il defunto è stato trasferito rapidamente, posizionato sul tavolo operatorio e intubato».

Il rapporto afferma che i donatori eutanasizzati ammontano al 23,5% di tutti i donatori belgi di polmoni deceduti per arresto cardiaco.

Il dottor Peter Saunders di Care Not Killing - una rete britannica composta di organizzazioni che si preoccupano dei diritti umani dei disabili, di gruppi per la garanzia dell’assistenza medica e delle cure palliative, nonché di associazioni d’ispirazione religiosa contrarie all’eutanasia - si è detto scioccato dell’indifferenza casual con cui è scritto quel rapporto.

«Mi ha sconvolto», ha detto con parole riportate dal quotidiano britannico The Telegraph, «la nonchalance con cui viene trattato l’argomento, quasi che uccidere pazienti per prelevarne gli organi sia la cosa più naturale del mondo. L’approccio scarno con cui il rapporto descrive il processo di espianto degli organi è particolarmente agghiacciante e mostra quale grado di collaborazione fra squadra eutanasica e chirurghi trapiantisti sia necessario per la riuscita dell’operazione: “preparateli per la scena di fianco alla sala operatoria, poi uccideteli e quindi spediteli dentro per il prelievo degli organi”. Il tutto con una sola giornata di lavoro del Nuovo Mondo Belga».

Come sottolinea il dottor Saunders, «dato che in Belgio la metà dei casi di eutanasia avviene senza la volontà espressa del malato, è solo una questione di tempo prima che gli organi siano prelevati dai pazienti senza consenso. Oggi in quel Paese i medici fanno cose che la maggior parte dei loro colleghi di altri Paesi del mondo giudicherebbe assolutamente orrende».

Ana Iltis, direttrice del Center for Bioethics Health and Society dell’Università di Wake Forrest nel North Carolina, in un intervento a Fox News, precisa: «Una volta accettata l’idea che i medici uccidano i pazienti, sembra logico che ne prelevino gli organi per i trapianti. La gente tende a rispondere con un “bleah”, ma questa riposta dovrebbe essere indirizzata all’eutanasia».

La Iltis fa riferimento a un rapporto stilato della Canadian Medical Association (CMA) che calcola il numero dei casi di eutanasia privi di esplicita richiesta da parte dei pazienti verificatisi in Belgio nel 2010. Secondo il CMA, il 20% degli infermieri belgi intervistati dai ricercatori ha preso parte a operazioni eutanasiche e quasi la metà di loro - un numero di persone compreso fra le 120 e le 248 - ha ammesso di aver partecipato a «terminazioni senza richiesta o consenso. Fra questi si possono immaginare casi in cui è stata la famiglia del paziente a esprimere il consenso, ma, per come la comprendo io, la legge esige l’esplicita richiesta da parte del paziente».

Intervistato da LifeSiteNews, il direttore dell’organizzazione canadese Euthanasia Prevention Coalition, Alex Schadenberg, dice che siccome oggi l’eutanasia e il suicidio assistito vengono venduti alle masse come una panacea capace di mettere fine a ogni sofferenza, quanto accade in Belgio è presentato come un modo altruistico per fare del bene al prossimo attraverso le nostre morti. 

«Le persone che quindi non moriranno per eutanasia o suicidio assistito», aggiunge Schadenberg, «verranno considerate egoiste e quindi ostracizzate poiché le loro malattie protratte sino alla morte naturale imporranno alla società costosi esborsi di denaro oppure perché negheranno organi freschi e sani agli altri che ne hanno bisogno». Peraltro, conclude Schadenberg, «gli organi così utilizzati sono sani perché la persona che li dona spesso non è un malato terminale, ma un paziente che teme di avviarsi a una condizione di vita terminale. Continueranno a dirci che la cosa riguarda la libertà di scelta. Ma la scelta di che? Quella della scelta è solo una illusione; qui si tratta invece di imporre la morte».

La versione originale di questo articolo, Shock study: Organs harvested from euthanized patients make better transplants, è comparsa su LifeSiteNews, il portale Internet dedicato alla cultura della vita e alla difesa della famiglia naturale fondato nel settembre 1997. Con sede centrale a Front Royal, in Virginia, e un importante distaccamento a Toronto, in Canada, LifeSiteNews è diretto da John-Henry Westen.

Politica SPA: alla faccia dell'onestà!

di: Comunicazione & Cultura - video di Ricky Rebel McFate


Pubblichiamo qui questo video per farvi vedere come i nostri politici, pensano solo e sempre ai cittadini che li hanno votati...
Noi dello staff di C&C rimaniamo basiti da quanto detto in questo video...
... a voi il giudizio...

 

Via libera al fondo sovrano anti-scalate

di: il Giornale.it


Se l’economia Usa ha perso slancio, se le prospettive si fanno incerte e poco favorevoli per riassorbire l’esercito dei disoccupati, la colpa è della Grecia bancarottiera e del terremoto in Giappone. Per quanto un po’ sommaria, questa analisi congiunturale riassume gli umori dell’opinione pubblica americana, sempre meno convinta della virtù taumaturgiche di Obama. Difficile dire da quale parte stia Ben Bernanke, ma di sicuro anche il capo della Federal Reserve ha qualche motivo per essere inquieto se guarda verso le sponde del Mediterraneo.

Oltre ai nodi interni, legati a una crescita inferiore alle attese, la Fed non può trascurare l’evoluzione della crisi greca, una variabile probabilmente non messa in conto fino a qualche tempo fa e che invece ora costituisce «una minaccia finanziaria globale e all’unità politica europea», ha ammesso ieri Bernanke. Convinto che un default disordinato potrebbe «intorbidire i mercati finanziari» e «incidere sugli Usa» malgrado nei caveau delle banche Usa siano depositati pochi sirtaki-bond. La situazione è «difficile», al punto da essere stata al centro della discussione dei governatori della banca centrale martedì e anche ieri. La Fed è fuori dai negoziati che decidono le sorti di Atene, ma «siamo molto bene informati, ci teniamo in stretto contatto con gli europei. Capiscono l’importanza incredibile di risolvere la crisi greca», ha detto Bernanke a poche ore di distanza dalla prima presa di contatto, avvenuta nel pomeriggio di ieri, fra i governi di Francia e Germania e alcuni vertici delle banche e delle compagnie di assicurazioni esposte nei confronti di Atene e chiamate ad aderire, su base volontaria, al secondo piano di salvataggio. Le banche italiane, la cui esposizione è assai modesta (tre miliardi), hanno ieri fatto sapere di essere disponibili a rifinanziare il debito ellenico. Prima, però (martedì 28 giugno o, al massimo, il giorno dopo), il gruppo parlamentare del Pasok sarà chiamato ad approvare le nuove misure fiscali necessarie per il 2011 e che verranno inserite nel testo della legge per l’attuazione del programma a medio termine. In caso di bocciatura, rischia di saltare il versamento della quinta tranche di aiuti da 12 miliardi di euro.

Quanto agli Usa, le nuove stime diffuse ieri dalla Fed mostrano un quadro non esaltante. Il rallentamento economico è certificato da una minor crescita prevista per quest’anno, con il Pil destinato a espandersi tra il 2,7 e il 2,9%, meno quindi rispetto al precedente 3,1-3,3%. E con questi ritmi di sviluppo, il tasso di disoccupazione si attesterà fra l’8,6 e l’8,9% (8,4-8,7%). Livelli dunque ancora troppo alti, facile innesco di ulteriore malcontento.

Nella conferenza stampa che ha seguito il direttivo dell’istituto di Washington, Bernanke ha però parlato di un appannamento «temporaneo», legato ad alcuni fattori disturbanti come per esempio gli alti prezzi del cibo e dell’energia. Anche se queste tensioni dovessero allentarsi, l’inflazione si collocherà a fine anno in una forbice compresa tra il 2,3 e il 2,5%, contro la stima precedente di 2,1-2,8%. Può essere un problema secondario per la Fed, la cui missione non è (come nel caso della Bce) la stabilità dei prezzi, ma resta il fatto che la perdita di potere d’acquisto in una nazione con così tanta gente a spasso (circa 15 milioni) non è una buona cosa. Bernanke si è lamentato della lentezza «frustrante» con cui continuerà a calare il numero degli americani in cerca di un lavoro, ma a parte lo strumento dei tassi rimasti anche ieri inchiodati tra lo 0 e lo 0,25% (e su quel livello rimarranno ancora per un periodo prolungato, ovvero «almeno 2 o 3 riunioni del Fomc»), la banca centrale Usa non sembra intenzionata a mettere in campo ulteriori misure di sostegno alla crescita. La Fed ha anzi confermato la conclusione a fine mese del programma di acquisto di bond per 600 miliardi di dollari, che ha «contribuito a combattere il rischio di deflazione». Le attuali politiche di reinvestimento dei proventi derivanti dai bond che arrivano a maturazione, pari a 2.832 miliardi di dollari tra security e prestiti, saranno tuttavia mantenute. 

L’intenzione di non irrorare il mercato di altra liquidità potrebbe essere correlata alla volontà di non alimentare ulteriormente la spirale del debito americano, già posto sotto osservazione da Moody’s e Fitch per un possibile declassamento. È «molto urgente» affrontare il problema del deficit e del debito, ha detto Bernanke. La ricetta? Non certo immediati tagli fiscali e massicce riduzioni della spesa, che «avrebbero probabilmente un impatto negativo sulla creazione di posti di lavoro»; il Congresso «dovrebbe invece focalizzarsi su tagli della spesa di lungo termine». 

Google: un miliardo al mese

di: cellulare magazine.it

Questo l'incredibile numero di visitatori unici che ogni mese si collega alla pagina del celebre motore di ricerca

Un miliardo di visitatori al mese. E' questo l'incredibile risultato raggiunto dal più celebre sito al mondo, ovvero Google. In parole povere vuol dire che un miliardo di persone si collega almeno una volta ogni 30 giorni al motore di ricerca della casa di Mountain View. L'incremento, rispetto al 2010, è stato dell'8,4%. Il risultato assume contorni ancora più clamorosi se si pensa che il sito deve scontrarsi con la scarsa considerazione degli utenti cinesi che gli preferiscono Baidu.

Il podio dei portali Internet di maggior successo è completato dal sito di Microsoft che "raggranella" 905 milioni di visite mensili (+15%) e da Facebook, a quota 714 milioni di visitatori (con un incredibile +30% rispetto a un anno fa). Il social network ha scalzato dal gradino più basso del podio Yahoo! fermo a soli (si fa per dire...) 689 milioni di visitatori.

Facebook, i Winkelvoss "Niente appello contro Mark"

di: la Repubblica.it

L'annuncio: niente appello contro l'accordo del 2008 con cui i due gemelli - che accusano Mark Zuckerberg di avergli rubato l'idea per il social network - avevano ricevuto 65 milioni di dollari.


WASHINGTON - Si chiude con un annuncio la lunga disputa sulla nascita di Facebook, il social network dei record. I gemelli Cameron e Tyler Winkelvoss hanno fatto sapere che non si appelleranno alla Corte Suprema statunitense contro l'accordo del 2008 con il quale avevano ricevuto da Mark Zuckerberg 65 milioni di dollari.

L'accordo, raggiunto nel 2008, riguardava la creazione di Facebook: i due gemelli, atleti olimpici di canottaggio a Pechino, avevano accusato Mark Zuckerberg di avergli rubato l'idea del social network quando studiavano ad Harvard, nel 2004. È la storia raccontata dal film "The Social Network 1", di David Finch. I Winkelvoss hanno così portato in tribunale Zuckerberg e hanno raggiunto l'accordo.

Ma la firma non ha chiuso la partita: i Winklevoss hanno deciso di tornare sui propri passi, denunciando l'accordo perché - secondo loro - l'azienda avrebbe tenuto nascosto delle informazioni che avrebbero garantito un risarcimento più alto ai due fratelli. Il primo tempo di questa nuova partita legale si è chiuso l'11 aprile quando una corte federale ha difeso la transazione, definendola "piuttosto buona". Il passo successivo sarebbe stato l'appello presso la corte suprema, ma oggi è arrivato l'annuncio: "Dopo aver considerato con attenzione la situazione", i Winklevoss - senza specificare altre motivazioni - hanno deciso di fermarsi.
 
La risposta dell'azienda
di Palo Alto - che secondo gli esperti vale almeno 70 miliardi di dollari e sta pensando di quotarsi in borsa - è stata abbastanza lapidaria: "Noi consideravamo questo caso chiuso da molto tempo. Siamo contenti che anche l'altra parte ora sia d'accordo".

Parigi ossessionata da Gheddafi: «Bombe, non tregue umanitarie»

di: il Giornale.it

L’Italia appoggia un’idea per risolvere la crisi in Libia con meno bombe possibili e «zak» i cugini d’Oltralpe, perennemente con il nasino all’insù, ci bacchettano come se fossimo i soliti calabraghe. A questo punto verrebbe spontaneo invitare la Grandeur, più che ad andare a quel paese, a farsi la guerra contro Gheddafi da sola.

L’ennesimo «scontro» con i francesi appoggiati da Londra e dalla Nato inizia ieri durante l’audizione alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato. In vista del Consiglio europeo, che si riunisce a Bruxelles questa mattina, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, lancia l’idea di una sospensione limitata e probabilmente circoscritta dei bombardamenti in Libia per aprire dei «corridoi umanitari». In realtà il piano non è italiano, ma dovrebbe arrivare come richiesta dall’Unione europea, dalla Lega araba, dall’Unione africana, e dall’Onu. Secondo Frattini è «fondamentale un’immediata sospensione delle ostilità per creare corridoi umanitari» in grado di aiutare la popolazione. Un’idea già discussa al Cairo sabato scorso con le Nazioni Unite e l’Unione europea rappresentata dalla baronessa inglese Catherine Ashton. Il ministro precisa che «un appello internazionale per i corridoi umanitari riceverebbe il sostegno dell’Italia». E ribadisce che il cessate il fuoco è «in primo piano nella strategia politica dei negoziati».

I francesi alzano subito le barricate. Il portavoce del ministero degli Esteri, Bernard Valero, ricorda che «bisogna intensificare la pressione su Gheddafi». Secondo il portavoce «qualsiasi sospensione delle operazioni rischierebbe di far guadagnare tempo» a Gheddafi. In pratica l’apertura italiana è un mezzo tradimento che permetterebbe al colonnello di «riorganizzarsi». Per il Quai d’Orsay «sarebbe il popolo libico a soffrire al più piccolo segnale di una nostra debolezza». Più che debolezza si tratta di un’ipotesi che secondo Frattini «permetterebbe l’accesso a località della Libia isolate nelle quali la situazione umanitaria è drammatica, come la periferia di Misurata».

Al fianco delle cannonate verbali francesi si schierano gli inglesi. Il portavoce del primo ministro britannico, David Cameron, ribadisce che la coalizione deve «intensificare le azioni sulla Libia». Magari facendo maggiore attenzione ad evitare vittime civili, che secondo il regime di Tripoli sarebbero già 700.
I corridoi umanitari riguarderebbero anche le montagne occidentali dove avanzano i ribelli.
Alla fine è sceso in campo il segretario dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen: «La Nato continuerà le operazioni per evitare innumerevoli perdite fra i civili». Chissà cosa ne pensano i tedeschi, neutrali fin dall’inizio, i turchi che partecipano solo all’embargo navale, gli spagnoli in retrovia e i paesi del nord che stanno ritirando i loro caccia. L’Italia non ha certo bocciato la no fly zone o messo in dubbio la missione Nato, ma punta a giocare una carta diversa per uscire dallo stallo.

Non a caso il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha ribadito ieri «che di tre mesi in tre mesi abbiamo rinnovato il nostro impegno, quindi fino a settembre». Secondo il ministro «per quella data ci auguriamo che il dopo Gheddafi sia cosa già realizzata». Se così non fosse La Russa ha dichiarato a Sky Tg24 «che potremmo mettere in discussione il nostro modo di partecipazione. Fin dall’inizio offriamo le nostre basi e siamo in condizioni di credito verso tutte le altre nazioni partecipanti». La Russa ha appena evitato la chiusura del comando Nato di Bagnoli, a Napoli, ma nella ristrutturazione dell’Alleanza quello navale è destinato a sparire venendo unificato a Londra. Proprio a Nisida, di fronte a Napoli, l’ammiraglio Rinaldo Veri comanda le operazioni marittime contro la Libia, che la Nato ci intima di non mollare, assieme ai bombardamenti.

Manovra, spunta il capitolo pensioni

di: il Giornale.it

Roma - Alle cinque della sera, il faccia a faccia che non ti aspetti. Silvio Berlusconi lascia gli scranni del governo e si siede accanto ad Antonio Di Pietro, in prima fila. Il gran capo dell’Italia dei Valori è al telefono. «Posso spiarti un po’?», gli chiede il Cavaliere mentre l’altro riattacca. I due chiacchierano fitto per un quarto d’ora buono. Il premier gesticola, l’ex pm annuisce, ogni tanto sorridono. Sembrano amiconi. Alla fine il Cav fa il vago. «Che ci siamo detti? Niente», e se ne va tutto allegro. Il leader si rifugia invece in una dichiarazione dal sapore diplomatico: «Mi ha detto che il suo governo fa del bene al Paese. Ho risposto che, se davvero vuole il bene del Paese, si dimetta».

Un’ora più tardi, il Di Pietro che non ti aspetti prende la parola e semina il panico nel Pd. Comincia chiedendo al premier «di portare in Parlamento leggi che servono al Paese e non più leggi ad personam», poi però piega subito attaccando quelli che dovrebbero essere i suoi alleati. «Berlusconi ha detto una cosa che deve farci riflettere, che in Italia ci sono tre-quattro opposizioni. E noi che facciamo?». Nulla, è l’implicita risposta. «E invece dobbiamo raccogliere la sfida e preparare adesso l’alternativa vera a questo governo che per due anni non si schioderà. Non possiamo limitarci a chiedere un voto pro o contro Berlusconi. Comincia tu, amico Luigi, spetta a te, leader del partito di maggioranza relativa, l’onore e l’onere di convocarci».

Cala il gelo tra i banchi della sinistra. Qualcuno grida «ti sei messo d’accordo con il Cavaliere». Di Pietro non perde la calma. «Dobbiamo chiarirci molte cose - riprende -. Qual è il nostro programma, la nostra coalizione, il nostro modo di scegliere la leadership? Io non lo so che cosa offriamo come alternativa perché non ho ancora avuto una riunione con gli altri segretari dell’opposizione». E ancora: «Su che cosa faremo le primarie? Con quale programma e per chi? Su questo punto di chiarezza ne serve molta, per evitare salti nel buio». Qui si nasconde il siluro contro l’emergente Nichi Vendola: «La gente non condivide la politica dell’illusione, Non me la sento di dire ai cittadini di votare un leader senza che dica dove ci porta, eleggendo magari un oscuro premier che parla bene e affabula tanto, ma che non so se ha in capo un mondo liberale, di economia basata sulla libera concorrenza, sulla meritocrazia, sull’efficienza del servizio pubblico».

Adesso, dice ancora Di Pietro, sotto i cieli della minoranza c’è ancora troppo caos. «Io non ci sto più a farmi dire che bisogna mettere insieme con grande capacità la difesa delle fasce deboli della sinistra con la legalità della destra, la solidarietà e il libero mercato». Insomma, conclude, è l’ora delle scelte.

Lo strappo è consumato. Bersani accusa il colpo. «Io non sono un leader? E allora perché i sondaggi mi danno dieci punti avanti a tutti? Caro Antonio, di riunioni ne faremo tante, ma l’alternativa sta lì, sta nel Paese, in una riscossa civica e morale che riesca ad affrontare i problemi del Paese». In serata la controreplica di Di Pietro, via Tg3: «Belle parole, passiamo ai fatti. Non possiamo costruire un’alternativa aspettando che Berlusconi si sfiduci da solo. Dobbiamo meritarla attraverso un programma. Subito».

mercoledì 22 giugno 2011

Tensioni in piazza Montecitorio tra Cobas e polizia

di: Reuters


ROMA - Un centinaio di dimostranti dei Cobas hanno manifestato stamani in piazza Montecitorio, davanti al Parlamento -- mentre in aula era in corso il discorso del premier Silvio Berlusconi -- lanciando uova, petardi e fumogeni verso l'interno della piazza.
La polizia in tenuta antisommossa è intervenuta per allontanare il gruppo, ma senza caricare.
Ci sono stati attimi di tensione, con lancio di uova e libri contro gli agenti, ma alla i manifestanti si sono spostati per continuare la protesta nelle vie intorno a Montecitorio.

Papilloma virus: perché fare il vaccino

di: wellMe.it


Da uno studio pubblicato su The Lancet emerge che il vaccino contro il Papilloma virus (Hpv) funziona, riducendo del 50% il rischio di lesioni alla cervice, che provocano un tumore all’utero.

L’indagine è stata fatta in Australia ed ha riscontrato un calo delle lesioni nelle adolescenti sotto i 18 anni dallo 0,80% allo 0,42%.

Sia Australia che Italia hanno avviato la campagna vaccinale nel 2007. Qui, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, 2010 si è raggiunta una copertura del 59% delle adolescenti nate nel 1997. In Italia la vaccinazione è a disposizione gratuitamente per le bambine di 12 anni

Le donne adulte possono scongiurare il pericolo di un cancro all'utero grazie a un Pap test periodico. Poche, però, sono coloro che lo fanno regolarmente, tanto che a tutt'oggi si contano in Italia più di 3 mila nuovi casi ogni anno di carcinoma cervicale.


E' per questo la vaccinazione diventa fondamentale, anche come strumento di prevenzione individuale anche per le donne di età più avanzata, "dal momento che molto raramente esse sono state infettate da tutti i tipi di HPV presenti nel vaccino bivalente o quadrivalente", come spiega Paolo Bonanni, docente di Igiene all’Università di Firenze.

"I due ceppi altamente oncogeni presenti in entrambi i vaccini, 16 e 18, sono responsabili di circa il 70 per cento dei cancri della cervice uterina – chiarisce Bonanni. Misurando la riduzione delle lesioni pre-cancerose, tappa obbligata verso il cancro, ci si è resi conto che sono di più di quanto ci si potrebbe attendere se i vaccini prevenissero solo le lesioni da HPV 16 e 18. Vuol dire che i vaccini proteggono anche contro altri tipi di HPV imparentati con 16 e 18, portando la percentuale dei cancri cervicali prevenuti presumibilmente oltre l’80%, sia pure con diversa capacità di protezione nei confronti di diversi tipi di HPV simili a 16 o a 18".

UE: Facebook pensi ai suoi bambini

di: Mauro Vecchio - Punto Informatico

Preoccupanti statistiche da parte della Commissione Europea: solo Bebo e MySpace proteggono al meglio i minori dai predatori sessuali. Il sito in blu dovrebbe presto creare un adeguato contesto di autoregolamentazione


Roma - "Sono rammaricata: la maggior parte dei siti legati al social networking non è ancora riuscita ad assicurare che i vari profili dei minori restino accessibili di default solo ed esclusivamente ai loro contatti approvati". L'allarme è stato lanciato dal Commissario Europeo Neelie Kroes, che ha dunque sottolineato come i giganti delle amicizie online non siano poi così severi con i propri utenti di minore età.

La stessa Commissione del Vecchio Continente ha recentemente presentato dati preoccupanti, a partire da un 77 per cento di ragazzi - tra i 13 e i 16 anni - che attualmente utilizza quotidianamente una qualsivoglia rete sociale. Accompagnati dal quasi 40 per cento di adolescenti (tra i 9 e i 12 anni) presente online su piattaforme come MySpace, Bebo e soprattutto Facebook.

Una percentuale che dovrebbe far riflettere data la decisione dei vari siti di non far entrare minori di 13 anni d'età. Ciò che sembra intimorire di più il Commissario Kroes è invece un'altra statistica: 12 siti su 14 permettono ai motori di ricerca di indicizzare i vari profili appartenenti a minori di 18 anni. Mettendoli dunque alla mercé di potenziali pedofili e predatori sessuali.

In questo senso, i più virtuosi ed accorti sembrano i soli Bebo e MySpace. Ma la Commissione Europea sembra conoscere benissimo la situazione attuale: il vero e proprio gigante è il sito di Mark Zuckerberg, che aveva peraltro già aperto ad una possibile inclusione social dei minori di 13 anni. Kroes ha consigliato a Facebook di creare un adeguato contesto di autoregolamentazione, per evitare interventi esterni più severi.

Curiosamente, una speciale classifica stilata dalla società specializzata in sicurezza informatica ZoneAlarm ha visto trionfare proprio Facebook in qualità di sito sociale più sicuro del web. "Per aver migliorato la personalizzazione delle opzioni dei profili, la condivisione delle foto e la protezione delle informazioni personali". MySpace e Bebo hanno seguito a ruota il sito in blu. LinkedIn all'ultimo posto.

martedì 21 giugno 2011

Prigionieri del Silenzio - Il caso Carlo Parlanti

di: Beppe Grillo


Nelle prigioni del mondo ci sono 2.905 detenuti italiani di cui 1.400 in Germania e 400 negli Stati Uniti. Uno di loro è Carlo Parlanti che è innocente secondo tutte le testimonianze raccolte dalla sua famiglia e dai suoi amici e presentate al ministero degli Esteri dall'associazione "Prigionieri del Silenzio". L'unica che si occupa dei casi di mala giustizia all'estero che avvengono nei confronti dei nostri connazionali. All'estero si può finire in carcere per una falsa accusa o semplicemente per aver mantenuto le proprie abitudini di tutti i giorni non sapendo che in quel Paese sono vietate.



Intervista a Katia Anedda, presidente di Prigionieri del Silenzio.

Il caso carlo Parlanti
Katia Anedda: Sono Katia Anedda, il Presidente dell’associazione Prigionieri del silenzio, Prigionieri del silenzio è una associazione no profit che si occupa di italiani detenuti all’estero ed è l’unica associazione in Italia che si occupa seriamente di questa problematica, anche perché non tutti sanno che ci sono 2.905 connazionali detenuti all’estero e non tutti sono sicuramente colpevoli e molto pochi, forse sono le persone a cui non vengono violati dei diritti.
Blog: Questa associazione nasce con un caso, il caso Parlanti , ci può spiegare il caso Parlanti?
Katia Anedda: Carlo Parlanti è un manager informatico nato a Montecatini, ha vissuto per molti anni a Milano, a un certo punto della sua vita ha deciso di andare negli Stati Uniti, ha lavorato negli Stati Uniti per sei anni dopodiché ha deciso di rientrare in Italia perché il suo sogno era comunque creare una sua società in Europa e ci stava riuscendo. Dopo due anni dal rientro, lui è rientrato in Italia nel 2002, nel 2004 facendo un viaggio da Dublino a Düsseldorf ha scoperto di essere un ricercato. Nel periodo in cui ha vissuto negli Stati Uniti ha instaurato diverse relazioni perché Carlo, oltre a essere un manager informatico, è anche una persona brillante, una persona comunque che piaceva alle donne e a lui piacevano le donne. L’ultima relazione che ha avuto prima di rientrare in Italia, una donna più grande di lui che ha lasciato qualche settimana, prima che lui poi decidesse di rientrare definitivamente in Europa, questa donna ha pensato bene di accusarlo per sequestro di persona, violenza domestica e violenza sessuale e lui intanto in effetti era ritornato in Europa, oltre tutto la cosa assurda che ha viaggiato dappertutto per due anni andando anche in Canada, ha aperto una società a Gibilterra. E invece ha scoperto proprio in questo viaggio, dopo due anni, di essere un ricercato. È stato arrestato a Düsseldorf in attesa di estradizione verso gli Stati Uniti, da allora è iniziato il suo incubo e della sua famiglia. Abbiamo iniziato a contattare, a bussare a tutte le porte, io a contattare tutte le associazioni ho scoperto che non vi erano realmente delle associazioni che si occupassero dei diritti di un italiano detenuto all’estero che riuscissero a aiutarci, nel Web dando visibilità alla vicenda di Carlo abbiamo consolidato di fondare una associazione, visto che non ne esistevano. Da allora abbiamo creato un sito Internet, il cui indirizzo è www.prigionieridelsilenzio.it, abbiamo cominciato ad avere diversi contatti e diverse mail di fidanzate, madri, padri che vivevano la situazione di un detenuto all’estero. Abbiamo iniziato a informarci e a dare informazione e così è nata Prigionieri del silenzio nel 2008.
Blog: Carlo Parlanti è innocente?
Katia Anedda: Sicuramente sì, lo dicono dei criminologi oggi, lo dicono dei medici e lo dicono anche gli atti del processo che comunque sono reperibili in linea sul sito carloparlanti.com

In carcere senza prove
Blog: Perché è tenuto in carcere?
Katia Anedda: Perché sono stati dei grossi errori. Dobbiamo considerare che la vicenda di Carlo Parlanti si svolge negli Stati Uniti, un paese ufficialmente civile, un paese che non dovrebbe sbagliare, un paese con cui abbiamo diversi rapporti, sicuramente lo Stato italiano non andrà a sottolineare agli Stati Uniti gli errori che sono stati fatti. Lo tengono in prigione perché riconoscerlo innocente vorrebbe dichiarare da parte di alcuni magistrati, di procuratori “abbiamo sbagliato” e questo è molto difficile sentirlo dire da parte di un procuratore, soprattutto californiano, americano!
Blog: Ci sono speranze di fare uscire Carlo Parlanti dal carcere prima della sua pena?
Katia Anedda: Se gli enti, anche le procure italiane fanno davvero il loro lavoro sì, ci sono delle speranze, negli ultimi periodi abbiamo inoltrato diverse denunce. Qualche mese fa la stessa famiglia Parlanti ha inoltrato delle denunce perché se si va a vedere bene tutta la certificazione com’è stato estradato Carlo si può veramente pensare a un sequestro di persona. E le speranze ci possono essere, certamente che sì.
Blog: Lei ha parlato di una denuncia di una signora americana nei confronti di Carlo Parlanti, ma al di là della denuncia ci sono delle prove?
Katia Anedda: La sua parola contro quella di Carlo.
Blog: Negli Stati Uniti vale di più la parola di una donna di quella di un uomo?
Katia Anedda: in caso di violenza, soprattutto sessuale, sì.
Blog: Se la violenza non è accertata o accertabile?
Katia Anedda – Dipende da quanto si riesce a far accettare e accertare la verità, dipende da quanti soldi hai, dipende da quanti appoggi politici hai.
Blog: Cosa succede a un italiano all’estero quando si trova in una situazione come quella di Parlanti in America oppure altrove, cosa dovrebbe fare?
Katia Anedda: Ci sono paesi e paesi, ci sono dei paesi dell’America meridionale dove veramente si rischia anche la vita perché ci sono carceri in cui un detenuto viene rinchiuso e spesso la famiglia non ne sa niente, non sa come mettersi in contatto con il consolato, a volte non sanno neanche che esista un consolato che si deve accertare della loro condizione. Succede oggi è che tanti ragazzi, tanti giovani soprattutto, vanno all’estero si ritrovano fermati anche per delle false accuse, spesso succede, droga o cose di questo genere, e vengono costretti a volte a firmare delle dichiarazioni in lingua del posto che magari non capiscono bene e rischiano a volte di passare tutta la loro vita in prigione, senza un aiuto efficace.
Blog: Il consolato quando viene chiesto un aiuto dopo il caso specifico e quindi quando la persona è stata accusata o incarcerata, di solito cosa fa?
Katia Anedda: Dipende da quanta pressione si fa e dipende di quale consolato stiamo parlando, dipende dai paesi, ci sono dei consolati che, su casi che abbiamo seguito come associazione, sono stati molto presenti Quello che dovrebbe fare è dare le garanzie che non vengano lesi i diritti del connazionale e andare sicuramente subito in carcere, occuparsi dei contatti con gli avvocati e con la famiglia. In alcuni Stati succede, in molti altri non succede e bisogna veramente fare tanta pressione. Sono stata diverse volte al Ministero degli Esteri L’ultima volta ho parlato con il Vice capo gabinetto del Ministro Frattini e con il consigliere penale del Ministero appositamente per il caso Parlanti. Nellultimo anno è stato pubblicato un libro scritto da Vincenzo Maria Mastronardi che è uno dei più famosi criminologi italiani, all’interno del libro c’è della documentazione, c’è anche il rapporto della dottoressa Agnesina Pozzi che è un medico e questo libro dimostra come il caso Parlanti sia un bluff. Questo libro dimostra che sono stati usati per il caso Parlanti dei certificati falsi. Ho fatto ho fatto vedere il libro alle persone interessate del Ministero e ho detto "Questo libro è una denuncia se lo si legge, questo libro dice che sono stati falsificati i documenti, in questo libro dice che un italiano è stato estradato in base a documenti falsi. Io la vedo come un sequestro di persona. Quindi, o chi ha scritto questo libro ha detto il falso e deve essere perseguito legalmente, e voi sapete che non è così, perché è basato su documentazione protocollata dalla Procura di Ventura, la Contea americana dov’è stato condannato Carlo, oppure gli Stati Uniti devono dare una qualche chiarezza sulla situazione". Il consigliere dott. Marco Rago mi ha dato ragione, mi ha detto che avrebbe parlato con l’ambasciata.
 
Gli italiani nelle prigioni del mondo
Blog: Qual è la geografia degli italiani in carcere, dove ci sono più italiani in carcere rispetto a altri Stati? Negli Stati Uniti, in Germania?
Katia Anedda: Nella Germania. Attualmente ci sono 2.905 italiani detenuti all’estero. Circa 1.400 sono in Germania e poi sono sparsi per tutto il mondo: Asia, Africa, negli Stati Uniti ce ne sono poco più di 400. C’è poca informazione. Ogni paese ha una cultura diversa e spesso non si conosce la cultura di questo paese, anche le nozioni basilari.
Negli Stati Uniti molti non sanno che non puoi stare fuori da un locale con un bicchiere con una bevanda alcolica. In Marocco nel periodo del ramadan è meglio non fumare per strada. Ci sono tante cose di cui non si ha conoscenza e spesso l’italiano magari che va in un paese fa qualcosa a lui naturale, ora non parliamo dei casi estremi, senza sapere che sta violando la legge del paese. In quei casi è anche molto difficile controbattere al sistema che ti sta mettendo "giustamente" in galera, quindi secondo il parere dei Prigionieri del silenzio si deve dare informazione da parte dei Ministeri, ora non so come, potrebbe essere anche con dei depliant quando qualcuno parte in un paese per avere almeno le nozioni principali, potrebbe essere in altri modi, potrebbe essere parlandone anche a livello mediatico perché no, anche perché di questi casi soprattutto di detenzione si parla veramente così poco.
Blog: Se lei dovesse rivolgere un appello al Blog di Grillo e in generale alla Rete, che cosa chiederebbe per Carlo oggi?
Katia Anedda: Per Carlo chiederei prima di tutto di andare a leggere, di andare a leggere tutta la documentazione, ci sono diversi siti che parlano di Carlo, quello ufficiale è www.carloparlanti.it, c’è anche in inglese che è www.carloparlanti.com dove ci sono tutti gli atti del processo e le denunce fatte, di andarli a leggere, di esprimere il loro parere in modo di aiutarci a dare visibilità, in modo che non ci sia un giorno un altro caso Parlanti. A breve dovremmo costituire a Montecatini, la città natale di Carlo, un comitato pro Parlanti, che sarà adibito a fare una denuncia elencando i crimini che sono stati commessi nei confronti di Carlo. Questa denuncia sarà presto in linea sia sulle pagine Facebook che sui siti ufficiali e quindi chiedo a tutti di aderire a questa denuncia, di firmarla e di far conoscere questo assurdo caso.