La Missione è quella di creare un'associazione tra la Comunicazione e la Cultura. Spesso questi due ambiti non si incontrano (il comunicatore non fa vera cultura e l'accademico non sa comunicare in modo efficace). Noi vorremmo far incrociare i due binari per portarli a formarne uno unico.

Vorremmo stimolare l'aspetto critico del fruitore, per comunicare cultura e per acculturare la comunicazione.

Questo Blog vuol essere un punto di riferimento per articoli d'informazione giornalistica-scientifico-culturale-economica.

Qui potrete trovare ogni tipo d'informazione e saremo lieti di stimolare un sano e doveroso dibattito per ogni singolo articolo, con il fine d'incrociare nel massimo rispetto di pareri ed opinioni diversi tra loro, per giungere così ad una proposta d'incontro tra i molteplici aspetti di una società multiculturale

lunedì 21 marzo 2011

Bruno, l’ultimo italiano di Tripoli, che fa la guardia ai nostri morti

di: Fausto Biloslavo

Il custode del cimitero dove riposano 6.500 connazionali ha resistito pure alla cacciata del 1970: "E non me ne andrò neanche adesso"

Tripoli - Un tè nel deserto con Gheddafi, le bombe americane sul bunker del colonnello, la rivolta contro il regime sono solo alcune delle avventure di Bruno Dalmasso, uno degli ultimi italiani di Tripoli. A 77 anni, con un berretto azzurro dell'Italia e le quattro stelle di campione del mondo, Dalmasso ci accoglie nel cimitero, di cui è il custode, che ospita i resti di 6499 connazionali. Una piccola oasi di pace nella capitale libica dove riposano giovani patrioti massacrati dagli ottomani, principessine d'altri tempi e gente comune dal periodo coloniale a oggi. In una cripta è rimasta intatta la storica lapide del maresciallo dell'aria «Italo Balbo quadrumviro governatore generale della Libia ». Abbattuto, ufficialmente per sbaglio, «nel cielo di Tobruch 28-6-1940», come si legge sul marmo bianco. 

Dalmasso è nato a Bordighera, ma ama ricordare di essere stato «concepito in Eritrea» ai tempi delle colonie. Nell'Africa orientale ci sarebbe rimasto per sempre se Menghistu Haile Mariam, non avesse preso il potere con un golpe. «Lo conoscevo bene, ma è acqua passata », racconta Dalmasso, che proprio dal dittatore etiopico in persona si è beccato una gragnuola di calci, dopo essere stato sbattuto in galera perché filo eritreo e poi rispedito in Italia. Dalmasso resiste in Italia due mesi e il mal d'Africa lo porta in Libia a dirigere un cantiere a Bengum, l'anticamera dell' inferno in mezzo al deserto: «I libici lo chiamano “il posto del vento”e ci sono ancora i resti di un forte italiano del 1913». Un giorno arriva un giovane ufficiale al volante di un maggiolino. «Era il colonnello Gheddafi - racconta il veterano della Libia- Ci siamo messi a prendere un chai (il tè) nel deserto. Era giovane, gioviale, rideva. Penso che per il suo paese abbia fatto molto. Io ho visto come la Libia è cresciuta e si è sviluppata ». Dalmasso parla ed è come se scorresse la storia. Nel 1986 quando il presidente americano Ronald Reagan ordina di bombardare il regno di Gheddafi lui abita a 600 metri da Bab al Azizia, la cittadella fortificata del colonnello nel cuore di Tripoli. «Il 15 aprile, alle due di notte, le squadriglie sono arrivate dal mare. Il cielo era rosso per i traccianti della contraerea - ricorda Dalmasso - Le prime bombe hanno incenerito la casa di Abu Nidal ( il terrorista palestinese mandante dalla strage di Fiumicino del 1985 e di altri sanguinosi attentati nda)». Poi è toccato al bunker di Gheddafi. «Una bomba sola, di una tonnellata dicevano, è piombata giù come un colpo secco seguito da un boato fortissimo e da una luce, come un gigantesco flash nel buio della notte». In quegli anni Dalmasso va spesso al cimitero, mezzo abbandonato dopo la cacciata degli italiani nel 1970, per leggere le lapidi sepolte dalle erbacce. Il posto si chiama Hammangi, che significa bagno turco. Con la compagna etiopica, Abersah Tegu Mari, comincia a riesumare e catalogare i connazionali sepolti a Tripoli e nel resto della Libia. I resti di 28mila militari, che Gheddafi non voleva, compresi 5mila ascari eritrei che hanno combattuto al nostro fianco, sono stati traslati al sacrario militare d'oltremare di Bari. 

Per il suo impegno Dalmasso è stato nominato Cavaliere della Repubblica e neppure nei giorni della rivolta abbandona il cimitero italiano: «Con le tombe ci aiutavano dei manovali egiziani, ma sono scappati quando è iniziata la rivolta -si rammarica il connazionale-Il 17 febbraio il consolato ci ha consigliato di restare chiusi in casa, ma nessuno si aspettava una sollevazione del genere». Anche Dalmasso, come molti libici della capitale, se la prende con i media: «Quando ho sentito che stavano bombardando il centro della capitale mi è preso un colpo: sono passato in macchina proprio dove avrebbe dovuto esserci la strage, ma non c’era un solo segno dell'intervento aereo. Era una balla». Nei giorni della rivolta a Tripoli gli amici libici lo «scortano » al cimitero. 

La sua targa ha il numero 15, quello degli italiani e qualche scalmanato potrebbe prenderla a sassate. «Ha ragione il ministro Maroni: gli americani se ne stiano fuori - sbotta Dalmasso - Se la Nato o gli Stati Uniti intervengono si rischia un altro Afghanistan. Devono risolverla fra libici. In fondo a nessuno conviene la secessione, con il gas a ovest ed il petrolio a est». Il pericolo della valanga migratoria è concreto: «Sono centinaia di migliaia gli immigrati africani in fuga dalla Libia con il miraggio dell'Italia». Aiutandosi con un bastone Dalmasso tra le tombe. I resti dei 6499 italiani riposano in loculi divisi per lettera dell'alfabeto con un numero inciso sul marmo. Il numero corrisponde al nome riportato su grandi lastre trasparenti appese alla parete. Quaglio Maria, Patanè Bruno, Campagna Carmela si legge scoprendo che i primi commercianti italiani in questa fetta d'Africa furono sepolti nel 1831. Gastone Terreni era un patriota anti turco di vent' anni massacrato dagli ottomani il 21 giugno 1908. Ancora prima, nel 1879, la principessina Zenaide De Goyzueta, figlia dei marchesi di Toverena morì a soli 10 anni, 3 mesi e 20 giorni. Suo padre, nobile napoletano, era console di Umberto I re d'Italia. La madre si chiamava Livia Rimsky-Korsakov, sorella del grande compositore russo. La salma di Balbo è stata riportata in patria e sepolta ad Orbetello, ma a Tripoli si conserva gelosamente la lapide. L'ultima tomba italiana è del 2008. Sul marmo bianco si legge: Annamaria Buzzi di Milano. Dalla storia del cimitero italianosalta fuori una vicenda incredibile, quella di un Hannibal il cannibale italiano, mai identificato perché cacciato con altri connazionali, che utilizzava carne umana per le salsicce. Nella cripta della cappella è sepolta anche Innocente Halima, una suora che prima era musulmana. Il regime ha fatto levare il Cristo della grande crocein ferro all'ingresso del cimitero, perché urta le credenze islamiche. 

Dalmasso aveva la possibilità di lasciare la Libia in rivolta con l'evacuazione degli altri 1400 connazionali. «Ho detto di no. La Libia è il mio paese - spiega - Mi hanno accettato e rispettato per 36 anni. Non mi sembra giusto abbandonare i libici nel momento del pericolo. Se la situazione precipitasse dividerò il loro destino. A 77 anni non ho paura di nulla». www.faustobiloslavo.eu

Un dittatore da eliminare

di: Paolo Visno­viz - zonadifrontiera.or

Puoi pri­varti di tutto, tranne che della terra.
La terra è l’unica cosa senza la quale non puoi far niente.
Se distrug­gessi le altre cose potre­sti rime­diare, ma guar­dati dal distrug­gere la terra, per­ché allora per­de­re­sti tutto!
(Muam­mar Gheddafi)

Ci stanno coglio­nando. Parlo della Libia. Tutti affer­mano si tratta di una lotta per la libertà di quel popolo e l’informazione schie­rata a sini­stra è entu­sia­sta di que­sta ven­tata d’interventismo in difesa di una demo­cra­zia che forse verrà. Obama afferma «i libici devono essere pro­tetti» e Sar­kozy non perde tempo e sca­tena i jet. 

Gli ame­ri­cani ini­ziano a lan­ciare i mis­sili a lunga git­tata Cruise dalle navi.
Da tempo la stampa nazio­nale ed inter­na­zio­nale ha ini­ziato a fare il vuoto attorno a Ghed­dafi, dipin­gen­dolo come un feroce e san­gui­na­rio tiranno. Ma avete mai visto prove di que­sti sup­po­sti assas­si­nii di massa? No, non ve ne sono. Alja­zeera ha ben gio­cato le sue carte. Fin dall’inizio delle pro­te­ste e dei primi scon­tri ha rac­con­tato di stragi, giun­gendo ad affer­mare vi sareb­bero state fino a 10mila vit­time. Ci hanno mostrato buchi nella sab­bia vuoti, spac­cian­doli per fosse comuni. Ma nes­suno poteva con­trol­lare: non c’erano altri gior­na­li­sti nel Paese.

In seguito, quando è arri­vata la stampa inter­na­zio­nale si è dovuto ammet­tere — con un certo imba­razzo — che i morti sareb­bero stati forse 400. Forse. Nes­suno ha mai visto nem­meno quelli. Colpa del Colon­nello che ha distrutto le tombe, bru­ciato i corpi, occul­tato tutto, si è detto. Forse. Ormai l’immagine di un Gheddaffi-sanguinario è pas­sata e si è ben stam­pata nell’immaginario collettivo.

Tutti con­tro Ghed­dafi, il tiranno. Vero, indub­bia­mente un dit­ta­tore, ma da anni aveva abban­do­nato la via del ter­ro­ri­smo. Loc­ker­bie è rima­sta una ter­ri­bile mac­chia sul suo cur­ri­cu­lum, ma negli anni seguenti è rigato dritto e nes­suno lo ha mai nem­meno accu­sato di finan­ziare frange ever­sive. Anzi, ha sem­pre tenuto la Libia fuori dai venti dell’integralismo.

La Libia del rais era un Paese dove c’era libertà di reli­gione, non c’era dif­fe­renza di genere e le ragazze acce­de­vano tran­quil­la­mente alla scuola come pure i ber­ber, altrove discri­mi­nati. (Per “ber­ber” intendo tutti i discen­denti delle popo­la­zioni autoc­tone, non neces­sa­ria­mente libi­che, ante­ce­denti l’islamizzazione: tua­reg, gara­manti, beduini, kabili, ecc. È quindi errata la distin­zione che viene fatta spesso sui quo­ti­diani tra ber­beri e tua­reg.) È stato Ghed­dafi a bat­tersi affin­ché le popo­la­zioni nomadi del deserto non fos­sero suscet­ti­bili ai con­fini in tutto il Sahara, potendo attra­ver­sarlo in tutte le sue sab­bie senza pre­oc­cu­parsi di sapere in quale nazione fossero.

Un dit­ta­tore che sognava la demo­cra­zia diretta, il “regime delle masse”, la Jamā­hī­riyya. Il suo libro verde è un miscu­glio di socia­li­smo e pana­ra­bi­smo con pro­fonde influenze musul­mane. Ha sem­pre inse­guito il sogno di fare dell’Africa un con­ti­nente forte ed unito, con metodi ed esiti a volte discu­ti­bili, pro­cu­ran­dosi nemici lon­tani e vicini, ma cer­ta­mente non con i campi di concentramento.

Se il regime di Ghed­dafi fosse stato così ter­ri­bile e le con­di­zioni della popo­la­zione così tre­mende, è ben curioso non vi siano nel resto del mondo rifu­giati o immi­grati libici. I migranti sono sem­pre giunti da noi dal Marocco, dalla Tuni­sia, dall’Egitto e ancora dal Sudan, Eri­trea, Sene­gal, Chad, Niger, ecc, ma mai dalla Libia. Tutt’ora, a guerra in corso, chi scappa dalla Libia sono gli immi­grati. Sì, milioni di immi­grati che dall’Egitto, dal Sudan, dal Chad e finan­che dal Ban­gla­desh erano giunti in que­sto Paese per lavo­rare. Milioni di cre­tini che anda­vano a met­tersi nelle mani di un san­gui­na­rio tiranno.

Ci stanno coglio­nando, lo ripeto. E il nostro governo si è com­por­tato in modo inde­gno, rin­ne­gando una poli­tica che, a fatica ma con suc­cesso, ci aveva ripor­tato al cen­tro del Medi­ter­ra­neo. Abbiamo tra­dito un part­ner cui fino a ieri abbiamo giu­rato ami­ci­zia, pugna­lan­dolo alle spalle. Ci siamo com­por­tati come la solita ita­lietta bal­bet­tante, inca­pace del corag­gio di una poli­tica estera auto­noma. L’unico che ha avuto il corag­gio di distin­guersi è stato Bossi. Tutti gli altri applau­dono e seguono come pecore l’invasione mili­tare di un Paese sovrano, anzi recla­mando mag­giori compiti.

Non credo ad un lea­der asser­ra­gliato nel suo bun­ker, difeso da un mani­polo di fede­lis­simi. È vero il con­tra­rio, la mag­gior parte della popo­la­zione è con lui, lo è sem­pre stata. E altri, den­tro e fuori i con­fini, lo segui­ranno ora che gli si è rega­lato un nemico esterno, il tanto odiato cane infe­dele che viene a pro­fa­nare il sacro suolo dell’Islam.

Spero pro­prio i grandi stra­te­ghi occi­den­tali sap­piano cosa stiano facendo, per­ché così rischiano di spac­care la Libia in due, con il peri­colo di incan­cre­nire la situa­zione per lungo tempo a venire. Nes­suno riu­scirà a liqui­dare il rais, a meno di un attacco di terra da parte della coa­li­zione arabo-americana-europea. Non saranno cer­ta­mente quei quat­tro gatti disor­ga­niz­zati di ribelli a togliere le casta­gne dal fuoco all’Occidente.

Ma se la situa­zione non si sbloc­cherà in breve tempo i russi potreb­bero deci­dere di aiu­tare Ghed­dafi e que­sto potrebbe allearsi anche con Alqaeda per uscire dall’accerchiamento. Se la situa­zione non si risol­verà in pochi giorni aspet­tia­moci esiti impre­ve­di­bili e, nel medio e lungo periodo, una recru­de­scenza del terrorismo.

domenica 20 marzo 2011

Nucleare: Ecco perché l'Italia non può fermarsi

di: Roberto  Preatoni - Affari Italiani.it

Riceviamo da un nostro lettore e commentatore di questioni tecnologiche questo articolo che pubblichiamo allo scopo di contribuire al dibattito sul nucleare, che ovviamente è aperto a tutti


Ho deciso di scrivere questo articolo conscio di espormi al pubblico ludibrio per fare chiarezza sul mare di imprecisioni e castronerie scientifiche che ho letto negli ultimi giorni sulla questione nucleare.
Faccio una premessa: questo articolo è molto lungo perchè il tema in oggetto necessita di un trattamento più che esaustivo. Il fatto è che pur rispettando il diritto che ognuno di noi ha di accettare o meno una tecnologia come quella nucleare, sono convinto  sia necessario informare correttamente le coscienze votanti di casa nostra.
Il dibattito sul nucleare in questi giorni si fa sempre più acceso, specialmente nel Belpaese dove ahimè, prossimamente ci accingeremo a votare un referendum sul nucleare. E questo (sfortunatamente dico io) proprio a ridosso dello tsunami emotivo scatenato dai fatti del Giappone.
Innanzitutto facciamo una precisazione: votare contro il nucleare al referendum non significa votare contro le esistenti centrali nucleari di prima e seconda generazione (che peraltro non esistono in Italia).  
Votare contro il nucleare significa votare contro l'implementazione di una tecnologia per lo sfruttamento della forza dell' atomo che si basa su principi di funzionamento totalmente differenti da quelli implementati nelle vecchie centrali. Le vecchie centrali rimarrebbero comunque in funzione, con tutti i pericoli (ma sono scarsi anche in quel caso) che ne derivano. Non commettiate l'errore di pensare che il referendum possa allontanare le centrali che i francesi hanno costruito intorno a noi. Sapete quante sono?  Tante, tantissime, più di quante possiate immaginarvi. Guardate il grafico a fondo pagina di questo report: http://www.world-nuclear.org/education/uran.htm
Il referendum quindi non va contro quelle vecchie centrali e gli eventuali pericoli da esse rappresentati, (ricordatevelo!) ma va contro l'implementazione di centrali  di terza e quarta generazione, costruite per esempio per autospegnere la reazione in caso di incidente nucleare.
 
Cosa significa? Significa che nelle vecchie centrali (quelle giapponesi per intenderci),  una volta innescata la reazione nucleare nel materiale fissile, tutto ciò che l'uomo può fare è di cercare di "tenerla a bada", soffocando la reazione con diversi stratagemmi. Nel caso dell' incidente di Cernobyl per esempio, il core nucleare è sfuggito al controllo umano per una serie di concause  (principalmente dovute ad errori nell'interpretazione dei parametri di raffreddamento del nucleo)  e da qui la catastrofe che tutti conosciamo.
 
Le centrali di terza o meglio ancora di quarta generazione sono diverse a partire dal principio di funzionamento. Il core è progettato con la tendenza allo spegnimento. Per tenerlo acceso è necessario il continuo intervento umano. In caso di malfunzionamento o di catastrofe, la centrale si spegnerebbe senza alcun problema e non vi è modo che possa sfuggire al controllo degli operatori. Funziona tutto al contrario quindi: se l'operatore umano o i sistemi di raffreddamento funzionano, allora la reazione nucleare avviene. Se vi ne a mancare il corretto funzionamento di una qualsiasi delle parti di controllo che stanno intorno al reattore (meccanica o umana), il reattore si spegne. Niente botto, niente nube radioattiva, niente olocausto nucleare.

Se l'Italia fosse un paese serio, il referendum sul nucleare, vista l'importanza del tema,  sarebbe stato accompagnato da una tavola rotonda trasmessa a reti unificate, dove esperti del campo avrebbero avuto la possibilità di rispondere in diretta e senza tema di smentita alle preoccupazioni dei più così come alle più strampalate teorie olocaustiche. Teorie che oltre ad essere strampalate hanno il difetto di trovare alloggio nella bocca di alcuni nostri politici. Dico nella bocca e non nella testa perchè se voi pensate che i politici italiani posseggano la caratura morale per dire ciò che effettivamente pensano, vi fate delle ricche illusioni. Essi cavalcano solo ed esclusivamente l'onda elettorale, per poter perseguire i propri interessi di breve periodo a scapito degli interessi di lungo periodo di tutta la popolazione italiana. Non credo di dovervi dimostrare nulla in questo senso.
Un' altra informazione che sfugge ai più è la natura "pulita" delle centrali di quarta generazione. Significa che queste nuove centrali bruciano anche più del 90% del carburante fissile. Che altro? Significa efficenza elevata, ma significa anche una marea in meno di scorie. Anzi ZERO scorie. A questo punto verrebbe da dire che, pur bruciando il 90% del combustibile nucleare, una centrale nucleare di 4^ generazione produce comunque un 10% di scorie (http://www.21stcenturysciencetech.com/articles/spring01/reactors.html).
 
Vero, ma sono scorie diverse. Le scorie delle vecchie centrali, impiegano circa 10.000 anni a perdere radioattività. Le scorie delle nuove centrali impegano solo 200 anni a diventare innocue. Duecento anni su scala geologica ma anche umana sono un battito di palpebre e la loro gestione sarebbe immensamente più semplice delle vecchie scorie.
Ma c'è qualcosa d'altro di cui la gente non è informata. Quelli che dicono di NO alle centrali nucleari di nuova generazione sull' onda emotiva del preservamento dell'ambiente a vantaggio dei propri figli, non sanno che le centrali nucleari di 4^ enerazione aiuterebbero paradossalmente a consumare le scorie nucleari prodotte dalle vecchie centrali, risolvendoci un annoso problema.
Ma quanto io personalmente sono pro o contro il nucleare? In linea di principio il sistema non mi piace perchè si basa sul consumo di risorse non rinnovabili. Però visto che il mondo non funziona su linee di principio ma su fatti pratici, preferisco essere pragmatico. Oggi il nucleare è l'unica fonte di approvvigionamento di energia capace di soddisfare le presenti richieste di energia (che continuano a crescere).E le fonti rinnovabili? Gran cosa, si arriverà ad usare quelle un giorno, ma non oggi. Per il semplice motivo che messe tutte insieme non sarebbero capaci di fornire nemmeno la metà dell' energia che richiede il nostro stile di vita. Attenzione, sto parlando di tecnologie a disposizione e non di prototipi su carta la cui realizzazione è lungi dall' essere immediata.
Analizziamole quindi, però facendo lo sforzo di analizzarle in un contesto tutto italiano, proprio perchè i ragionamenti in linea di principio sono solo fumo.

ENERGIA EOLICAFATTIBILITA' GEOGRAFICA: L'Italia non è l' Olanda o la Danimarca. Abbiamo certamente delle zone ventose, ma il territorio italiano non si presta in toto. Il rumore delle pale è fastidioso nelle ore notturne.
FATTIBILITA' POLITICA : l'italiano medio ha la memoria corta. Egli si è dimenticato che i primi oppositori contro l'implementazione di pale eoliche in Italia sono stati proprio i Verdi e gli esponenti della LAV.
I Verdi perchè dicevano che le esigenze di manutenzione delle pale imponevano la costruzione di strade di servizio di cemento in zone magari incluse in parchi naturali  (non ho mai capito il perchè avessero scartato immediatamente l'idea di farle sterrate). Quelli della LAV perchè effettivamente le pale eoliche ogni tanto affettano qualche piccione. Sempre per ricordare la mentalità dell' italiano medio, l'
Italia è il paese che ha deciso di osteggiare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, preferendo mantenere la Sicilia in una condizione di degrado piuttosto che disturbare le fasi dell'
accoppiamento delle alici.
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: scarso, scarsissimo. Una pala di grandi dimensioni può nella migliore delle ipotesi arrivare a rifornire di energia un quartiere.
FATTORE GREEN: elevato, una volta prodotte le pale rimangono in funzione, senza inquinare per parecchio tempo

ENERGIA IDROELETTRICAFATTIBILITA' GEOGRAFICA: elevata: l'Italia è piena di fiumi e valli. Però per produrre tutta l'elettricità di cui abbiamo bisogno con l'idroelettrico dovremmo riempire tutti i nostri fiumi e le nostre valli di dighe di cemento.
FATTIBILITA' POLITICA: la diga va bene a tutti come soluzione, tranne agli abitanti dei paesi nei dintorni. E non hanno tutti i torti perchè in caso di cedimento strutturale dovuto per esempio ad un terremoto, l'onda di piena generata dal crollo della diga spazzerebbe tutto e tutti. Ricordate la tragedia del Vajont? http://www.vajont.net/ RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: elevato. Le centrali idroelettriche costano tantissimo ma sono capaci di rimanere in funzionamento per più di cento anni FATTORE GREEN: l'impatto ambientale di una diga è devastante. Intere valli vengono trasformate, tutta la fauna e la flora circostante vengono eliminate.

SOLARE:
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: buona, sopratutto al centro sud Italia.
Attenzione però, Messina non è il Sahara!
FATTIBILITA' POLITICA: elevata, tanto i pannelli li pagano i cittadini RAPPORTO COSTO/CAPACITà PRODUTTIVA: scarsissimo. Un pannello solare non è in grado di produrre nemmeno il 100% dell' acqua calda necessaria ad una abitazione con 4 persone. Nè tantomeno è in grado di produrre elettricità a sufficenza. Il concetto è bellissimo ma sino a che l'efficenza media di un pannello si attesta intorno al 15% di conversione di luce in energia, la diffusione sarà scarsa, visti anche i costi parecchio elevati (nonostante gli incentivi statali, che sono una presa per il giro, perchè i soldi dello stato arrivano sempre dalle nostre tasche).
FATTORE GREEN: medio. Una volta installati durano in media solo 15-20 anni e vanno rimpiazzati con nuovi pannelli il cui costo sia produttivo che in termini di bilancio ecologico sono elevati.

ENERGIA DELLE MAREE:
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: nulla, l'Italia non possiede il tipo di grandi maree necessarie per far funzionare quella tecnologia FATTIBILITà POLITICA: ma per favore! In 30 anni non abbiamo saputo terminare l'installazione del MOSE a Venezia...
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: buono, se avessimo le maree della Nuova Zelanda.
FATTORE GREEN: medio, la manutenzione è costosa e verrebbe effettuata comunque con mezzi a motore

BIOCARBURANTI:
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: buona, l'Italia è un territorio eminentemente agricolo FATTIBILITà POLITICA: nulla. I nostri agricoltori scendono in piazza sparando letame per protestare contro le quote latte, figuriamoci cosa farebbero in caso di riqualificazione forzata delle colture.
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: nessuno lo ha ancora ben capito FATTORE GREEN: medio, i bio carburanti inquinano meno, ma inquinano.

ENERGIA DA PUNTO ZERO/ENERGY OVERRUNFATTIBILITA' GEOGRAFICA: altissima, l'Italia è il paese perfetto, zeppo di creduloni pronti a credere alla prima corbelleria scientifica.
FATTIBILITA' POLITICA: ancora più alta. I politici italiani pur di far mastellianamente contenti i propri elettori, sarebbero capaci di stanziare fondi pubblici per la ricerca in quel senso, pur sapendo che stanno gettando i quattrini al vento.
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: nulla. è una bufala. Non può funzionare perchè con le tecnologie di oggi non siamo in grado di estrarre grosse quantità di energia dal punto zero (ribollio quantico).
Gli stessi scienziati sono peraltro discordi sulla quantità di energia che eventualmente potremmo sottrarre al vuoto cosmico.
FATTORE GREEN: elevatissimo. Non funzionando non inquina e dura tantissimo. Perfetto per alcuni creduloni di mia conoscenza.

Inoltre, se dovessimo costruire installazioni che utilizzino tutte queste forme di energia alternativa, non saremmo comunque in grado di sostenere il fabbisogno energetico nazionale. Ricordatevelo però quando andate a votare!
 
Per spiegare il paradosso del nucleare io uso in genere il paragone con i treni superveloci. Esso sono considerati oggi il mezzo più efficente ed ecologico del pianeta. E non a torto. Però la gente si dimentica che prima delle attuali motrici superefficenti (tipo freccia rossa), c'erano i locomotori a motore diesel. E prima di quelli c'erano i locomotori che bruciavano carbone ed inquinavano tantissimo, uccidendo forse più dell'atomo.
Eppure nessuno nel mondo civilizzato si sognerebbe oggi di mettere al bando i locomotori di nuova generazione (tranne in Italia, dove i Verdi preferiscono bloccare la costruzione dei tunnel per l'alta velocità, mantenendo lo status quo di una rete viaria su gomma congestionata da autocarri diesel).
Perchè mai con il nucleare non si può usare lo stesso atteggiamento?

Per concludere,  una domanda che nessuno si prende la briga di fare più:
quale è il costo sociale del non essere autonomi dal punto di vista energetico? La risposta ce la danno proprio i giapponesi che entrarono in guerra il 7 dicembre 1941 perchè le loro scorte di petrolio stavano esaurendosi. Furono piegati da una bomba nucleare americana e nonostante ciò, impararono la lezione e si dotarono immediatamente di centrali nucleari, per evitare di dover fare un' altra guerra per l'approvigionamento energetico.

Una nota: l'incidente della centrale di Fukushima non rappresenta una sconfitta del nucleare ma una sua vittoria. Il fatto è che la gente tende a decontestualizzare l'episodio dimenticandosi che è avvenuto su un isola che ospita un totale di 55 centrali nucleari di prima generazione (vecchie 40 anni) colpita da un terremoto colossale e devastata da uno Tsunami di proporzioni bibliche. Cionostante non è ancora avvenuto nessun olocausto nucleare. Devo necessariamente dare credito a questa riflessione all' eccellente Oscar Giannino.

Certo, c'è una terza via ed è quella della riduzione dei consumi. Io e mia moglie possiediamo un' auto ibrida. Ciononostante quando guido io l'ibrida, riesco a scendere su strade extrraurbane a 3,3 litri per 100 km mentre la mia compagna  non scende mai sotto i 6,5 litri per 100 km.
Eppure guidiamo la stessa autovettura. La differenza è che io pongo attenzione a come guido, lei no.
Lei è anche quella che lascia la lampada sul suo comodino perennemente accesa, anche di giorno e  anche se fuori di casa. Io corro dietro tutto il tempo a tutta la famiglia spegnendo le luci che loro lasciano accese.
 
Sono tutte persone intelligenti a casa mia eppure mi guardano come se fossi un alieno. La verità è che a nessuno oggi interessa fare mezzo passo indietro.
 
Eppure basterebbe porre un minimo di attenzione per ridurre i nostri consumi anche del 40% senza dover cambiare drammaticamente il nostro stile di vita.
 
Ed è forse questa la risposta più immediata a tutte le nostre domande.

L'Onu arriva tardi. Però maschera bene l'imbarazzo

di: Marco Respinti - La Bussola quotidiana


Tardiva e un bel po’ raffazzonata. L’analista Gianandrea Gaiani definisce così la decisione adottata la notte scorsa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu di istituire una “no fly zone” sopra i cieli della Libia in fiamme. Per Gaiani - esperto di strategia e studioso dei teatri di guerra, direttore del mensile web Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate giornalistiche - la “soluzione” potrebbe infatti giungere a giochi finiti. Perché se la Francia annuncia raid aerei nelle prossime ore, gli Stati Uniti ribattono affermando che per allestire l’interdizione dello spazio aereo libico alle forze di Tripoli occorre non meno di una settimana. «Ma se la “no fly zone” fosse estata istituita subito», spiega Gaiani, «diciamo anche solo una decina di giorni fa, le cose sarebbe state assai diverse».

E cioè?
Più credibili…

Adesso non lo sono?
Molto meno. Anzitutto la “no fly zone” rischia di essere inefficace sul piano pratico e in più la sua istituzione solo ora rivela di essere palesemente una scusa.

Per cosa?
Per coprire l’enorme imbarazzo che l’Occidente sta provando di fronte a Muhammar Gheddafi: l’Occidente non si può permettere il lusso di far finta di nulla con il raìs dopo averlo nelle scorse settimane trattato come il peggiore dei criminali della storia. Se Gheddafi dovesse sfangarla e rimanere al potere, cosa farebbe l’Occidente? Ecco dunque la necessità di un intervento che lo metta alle corde.

Lo metterà davvero alle corde?
L’istituzione di una “no fly zone” è già formalmente un atto di pre-guerra…

Quindi Gheddafi è finito…
Chi lo sa... Ma detto appunto che la “no fly zone” è già pre-guerra, di per sé l’interdizione dello spazio aereo libico all’aviazione libica non è in grado di fermare l’offensiva militare di Gheddafi. In Bosnia la “no fly zone” non impedì ai serbi di compiere atti genocidi, consumati con mezzi di terra. In Iraq è successo lo stesso. L’unica strategia che potrebbe militarmente ottenere risultati sarebbe l’intervento con truppe di terra, ma questo è l’unico punto esplicitamente vietato dalla risoluzione adottata ieri notte… E comunque sia, ora che la macchina occidentale partisse, potrebbe non servire ad alcunché. Gheddafi potrebbe arrivare a Bengasi, roccaforte delle forze ribelli, in tempi rapidissimi e poi - come peraltro sembra già avere annunciato - fermare l’esercito, lasciando che della normalizzazione si occupino le forze di polizia. Una strategia intelligente e vincente già a suo tempo adottata dalle truppe britanniche a Bassora, in Iraq, che sfollarono e rifocillarono i civili, snidando poi i nemici armati uno per uno, casa per casa. Questo ridusse al minimo le vittime in Iraq e potrebbe tenerne ugualmente basso il numero a Bengasi, a tutto vantaggio - anche d’immagine - di Gheddafi…

Ma, Bengasi a parte, Gheddafi sta massacrando da settimane il popolo libico…
Guardi, le fonti mediche locali, cioè non il governo di Tripoli, ma il personale impegnato in prima linea nelle strutture ospedaliere, parla di un totale, dall’inizio degli scontri, di circa 500 morti. Che non sono pochi, ma che non configurano un “genocidio”, cifre che non ci rendono Gheddafi più simpatico, ma che pure non giustificano lo stracciarsi le vesti da parte di quei Paesi occidentali che ora - tardi - strepitano e propendono - più alcuni di altri - per l’intervento armato immediato…

Intende dire la Francia?
La Francia, certo: il Paese che più sta spingendo per l’intervento militare. Poi però anche la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, ovviamente per ragioni petrolifere. Queste potenze, magari Francia in testa, sperano di poter ottenere vantaggi dal cambio di regime, magari sfilando proprio all’Italia alcuni contratti. Soprattutto ora che non possono più sostenere il regime di tripoli ritenuto peraltro un alleato fino a ieri. Se infatti l’Occidente - precisiamo: la Nato - intervenisse militarmente ora, passerebbe per il vero trionfatore. Da lì a ottenere vie privilegiate di accesso alle fonti energetiche sarebbe un attimo. Del resto, la del tutto improvvisa efficienza militare dei ribelli che si sta registrando - se le notizie fossero confermate - in Libia ora potrebbe far pensare a qualche fattivo aiuto occidentale già in atto seppur nascostamente. La “no fly zone” e quel che ne seguirà diverrebbero a maggior ragione solo una copertura di operazioni già esistenti.

In tutto questo a che punto è l’Italia?
L’Italia è legata alla Libia da un trattato di amicizia. Non a un governo libico qualunque, ma allo Stato libico in quanto tale (peraltro il governo che ha nella fattispecie sottoscritto con Roma quel trattato più che governativo è ancora comunque in carica a Tripoli). Di per sé quel trattato l’Italia lo starebbe già violando; d’altro canto, l’Italia fa pure parte della Nato in maniera non meno vincolante… Credo comunque, realisticamente, che nell’eventualità di una operazione militare della Nato l’Italia fornirà supporto aereo di vigilanza alla “no fly zone”, utilizzando le basi di Trapani e Sigonella, più le strutture utili anche a scopi militari di Lampedusa e Pantelleria. Anche per operazioni di ricupero in casi di necessità.

Un ultima domanda. Come vede l’intero scenario delle “rivolte del pane”  mediorientali e nordafricane?
Giocoforza ci si è concentrati sul caso libico, e a buon diritto. Ma ciò conferma che è impossibile generalizzare la situazione per tutti Paesi di area interessati da tumulti, sommosse, rivolte. Ciò che accomuna le varie “piazze” arabe è l’insoddisfazione rispetto a regimi non democratici, al rincaro assurdo di generi di prima necessità, alla spartizione asimmetrica (Libia docet) dei proventi derivanti della prima fonte di ricchezza di quel mondo, il petrolio.
Detto questo, però, ognuno di quei Paesi ha contesti, storie, meccanismi, culture e situazioni diverse. Impossibile appiattire tutto nell’indistinto. Ci sono rivolte per il pane, ribellioni a gerontocrazie, dissidi enormi fra sciiti e sunniti, spinte secessioniste, e così via. Spesso le cose si sovrappongono e si assommano, ma questo complica ulteriormente il quadro. Il punto focale ora è la penisola arabica. Lì l’Arabia Saudita ha deciso di far da sé perché non si fida più dell’Occidente che ha scaricato tanto repentinamente un alleato fondamentale qual era Hosni Mubarak in Egitto. Ora è Riad che pensa d’imporsi come gendarme regionale dell’ordine e lo dimostra fattualmente. E resta vera una cosa: dopo l’Unici Settembre l’unica strategia occidentale sul campo è stata quella studiata, elaborata e portata avanti del presidente americano George W. Bush jr. e dai neoconservatori. E cioè la necessità di entrare militarmente in un mondo chiuso e privo da sempre di democrazia qual è quello islamico, forzandone le porte. Una strategia che ha i suoi rovesci di medaglia, i suoi limiti e anche i suoi tentennamenti, ma anzitutto l’unica messa in campo e in secondo luogo quella che, comunque, qualche risultato lo sta portando in Iraq, persino in Afghanistan nonché - localmente – in altre zone di quel mondo.

sabato 19 marzo 2011

Lettera al mio papà

di: Sabrina Pietrangeli Paluzzi - L'Ottimista

“Per te il regalo più grande è quello della mia vita”

Caro papà,
come trovare le parole per dirti quanto ti voglio bene? Quando fui concepito, fu per amore. Tra i tanti semini che correvano per accaparrarsi il diritto di primogenitura nel misterioso ovulo della mamma, io sono arrivato primo. Vi ho voluti fortemente, ho fortemente voluto te come padre.

Le tue carezze sul pancione di mamma le ho sentite ogni giorno, piene di amore. E quante preghiere recitavi con la tua manona, quando sapesti della mia malformazione, della mia imminente morte nel grembo. Quanta determinazione nel dire “di aborto non se ne parla neanche. È nostro figlio”, quando i dottori ti prospettarono la cosa. E quanta forza hai dato alla mia mamma, per accompagnarmi lungo il percorso, giorno dopo giorno. Quanti rosari sgranati, quanta fiducia che Dio potesse davvero donarmi la vita, se solo lo avesse voluto. Quanta gioia quando, a dispetto delle funeste previsioni, la mia situazione cambiò. Le tue preghiere sono state e tuttora restano: “Grazie, Signore, di avermi restituito mio figlio”.
La fiducia di andare avanti, nonostante sapevi bene che ero un uovo di Pasqua: apparentemente incartato con colori brillanti e fiocconi pendenti, ma dentro… come ero? Avrei potuto fare le cose degli altri bambini? 

Mi avresti portato a giocare a pallone? Mi avresti sentito parlare, visto correre? Non ti importava nulla: “Ti amo, figlio mio”, era il leit motiv dell’attesa.
Il giorno della mia nascita, eri fuori a pregare con i tuoi amici. Quando mi hai visto nell’incubatrice, le tue lacrime hanno bagnato l’obiettivo della cinepresa con la quale cercavi di rubare i primi momenti di vita per mostrarli alla mamma e alle sorelline. Avevo quattro giorni, quando potesti toccarmi e prendermi tra le tue braccia per la prima volta.
Papà, sei stato con me ad ogni progresso, ad ogni intervento chirurgico. I tuoi messaggi di speranza aiutavano la mamma, e le hanno permesso di resistere quei sette mesi di continuo ricovero ed incertezze.
La prima volta che ho gattonato, la tua faccia è diventata come quella dei bambini dinanzi ai regali di Babbo Natale… e quando ho camminato, anche tu hai pianto come la mamma.
Caro papà, oggi sei disoccupato da un anno. L’incertezza è tanta, eppure in casa si sorride e si scherza. Ad ogni pasto arriva il tuo ringraziamento a Dio Provvidenza; non ti devi preoccupare, perché se dovessi dimenticarti di pregare, te lo ricorderei io.
Oggi sono il tuo bambinetto di 8 anni; sono orgoglioso di somigliarti tanto: ho fiducia nella vita, so sorridere e dalle mie debolezze traggo insegnamento.
L’altro giorno mi hai mostrato la tua foto di scuola elementare… per prendermi in giro, mi hai detto: “ma che ci fai in questa foto?!”. L’ho guardata, e ho risposto: “In questa foto c’è uno identico a me, ma non sono io”. Eri tu. Ti somiglio davvero tanto, papà mio, e ne sono orgoglioso, perché tu per me se il riflesso dell’amore di Dio.
Il tuo amato figlio, Giona

martedì 15 marzo 2011

Il clima cambia. Si riscalda pure?

di: uprait.org

Se parli di "Cambiamento climatico" ti credono di più che se ti riferisci al "Riscaldamento globale". Gli autori di uno studio che analizza i siti internet dei "think tank" americani si meravigliano di questo fenomeno. Ed è vero che, come affermano nello studio, l'uso delle parole influisce moltissimo sulle opinioni. Ma non si accorgono, sembra, che in questo caso le due espressioni sono davvero diverse: che il clima sta cambiando "non ci piove"; che il pianeta si stia veramente riscaldando in modo smisurato è un'altra storia. Molti cittadini, sempre di più, sono scettici sul famoso "riscaldamento", non tanto per l'uso delle parole quando perché sempre più esperti offrono più dati che fanno capire che la cosa non è tanto chiara. Sono dieci anni che la temperatura globale del pianeta terra non aumenta.
Anzi, sono i propagatori del Riscaldamento ad aver ripiegato da qualche anno sul più mite Cambiamento. Va a capire che, dopo tanto tam tam, il clima non si sta riscaldando più. 
Gonzalo Miranda


"Global Warming" or "Climate Change"? Whether the Planet is Warming depens on Question Wording

Autori: Johathon P. Schuldt, Sara H. Konrath, Norbert Scharz

Fonte: Public Opinion Quaterly, Vol. 75/1, 115-124

‘‘GLOBAL WARMING’’ OR ‘‘CLIMATE CHANGE’’?
WHETHER THE PLANET IS WARMING DEPENDS ON QUESTION WORDING
JONATHON P. SCHULDT* SARA H. KONRATH NORBERT SCHWARZ
Abstract In public discourse and survey research, global climate change is sometimes referred to as ‘‘global warming’’ and sometimes as ‘‘climate change.’’ An analysis of web sites of conservative and liberal think tanks suggests that conservatives prefer to use the term ‘‘global warming’’ whereas liberals prefer ‘‘climate change.’’ A question wording experiment (N 1⁄4 2267) illustrates the power of these frames: Republi- cans were less likely to endorse that the phenomenon is real when it was referred to as ‘‘global warming’’ (44.0%) rather than ‘‘climate change’’ (60.2%), whereas Democrats were unaffected by question wording (86.9% vs. 86.4%). As a result, the partisan divide on the issue dropped from 42.9 percentage points under a ‘‘global warming’’ frame to 26.2 percentage points under a ‘‘climate change’’ frame. Theoretical and meth- odological implications are discussed.
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Da Le Scienze online:
Il peso delle parole

'Cambiamento climatico' o 'riscaldamento globale'?

Negli Stati Uniti il 60 per cento di quanti si dichiarano repubblicani ritiene che il cambiamento climatico sia una realtà, ma solo il 44 ritiene reale il riscaldamento globale
Molti cittadini statunitensi sono scettici sul riscaldamento globale, ma in realtà il loro scetticismo varia in modo sistematico in funzione delle parole che vengono utilizzate per descrivere il fenomeno. E' quanto risulta da un'indagine condotta da ricercatori dell'Università del Michigan, che hanno pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Public Opinion Quarterly.

In sostanza molte più persone credono nel cambiamento climatico di quante non ritengano che sia in atto un riscaldamento globale: il 74 per cento degli intervistati considera che il problema sia reale quando vi si fa riferimento parlando di cambiamento climatico, mentre la percentuale scende al 68 se si parla di riscaldamento globale.

Questa differenza, osservano i ricercatori, potrebbe derivare dalle differenti associazioni di idee che vengono stimolate dai due termini. "Mentre riscaldamento globale porta l'attenzione sull'aumento di temperatura, cambiamento climatico la focalizza su cambiamenti più generali. Quindi una giornata insolitamente fredda può accrescere i dubbi sul fenomeno di riscaldamento molto più che su quello di cambiamento", osserva Jonathon Schuldt, primo firmatario dell'articolo

Nello studio i ricercatori hanno anche analizzato l'uso dei due termini in rapporto all'orientamento politico, scoprendo che liberal e conservatori avevano un atteggiamento differente nei confronti delle due espressioni.

Per prima cosa hanno così analizzato una serie di siti Web che fanno riferimento a gruppi intellettuali di area repubblicana e democratica, rilevando che nei primi il fenomeno viene per lo più indicato con l'espressione riscaldamento globale, mentre nei secondi si parla in genere di cambiamento climatico. Quando poi sono andati a vedere le dichiarazioni di orientamento politico dei soggetti intervistati, hanno potuto constatare che le risposte sul fenomeno erano in stretta correlazione con esso.

Il 60 per cento di quanti si dichiaravano repubblicani riteneva che il cambiamento climatico sia una realtà, ma solo il 44 riteneva reale il riscaldamento globale. Fra quanti si definivano democratici o indipendenti, il fenomeno è considerato preoccupante dall'86 per cento degli intervistati, quale che sia il nome con cui viene indicato.

mercoledì 9 marzo 2011

Conferimento Dottorato di Ricerca Honoris causa in Bioetica al Cardinal Sgreccia

di: (AGI) - CdV, 8 mar

VATICANO: DA ATENEO LEGIONARI LAUREA H.C. A CARD. SGRECCIA

L’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, promosso dai Legionari di Cristo, conferira’ il dottorato Honoris Causa in Bioetica al card. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita. La cerimonia si svolgera’ venerdi’ 25 marzo e la Laudatio sara’ tenuta dal biotcista Gonzalo Miranda, religioso dei Legionari di Cristo, e ordinario della Facolta’ di Bioetica. In risposta, il card. Sgreccia terra’ una Lectio Magistralis sul tema “Una rinnovata riflessione sulla creazione per la fondazione della Bioetica”.
Sgreccia ha pubblicato oltre 400 lavori su riviste italiane e straniere. Nel suo ricco curriculum figura anche la pubblicazione - nel 1986 - del primo manuale universitario di Bioetica pubblicato in Italia, un testo fondamentale tradotto in varie lingue. Gia’ membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, si deve a Sgreccia il Centro di Bioetica nato nel 1985 all’interno dell’Universita’ Cattolica di Roma. Nel 1992 ha costituito l’Istituto di Bioetica presso la Facolta’ di Medicina e Chirurgia della stessa universita’.
Fondatore della rivista “Medicina e Morale”, e’ membro del Consiglio Scientifico della Facolta’ di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Presidente Onorario della Pontificia Accademia per la Vita, ha concentrato il suo pensiero accademico sul personalismo ontologicamente fondato.
La cerimonia di conferimento al card. Sgreccia della laurea h.c. solennizzzera’ quest’anno “la Festa dell’Ateneo”, momento di incontro al quale partecipano studenti, professori, amici e collaboratori, “uniti - si legge in una nota - nell’impegno al servizio della Chiesa e nello spirito di comunione con le altre istituzioni universitarie”. Nell’occasione pronunceranno discorsi sia padre Pedro Barrajon, rettore dell’Ateneo Pontificio che padre Alvaro Corcuera, gran cancelliere dello stesso Ateneo e direttore generale della Congregazione dei Legionari di Cristo.

martedì 8 marzo 2011

Carnevale a Rio tra Ronaldinho e top model

di: Il Tempo

La prima notte del Carnevale di Rio è trascorsa sfavillante come sempre e le scuole di samba che hanno visto i loro carri allegorici e i loro costumi andare in cenere nel grande incendio del 7 febbraio scorso sono riuscite ad entrare nel «sambodromo» di Oscar Niemeyer osannate dal pubblico, con lo spettacolo recuperato quasi al cento per cento. La famosa Portela non ha avuto bisogno di Ronaldinho, che ha sfilato con giacca e cravatta di lino bianco e azzurro per tutta l'avenida, per animare il pubblico di 80 mila persone che per tutta la notte ha accompagnato le sfilate: il tema di quest'anno dedicato al mare di Rio de Janeiro ha fatto dimenticare con l'oceano della dea Jemanjà e le navi dei pirati il fuoco che ha distrutto un mese fà gran parte della Città del Samba. La top model Gisele Bundchen (nella foto) è stata madrina della scuola di samba Vila Isabel interpretando la Venere di Milo senza però (lei è del Rio Grande do Sul) mostrare un buon samba nella sua danza. Pamela Anderson, scambiata dal pubblico per una bellezza locale famosa per i suoi seni siliconati, ha applaudito Ronaldinho che è riuscito a sfilare per due scuole di samba in una sola nottata, Portela e Mangueira.

Petrolio a prezzi record Conto salato per l'Italia

di: Filippo Caleri - Il Tempo

Con il barile di greggio a 100 dollari la bolletta passa da 27 a 34 miliardi. Ma il Brent ha già superato quota 118. Oro e argento mai così costosi.
SALASSO
Il pieno verde svuota le tasche delle famiglie

CarobenzinaLa crisi libica incendia il petrolio. Che vola a prezzi non ancora da brivido, nel 2009 il barile sfiorò i 150 dollari, ma che cominciano a mandare in fibrillazione il sistema economico internazionale. Ieri il greggio americano ha superato i 106 dollari, mentre il Brent, il parametro di riferimento europeo, ha oltrepassato i 118 dollari. Il mondo industrializzato comincia a subdorare il ritorno della peggior malattia per le economie: la stagflazione. E cioè la combinazione di bassa crescita e alta inflazione.

Per ora ci sono solo i segnali del contagio. Ma il mondo teme l'epidemia. Il blocco dell'export libico non è ancora totale, la parte di prodotto che manca è facilmente sostituibile con la sovrapproduzione di altri paesi produttori. L'Opec, il cartello che riunisce i principali paesi che lo estraggono, non ha ancora ritenuto necessario convocare un vertice straordinario. Dunque nessun allarmismo. Anche se i dati delle scorte mondiali fanno tremare. Se ci fosse un blocco totale della produzione, spiega la Cia in una sua stima, il mondo potrebbe, al ritmo attuale di consumo, resistere meno di tre mesi. Razionando forse si potrebbe allungare la vita del sistema di qualche altro mese. Poi l'uomo moderno dovrebbe cominciare la sua regressione al mondo pre-industriale. Scenari da fantapolitica. Irrealizzabili. Ma la crisi politica che agita l'Arabia Saudita, che conserva sotto il suo suolo la maggior parte delle riserve del mondo, qualche pensiero in più agli analisti lo danno.

L'Italia in particolare è una delle nazioni più greggio-dipendenti. E la volatilità dei prezzi colpisce senza pietà il portafoglio degli italiani. Il costo della bolletta petrolifera può diventare un terno al lotto. I dati sono ansiogeni, da far venire i brividi nelle ipotesi peggiori. Secondo l'Unione Petrolifera nel caso di un consumo di prodotti petroliferi analogo a quello del 2011 (sui 72 Milioni di tonnellate), con un intervallo di prezzi medio nell'anno di 100 dollari a barile e un cambio euro/dollaro vicino all'attuale (1,40), la fattura potrebbe toccare i 34,75 miliardi di euro contro i 27 del 2010. Una quota di ricchezza pari al 2,2% del Pil partirebbe senza ritorno verso i paesi produttori di oro nero. Si tratta di una stima certo. Ma è altrettanto vero che il prezzo di 100 dollari è stato ampiamente superato ormai da giorni. Questo significa che il conto finale potrebbe essere ancora più salato. A svuotare il portafoglio degli italiani non sarà solo la benzina ma anche tutti i beni di consumo. I listini sono sotto pressione da tempo. L'aumento del costo dei carburanti si trasmette, essendo voce nella formazione del costo complessivo, ai prodotti della spesa. Così l'inflazione ha già rialzato la testa.
A febbraio il carovita è salito al 2,4% un valore non toccato da anni. Con la stessa quantità di denaro, insomma, la borsa è meno piena. Non solo. Il greggio che corre mette in moto anche le altre materie prime. I forti acquisti sul bene rifugio per eccellenza, l'oro, hanno alzato l'asticella del suo prezzo al nuovo record di 1.445,70 dollari a New York e di 1.444,95 dollari a Londra. In corsa anche l'argento, salito ai massimi da 31 anni (36,5375 dollari all'oncia). E così i minerali usati nell'industria come il rame e la materie agricole di base come il cotone ieri al prezzo più alto della storia: 2,197 dollari a libbra. La Libia, insomma, può essere il detonatore di un momento di incertezza che domina sui mercati e nelle economie mondiali.

La medicina per il momento rischia di essere amara ancora una volta per i consumatori. L'unica ricetta per contrastare il caro prezzi che gli stati hanno è la leva monetaria: i tassi di interesse. La Bce sta per spingere il pulsante di un nuovo aumento del costo del denaro. Il mercato ha scontato entro fine anno un tasso di riferimento che, dall'attuale 1% arriveraà all'1,75%. Una mannaia per chi ha in corso mutui variabili con rate che si appesantiranno nel corso dei prossimi mesi. L'Euribor a 3 mesi, il tasso che viene preso come riferimento dalle banche per indicizzare i mutui, è salito ieri all'1,172% dall'1,162%. L'Euribor a un mese è salito dallo 0,897% allo 0,904%. Rate più care anche per chi accende ora i mutui. E dunque rinvio degli acquisti e depressione dei consumi. Gli italiani sperano con la mano sul portafoglio che in Libia torni presto la pace.

Codice d’onore

di: Il Foglio

All’università mormona dello Utah arriva un ragazzone nero che fa sognare la squadra di basket. Poi il disastro: si scopre che fa l’amore con la fidanzata e viene espulso. Storia di un puritanesimo senza eccezioni

Brigham Young University non è soltanto una delle più efficienti macchine educative d’America, coi suoi 30 mila studenti che trasformano Provo, 50 miglia da Salt Lake City, Utah, in una delle migliori “college town” d’oltreoceano. E’ anche l’istituzione che provvede alla formazione dei mormoni di successo, con una preparazione d’eccellenza ispirata a un rigidio puritanesimo mormone. Brigham Young, per anni, è stata anche una “powerhouse” dello sport universitario, travolgente passione degli americani, ma poi le cose hanno preso a funzionare meno bene: è diventato sempre più difficile convincere i talenti nascenti, spesso ragazzi neri delle grandi città, ad assoggettarsi al codice di comportamento previsto per gli iscritti alla Brigham Young, campioni o no.
Poi è arrivato Brandon Davies, uno stangone nero nato da quelle parti, che i maggiorenti dell’università hanno convinto a restare in forza alla squadra di pallacanestro della BYU invece che accettare le allettanti proposte dei college californiani. Brandon s’iscrive, gioca, la squadra inizia a vincere e in pochi mesi decolla. Il branco di ragazzotti biondi e dai cognomi scandinavi diventano il coro delle scorribande sotto canestro dell’astro nero, e la sequenza di vittorie dei Cougars, come vengono chiamati, fa sensazione: è l’anno buono per vedere Brigham Young alle finali, decretano gli esperti.
Un paio di giorni fa, il disastro. Nelle stesse ore in cui BYU arriva addirittura al primo posto del ranking stagionale del college basketball, Brandon Davies è accusato dai dirigenti dell’università di aver avuto rapporti sessuali con la fidanzata, contravvenendo all’articolo 2 del “Codice d’onore” che gli studenti dell’istituzione – proprietà della Chiesa di Gesù Cristo degli Ultimi Giorni – s’impegnano a rispettare: vivi in castità (al numero 1 c’è “sii onesto”, gli altri raccomandano di non bere, fumare, bere tè e caffè, non parlare sporco, andare in chiesa, vestirsi decentemente e soprattutto sorvegliare che gli altri studenti s’attengano al Codice – e qui si dev’essere fregato Brandon, denunciato da qualche pio compagno). La blogosfera sportiva e i talk show sono montati sulla notizia: che diamine, il ragazzino non ha fatto niente di male, niente che non venga consumato milioni di volte ogni notte in tutti i college d’America. Fermarlo significa umiliarlo, rendere vani gli sforzi dei compagni, deludere i tifosi. Brandon è apparso subito contrito: s’è scusato, ha ammesso l’errore, ha mugugnato quanto gli dispiaceva e alla domanda più attesa ha detto che sì, l’anno prossimo, anziché andare a guadagnare i miliardi dei professionisti, resterà ancora a Brigham Young per restituire alla squadra ciò che gli hanno sottratto i suoi ormoni (nel frattempo i Cougars, per la prima volta senza di lui, rimediavano una scoppola dai carneadi di New Mexico). Mentre alcuni dicevano che è il momento di lanciare una rivoluzione in nome della castità, l’America non mormona insisteva: così si rovina un ragazzo! C’è troppa ipocrisia in questa decisione, e gusto dello scandalo! Macché, rispondono da Provo: le regole sono uguali per tutti. Gli standard comportamentali richiesti agli studenti della Brigham Young sono elevati, ammettere eccezioni sarebbe irresponsabile e distruttivo. Non si tratta di decidere se è giusto o sbagliato: è un impegno preso.
Arrivare alle finali nazionali del torneo universitario vuol dire ricoprire d’oro la propria istituzione. Ci si vive di rendita per anni, tra diritti tv e visibilità. Ma dalle parti di Provo la graduatoria delle priorità è diversa e di questa diversità si nutre quel lifestyle arroccato e convinto che contraddistingue i mormoni. Per le migliaia di studenti che ogni anno provano a entrare alla Brigham Young, l’esistenza di quel Codice d’onore è un dato essenziale. E’ un binario esistenziale. Con Brandon in punizione non festeggeranno la vittoria, ma assaporeranno l’orgoglio di vivere e studiare secondo i loro propositi. In presenza della libertà di scelta, difficile dar loro torto.

Sorpresa a sinistra, il Pd boccia i consigli iperfiscalisti di Scalfari

di: Michele Arnese e Marco Valerio Lo Prete - Il Foglio

Giornaloni, banchieri, pm, grandi scrittori, tutti sembrano voler comandare su un Pd che appare sempre più a rischio “eterodirezione”. Adesso ci si rimette anche Eugenio Scalfari con le sue proposte di politica economica? “Non credo che l’editoriale di domenica di Repubblica rientri, almeno questa volta, in quella che al Foglio avete definito ‘eterodirezione’ – dice Stefano Fassina, responsabile economia del Pd – Questa volta da Repubblica viene infatti un intervento sul merito di un argomento, la crescita, e una proposta concreta”. Ovvero, per usare le parole di Scalfari, “tassare subito chi ha un adeguato imponibile, da oggi fino a quando la riforma fiscale sarà varata, e col ricavato rilanciare la crescita”; una proposta che i partiti di opposizione dovrebbero presentare in Parlamento, ha auspicato il fondatore di Repubblica.

Il Pd è d’accordo? “L’attenzione al dossier crescita è fondamentale e questo governo ha trascurato il tema. Un processo di riduzione del debito pubblico può avvenire soltanto se la crescita potenziale aumenta. Ma non condivido la proposta di Scalfari – aggiunge Fassina – la trovo allo stesso tempo iniqua e inefficace se l’obiettivo è quello di alimentare lo sviluppo”. Ingiusta perché come fu per l’eurotassa, alla quale Scalfari apertamente si ispira, “questa tassa straordinaria non potrà che colpire le classi medie, ovvero soprattutto i dipendenti, e in definitiva quelli che le tasse già le pagano tutte”. Non solo, secondo Fassina il paragone con l’eurotassa degli anni 90 regge soltanto fino a un certo punto: “Questa volta siamo sicuri che ci sarebbe l’effetto depressivo, mentre non si capisce quale potrebbe essere il fattore propulsivo successivo”. Il Pd dunque non presenterà questa proposta in parlamento, come auspicato dal fondatore di Rep.: “Piuttosto continueremo a dare battaglia sulle nostre di proposte. Tre i punti su cui pressiamo il governo dal giugno 2008: riforme strutturali, ristrutturazione della pubblica amministrazione e infine riforma fiscale a gettito invariato, incrementando la lotta all’evasione, e ridistribuendo il carico dal lavoro e dall’impresa ai redditi da capitale”.

Anche all’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, non convincono i suggerimenti di Scalfari. E’ vero, quindi, che da Fassina a Visco, passando per Pier Luigi Bersani, i vertici del Pd hanno abbandonato l’idea di una qualsivoglia patrimoniale, visto che qualche mese fa in un rapporto del Nens, il centro studi di Bersani, Visco e Fassina, si suggeriva proprio una patrimoniale e una imposta sulle grandi fortune come quella francese. “Più che pensare a tassare per crescere, penso sia opportuno prima essere consapevoli dei fattori per cui l’Italia cresce poco e della pericolosità di una politica economica immobile come quella voluta da Giulio Tremonti che asseconda e mette d’accordo capitalisti e liberisti che odiano le regole”, dice Visco al Foglio.

Anche da un’altra mente economica del Pd arrivano rilievi ai consigli: “La proposta di Scalfari non mi convince – spiega al Foglio il senatore del Pd, Enrico Morando – secondo me una corretta politica economica, in vista di decisioni dirompenti del Consiglio europeo a fine mese, deve seguire tre direttrici. Innanzitutto regole rigorose sul fronte della spesa, compresa una spending review come quella che sta avendo successo in Germania e in Inghilterra. Poi si deve pensare a forme di dismissioni del patrimonio pubblico, che sulla base delle stime più recenti ha un valore di 550 miliardi di euro, per ridurre lo stock di debito statale. E solo in terza battuta, dopo aver intrapreso le altre due strade, si può pensare a un prelievo per tre anni dell’1,5 per cento sul valore del patrimonio privato detenuto dal 10 per cento degli italiani che posseggono il 50 per cento di tutto il patrimonio privato complessivo”.

Quei batteri nei meteoriti "Forme di vita dallo spazio?"

di: LUIGI BIGNAMI - La Repubblica

Ricercatore della Nasa scopre fossili estremamente piccoli precipitati su zone remote del pianeta. Alcuni somigliano a forme di vita terrestri, altri sono "alieni". Grande cautela nella comunità scientifica per una scoperta potenzialmente dirompente.

Quei batteri nei meteoriti "Forme di vita dallo spazio?"

Sono lunghi e filamentosi. Così appaiono i primi (o forse i secondi) alieni sbarcati sulla Terra. Un ricercatore della Nasa infatti, sostiene di aver scoperto una forma aliena fossilizzata di vita giunta dallo spazio che può spiegare, tra l'altro, come la vita stessa sia arrivata sulla Terra. La sua scoperta è stata pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Cosmology. Nonostante la certezza dalla scoperta, frutto di lunghi anni di ricerche, il ricercatore Richard Hoover, un astrobiologo che lavora per il Marshall Space Flight Center della Nasa, ha chiesto a ricercatori di tutto il mondo di verificare se le sue prove possono in qualche modo non essere corrette.

La straordinaria affermazione di Hoover arriva dopo dieci anni di studi su fossili di batteri estremamente piccoli caduti in zone remote di tutto il pianeta. Hoover infatti, ha girato dall'Antartide, alla Siberia fino all'Alaska per cercare nei ghiacci forme estremamente rare di meteoriti, chiamate  CI1 condriti carboniose, di cui al momento esistono solo una decina di campioni.
Alcuni dei fossili  messi in luce assomigliano ai batteri che sulla Terra sono chiamati Velox Titanospirillum. "La scoperta ci dice che la vita nell'Universo è assai più diffusa di quel che pensiamo", ha detto Hoover, che ha continuato: "Guardando le meteoriti al microscopio ho rilevato vari tipi di fossili di batteri diversi, alcuni dei quali assomigliano a batteri terrestri, altri sono invece, sono del tutto sconosciuti, veri e propri alieni".
 
Se così fosse assumerebbe grande valore l'ipotesi della panspermia, ossia la tesi che vuole che la vita sia arrivata sui pianeti, Terra compresa, dallo spazio e che non sia un fenomeno unico del nostro pianeta.  "Un elemento importante -ha detto il ricercatore- è il fatto che molti dei batteri siano riconoscibili e si possano confrontare con specie terrestri. Questo lega la vita del nostro pianeta con quella portata dallo spazio".
Nella scoperta già di per sé estremamente interessante Hovver avrebbe identificato dei batteri che non possiedono azoto.

Alcuni ricercatori, come Seth Shostak, astronomo presso l'Istituto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), ha detto che è davvero difficile credere ad una simile scoperta. "Se ciò che sostiene Hoover fosse vero, le implicazioni sarebbero di vasta portata in tutto il campo della scienza e dell'astronomia", ha detto Shostak. Ora le ricerche di Hoover verranno sottoposte a test indipendenti e se troveranno conferma avremo la certezza che gli alieni sono davvero scesi sulla Terra.

Va ricordato che questa scoperta si affianca a quella del meteorite di origine marziana trovato in Antartide noto come ALH84001, da Allan Hills, il luogo ove venne scoperto nel dicembre 1984 da Roberta Score.  Nel 1996  David McKay della Nasa sosteneva di aver trovato al suo interno tracce di vita. Tra le sue pieghe infatti, vennero trovate strutture a catena di probabile origine biologica. Con un diametro compreso tra i 20 e 100 nanometri, le loro dimensioni erano simili a quelle di alcuni  nanobatteri terrestri. La scoperta è sempre stata contestata, ma al momento la spiegazione biologica è quella che prevale.

lunedì 7 marzo 2011

Gheddafi sfida la realtà: "Rivolte colpa dei Media"

di: Libero

Il rais accusa la stampa occidentale di aver ingigantito le proteste: "Venite e vedrete con i vostri occhi". Esclusa la mediazione di Hugo Chavez.
La ribellione in Libia? Tutta colpa dei media occidentali. A dirlo è il dittatore libico Muammar Gheddafi. Dopo aver sottolineato ieri alle democrazie il suo ruolo chiave contro il fondamentalismo islamico, oggi in un'intervista all'emittente France 24 non risparmia critiche alla stampa. "Ai miei amici e al mondo dico che è stata data un'immagine distorta delle manifestazioni pacifiche. Molte tv hanno manipolato la realtà", ha attaccato. "Non bisogna ingigantire i fatti come si ci fosse un grosso problema. Abbiamo aperto le porte ai giornalisti stranieri, invitiamo il mondo ad aprire gli occhi".  

RAPPORTI ESTERI - Il Colonnello ha parlato anche dello strano rapporto che lega la Libia con l'Occidente: "È strano, le nostre relazioni erano buone. La Libia", ha proseguito, "aveva relazioni molto buone con gli Stati Uniti, l'Unione europea e con i paesi africani. Svolgiamo un ruolo cruciale per la pace nel mondo e nella regione" ha sostenuto il rais. "Da noi ci sono anche importanti gruppi petroliferi spagnoli e francesi, e all'improvviso questi paesi hanno dimenticato i loro interessi". Lunga tunica e copricapo marrone, nell'intervista video di France 24 il leder libico ha negato infine qualsiasi ruolo del presidente venezuelano Hugo Chavez nella risoluzione della crisi. "Questa mediazione per ora non esiste. Qui non ci sono problemi: quello di cui abbiamo bisogno è sbarazzarci da queste gang armate".

COMBATTIMENTI - Nel frattempo, continuano le violenze in Libia. Almeno sette morti e una cinquantina di feriti: è il bilancio dei combattimenti delle ultime ore nella località costiera libica di Ben Jawad, dove si sono scontrate forze pro-Gheddafi e ribelli. La morsa del Colonnello non si allenta. Per far fronte all'emergenza, torna in ballo l'opzione della no-fly zone. La Francia ha infatti reso noto che la Lega Araba starebbe appoggiando l’ipotesi di imporre una zona di esclusione di volo sulla Libia, così da impedire alle forze di Muammar Gheddafi di colpire i ribelli.

AIUTI ITALIANI - Nel frattempo l'Italia prosegue le operazioni umanitarie. La nave 'Libra', che porta 25 tonnellate di aiuti della cooperazione, è entrata questa mattina nel porto di Bengasi. Il pattugliatore della Marina Militare, partita dal porto di Catania, porta 25 tonnellate di aiuti e materiale della cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri. A bordo, oltre a quattro generatori elettrici, sono state imbarcate tende familiari, 4.000 coperte, unità di purificazione dell'acqua e 40 kit medici per patologie generali. Il pattugliatore trasporta anche acqua, con due serbatoi, rispettivamente da 3.500 e 7.500 litri, e cibo donato dalla cooperazione: 5 tonnellate di riso e 5 tonnellate di latte. 
FRATTINI - Per quanto riguarda gli aiutu militari, il ministro degli Esteri Franco Frattini è stato più titubante. E' "assai difficile" pensare all'ipotesi di aerei militari italiani coinvolti sul terreno libico, ma "la nostra lealtà euroatlantica ci fa dire che non potremmo negare l'uso delle basi militari. La prima cosa da fare", ha proseguito Frattini "è essere consapevoli che questa tragedia davanti a noi non può essere fermata domani, se non facendo la guerra. E la guerra non è un videogioco, la guerra è una cosa seria". Frattini ha inoltre ricordato che l’Italia ha già dato il via libera al cosiddetto 'contingency plan', un piano della Nato che esamina tutte le opzioni per una no-fly zone.