La Missione è quella di creare un'associazione tra la Comunicazione e la Cultura. Spesso questi due ambiti non si incontrano (il comunicatore non fa vera cultura e l'accademico non sa comunicare in modo efficace). Noi vorremmo far incrociare i due binari per portarli a formarne uno unico.

Vorremmo stimolare l'aspetto critico del fruitore, per comunicare cultura e per acculturare la comunicazione.

Questo Blog vuol essere un punto di riferimento per articoli d'informazione giornalistica-scientifico-culturale-economica.

Qui potrete trovare ogni tipo d'informazione e saremo lieti di stimolare un sano e doveroso dibattito per ogni singolo articolo, con il fine d'incrociare nel massimo rispetto di pareri ed opinioni diversi tra loro, per giungere così ad una proposta d'incontro tra i molteplici aspetti di una società multiculturale

venerdì 7 maggio 2010

Marea nera sui paradisi, al via la prova 'cupola'

L'incubo di un eco-disastro inizia a diventare realtà

di: ANSA.it (07 maggio 2010)

NEW YORK - Bp ha cominciato a calare la 'cupola' di contenimento del greggio sul fondo del Golfo del Messico nella speranza di catturare, prima che arrivi in superficie, il petrolio che sgorga dal pozzo petrolifero sottomarino danneggiato dall'affondamento della piattaforma Deepwater Horizon. Lo ha annunciato un portavoce della società. Ci vorrà tempo per la struttura di acciaio e cemento per raggiungere il fondo del mare a 1.500 metri di profondità e per collegarla a una nave in superficie che immagazzinerà il greggio, ma Bp spera di avere completato le operazioni preliminari entro lunedì prossimo.

L'incubo di un eco-disastro inizia a diventare realtà: la macchia di petrolio nel Golfo del Messico sta inquinando le Isole Chandeleur, un paradiso ambientale al largo della Louisiana. La notizia del primo impatto della marea con la terra è giunta qualche ora dopo l'annuncio dell'impegno contro il gruppo Bp di una ambientalista molto nota, la Erin Brockovich dell'omonimo film.

"Abbiamo il greggio su tutte le Isole Chandeleur", ha detto un funzionario della Nooa, National Oceanic Atmospheric Administration, riferendosi al primo tratto di territorio colpito dalla marea. "E' l'unico inquinamento da petrolio riscontrato", ha puntualizzato il funzionario dell'ente governativo in una conferenza stampa telefonica. Altre fonti hanno d'altra parte riferito di alcuni uccelli, tra i quali cormorani, già incatramati dal greggio. Intanto, a circa 80 km dalla costa, nel Golfo del Messico, proseguono le manovre attorno al 'mega-imbuto', giunto ore fa in posizione sul 'ground zero' della perdita: la struttura sarà calata negli abissi del mare per contenere la perdita di greggio, operazione mai tentata prima a simili profondità, ovvero a oltre 1.500 metri sotto la superficie. A non avere dubbi sull'esito dell'operazione è l'amministratore delegato di Bp, Tony Hayward, che ha sorvolato in elicottero la flottiglia di navi dislocata nel Golfo.

"E' come lo sbarco in Normandia. Vinceremo", ha sottolineato. "Provano tutto il possibile. Se non funziona tenteranno qualcos'altro", ha a sua volta detto il capitano della chiatta Demi Shaffer. La complicata manovra, piena di incognite, è stata oggi al centro dell'attenzione negli stati Usa, dalla Louisiana alla Florida, che seguono passo a passo i diversi fronti - in primo luogo quello ecologico - sulla minaccia 'oil' per le proprie coste. "Confidiamo che sia un successo, perché ci darebbe più fiducia. Ma sapremo i risultati solo nel fine settimana", ha precisato il ministro alla sicurezza interna, Janet Napolitano, da oggi in visita nei luoghi 'nel mirino' della marea inquinante, incontrando autorità, popolazione e stampa, prima a Biloxi, in Mississippi, quindi a Pensacola, in Florida. Gli Usa stanno però combattendo la lotta contro il greggio non solo a livello industriale, come il mega-imbuto della Bp, ma tramite altri mille mezzi, dimostrando tra l'altro grande fantasia e inventiva. In queste ultime ore, un gruppo ambientalista californiano ha raccolto 200 mila chili di capelli umani e peli animali (donati da parrucchieri per esseri umani e per cani) che verranno utilizzati per realizzare barriere galleggianti di contenimento 'naturali'. Ad annunciare di voler impegnarsi in prima linea sul dossier 'marea', in particolare contro la Bp, è stata d' altra parte Erin Brockovich.

L'ambientalista Usa - interpretata da Julia Roberts nel noto film di Steven Soderbergh - sarà nei prossimi giorni negli stati colpiti dall'emergenza. La Brockovich oggi in un'intervista si è posta alcune delle domande che si pongono milioni di americani: "Chi aiuterà i pescatori, i proprietari di terreni danneggiati e le famiglie preoccupate per l'impatto che il greggio avrà sul cibo e sulla salute?". La Napolitano ha annunciato che oltre 34 miglia di galleggianti sono stati dispiegati sulla superficie del mare al largo dalle coste del Mississippi: ma in totale, ha precisato, le boe anti-greggio si trovano già disposte lungo 100 miglia delle coste del Golfo del Messico. E stanno lavorando alla missione contro il petrolio circa 10 mila persone e 270 imbarcazioni di diverso tipo. Successivamente, parlando a Florida, la Napolitano ha rilevato che l'emergenza è in evoluzione, senza scartare il rischio che la marea diventi "un disastro senza precedenti".

L'unità d'Italia? Un fatto anche cristiano

di: Luca Marcolivio - L'Ottimista (07 maggio 2010)

La cultura cattolica contribuì alla coesione sociale e alla crescita del Paese, supplendo ai limiti delle élite laico-risorgimentali

L'amore per l'Italia non è in contrasto con la fede cattolica. A meno di un anno al 150° anniversario dell'unità del Paese, giova ricordare il ruolo esercitato dalla cristianità nella storia italiana. Lo ha ribadito il presidente della CEI, cardinal Angelo Bagnasco, in occasione del convegno L'unità nazionale: memoria condivisa, futuro da condividere. Non solo la ricorrenza imminente dovrebbe evitare di andare a braccetto con sterili polemiche tra unitaristi e federalisti, 'legittimisti' e filo-risorgimentali. È anche importante “far riemergere il senso positivo di un essere italiani”, come ha ricordato Bagnasco, riconciliando, sempre per usare le parole del porporato, la “cultura alta” e la “cultura diffusa” (ovvero popolare) che, al momento dell'unificazione, erano lontane anni luce.


Ancora più significativa, per molti versi, l'osservazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che, da statista laico, ha ricordato “il grande contributo che la Chiesa e i cattolici hanno dato, spesso pagandone alti prezzi, alla storia d’Italia e alla crescita civile del Paese”. Il Capo dello Stato ha citato grandi cattolici come Sturzo, De Gasperi o Bachelet, il cui ruolo nella politica e nelle istituzioni è stato fortemente determinante, specie in un periodo come il secondo dopoguerra, durante il quale, i cattolici, pur 'nuovi' nel panorama politico italiano, hanno fornito un contributo incalcolabile nella ricostruzione post-bellica e nel miracolo economico.
Le riflessioni del capo dei vescovi e del Presidente della Repubblica, tuttavia, possono assumere un profilo davvero alto, solo se analizzate alla luce della vera storia del nostro Paese. Non solo alla metà del XIX secolo i tempi erano più che maturi per l'avvio di un processo di unificazione ma il mondo cattolico ne era fortemente consapevole, al punto che a scrivere un opera come Del primato morale e civile degli italiani fu un uomo di chiesa come l'abate Vincenzo Gioberti (1801-1852). Per non fare menzione dell'altro grande abate dello stesso secolo, quell'Antonio Rosmini (1797-1855) secondo il quale nell'Italia unita e federale “tutto doveva essere funzionale alla persona e alla famiglia, che venivano prima della stessa società e naturalmente dello Stato, in un intreccio di competenze basato sulla sussidiarietà” (1). L'unificazione d'Italia, invece, fu portata a termine da un'élite meschina, provinciale e anticattolica, costituitasi introno ai Savoia che, oltre ad aver versato sul terreno italico il sangue di numerosi nuovi martiri, appiattì notevolmente le differenze esistenti tra gli stati preunitari e mortificò le tradizioni plurisecolari che avevano fatto grande la nostra cultura popolare. È proprio a Gioberti che ha sempre guardato con attenzione uno storico cattolico come Augusto Del Noce (1910-1989) che individuava l'essenza più genuina del Risorgimento, non nella sua componente egemone radical-massonica bensì nella resurrezione dello spirito nazional-popolare, dell'anima profonda del nostro paese, della sua origine religiosa, giobertiana per l'appunto, da cui sarebbe dovuta scaturire una genuina e laicissima “religione civile”.
Non è dunque peregrino affermare che l'identità italiana è stata resa possibile dall'eredità ideale tra la Roma imperiale e quella papale, mentre movimenti popolari 'reazionari' come le Insorgenze non sono affatto da considerarsi anti-italiani. Al contrario alcuni di essi esprimevano un sentimento anti-Savoia e non antiunitario e “segnarono una prima manifestazione di un idem sentire tra gli italiani” (2).
Si accennava pocanzi alla sussidiarietà: sarebbe in tal senso ingeneroso non ricordare le decine di santi e beati vissuti a cavallo dell'unificazione. Uomini come Giuseppe Cottolengo, Francesco Faà di Bruno o Giovanni Bosco hanno giocato un ruolo non solamente spirituale, impegnandosi in prima linea per la coesione sociale, l'emancipazione delle classi più disagiate, l'alfabetizzazione e favorendo un processo di maturazione della nazione che il fragile ed inefficiente stato sabaudo non avrebbe mai potuto garantire.
Se queste sono le premesse, ci sono tutte le carte in regola perché il 150° anniversario dell'unità d'Italia, ben lungi dalla retorica e dagli isterismi ideologici d'ogni sorta, diventi l'occasione per un dibattito vero sulla nostra reale identità nazionale.

(1) Giuseppe Brienza, Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli stati italiani, Solfanelli, 2009, p.20
(2) Ibidem, p.7

L'extraterrestre sbarca in Vaticano

di: Il Tempo.it (07 maggio 2010)

Non siamo soli nell'universo. La Chiesa ha affidato agli astronomi pontifici la ricerca e lo studio di Et e di altri mondi. La Santa Sede apre agli Ufo, una conferenza nella parrocchia di Sant'Anna.

Papa Benedetto XVI Extraterrestri in Vaticano. Le astronavi aliene non sono, ancora, atterrate in piazza San Pietro, ma nella chiesetta di Sant'Anna, all'interno della Città leonina, l'altra sera si è parlato di Ufo. Alla pontificia parrocchia, l'associazione «Mercoledì culturali» ha fatto il punto sugli oggetti volanti non identificati, alla presenza di una platea appassionata. Alla conferenza ha assitisto anche il padrone di casa, il parroco di Sant'Anna, padre Bruno Silvestrini appassionato di mezzi tecnologici.

«La nostra presenza in Vaticano - ha spiegato l'ingegnere Alfredo Magenta presidente del gruppo Uit Onu, esperto di ufo - è dovuta al fatto che la Santa Sede è aperta a tutte le voci». Ma allora, ha chiesto il pubblico, gli extraterrestri esistono o sono pura immaginazione? «Non siamo soli nell'universo - ha rassicurato Magenta - C'è solo da attendere». I tempi, stando agli esperti, sono ancora lunghi. Vladimiro Bibolotti, segretario generale del Cifas, ha detto: «A noi conviene cercarli perché da una civiltà superiore ci si possono attendere risposte utili. Il fatto è che non sono ancora maturi i tempi per farlo». E allora, ha insistito il pubblico, tutti gli avvistamenti?

«Non parliamo di folletti ma se vediamo qualche oggetto non identificato - ha ammonito l'ufologo - non pensiamo di essere matti. Segnaliamoli alle forze dell'ordine rimanendo coi piedi per terra». Anche la Chiesa non è rimasta indifferente al fenomeno degli Ufo e, soprattutto attraverso gli astronomi del Papa, ha segnalato la necessità di continuare a studiare questi fenomeni. La politica, da parte sua, non è rimasta a guardare. Anzi, come ha ragguagliato il segretario del Centro Ufologico Nazionale, è stato «Andreotti in persona a chiedere all'Aeronautica di seguire gli ufo. Perfino FareFuturo, la fondazione di Gianfranco Fini, ci ha dedicato spazio. Ciò significa che il fenomeno è importante anche per le forze politiche». In attesa del prossimo avvistamento, si sappia: «gli extraterrestri non sono ostili». E poi ecco l'altra rivelazione del guru degli ufologi Roberto Pinotti. «Gli oggetti non identificati non volano, non sfruttano i normali principi aerodinamici. Stanno in aria per una questione gravitativa. A volte questi oggetti si sono visti affiorare dalle acque». Parola di ufologo.

Il Centro Ufologico Nazionale rappresentato da Roberto Pinotti, nel chiudere l'incontro in parrocchia, ha messo a disposizione un vademecum. Vedere un Ufo è un po' come assistere a un incidente, quindi quando si assiste a un fenomeno del genere «va segnata l'ora esatta dell'avvistamento». Il secondo consiglio è di «eseguire eventuali foto dell'Ufo, consegnate la macchina a esperti o ad autorità inquirenti in modo che lo sviluppo avvenga alla presenza di più testimoni qualificati».

Regno disunito e instabile

di: Il Foglio.it (07 maggio 2010)

Parlamento bloccato. Cameron dice che può governare senza maggioranza, ma il Labour non cede e rilancia l’alleanza con i Lib-Dem (che deludono). Il bipolarismo cammina su una gamba sola

Parlamento bloccato. E’ questo il responso dei seggi inglesi.  I conservatori avrebbero 288 seggi, trentotto in meno rispetto a quanto serve per la maggioranza assoluta. I laburisti ne avrebbero 244, centoventuno in meno rispetto al 2005. I liberaldemocratici, a sorpresa, avrebbero addirittura perso consensi rispetto alle ultime elezioni: 61 seggi contro i 51 attuali. Quest’ultimo dato ha suscitato perplessità: il team dell’Economist, riunito per un “live blogging” imperdibile, ha subito scritto che era parecchio strano come dato, il “surge” di Nick Clegg sarà anche stato sopravvalutato, ma così è davvero troppo. Molti altri analisti hanno iniziato a stimare i margini di errore delle prime rilevazioni, che potrebbero essere quindi molto diversi, anche perché il primo conteggio nel Sunderland, roccaforte laburista, ha registrato un passaggio dal Labour ai Tory del’8,4 per cento, cioè molto consistente.

A prima vista, però, dal Regno Unito arriva un messaggio di instabiltà che non può che suscitare preoccupazione in un’Europa già parecchio instabile. Se si pensa che, secondo Bruxelles, il deficit di Londra è il più alto in assoluto nell’Unione europea, anche rispetto alla famigerata Grecia, un Parlamento bloccato non può che generare ulteriore panico. Dopo i primi dati, non è neppure possibile stabilire chi sarà il prossimo premier. David Cameron, leader dei Tory, ha dichiarato che con questi numeri lui può governare anche in minoranza. Ma mentre dai Lib-Dem arrivavano parole di speranza – deciderà il popolo non l’exit poll –, si è mossa la macchina del Labour, con Lord Mandelson pronto a dichiarare: “Le convenzioni costituzionali sono molto chiare. Conoscete le regole. Le regole dicono che se c’è un Parlamento bloccato non è il partito con i numeri più alti ad andare avanti per primo. E’ il governo in carica”. Quando poi Mandelson ha detto che il sistema elettorale, il bipolarismo rigido, “cammina su una gamba sola”, si è svelata la strategia laburista: alleanza “solida e stabile” con i Lib-Dem.

L'anti-donazione irrompe in sala parto

di: Francesco Ognibene - Avvenire (07 maggio 2010)

Si paga per custodire le cellule del cordone

Non si capisce il perché, ma succede. E quando succede, non sembrano più scattare quegli automatismi culturali di difesa verso ogni insulto ai princìpi e al buon senso. Alludiamo al ribaltamento della realtà su delicatissime questioni bioetiche, per le quali esiste un intero campionario di paradossi.
Gli esempi si sprecano. Le staminali adulte garantiscono terapie già funzionanti? E allora si scatenano campagne per reclamizzare le virtù delle cellule embrionali, che sinora hanno guarito zero malati. I progressi della neonatologia rendono possibile la sopravvivenza di bambini nati prematuri a 22 settimane? Ecco pensosi documenti sostenere che prima delle 25 settimane non vale la pena prendersi cura di quelle creature. La selezione preimpianto degli embrioni moltiplica le giacenze nei freezer delle cliniche? Si insiste per avere ancor più mano libera nel selezionare e congelare vite umane. E ancora: la pillola abortiva crea problemi, anche letali, ma si dimettono dall’ospedale le donne che l’hanno appena ingerita. E via così, rimbalzando da un controsenso all’altro.

Fino a incontrarne uno nuovo, forse il più plateale, nascosto tra le pieghe di quella che comunque è un’ottima notizia. Diffondendo i dati sulla raccolta dei cordoni ombelicali nel 2009, il Gruppo italiano trapianti di midollo osseo (Gitmo) ha fatto sapere che le unità messe al sicuro subito dopo il parto hanno conosciuto un incremento superiore al 55% in un solo anno, oltre quota 14mila. Ancora un’inezia rispetto ai parti in Italia (ben oltre il mezzo milione), ma questa crescita improvvisa è forse il segno che le mamme italiane stanno arrivando a comprendere quanto sia semplice e prezioso il gesto di donare e far conservare il sangue cordonale del proprio figlio, del quale la ricerca biomedica ci sta mostrando la straordinaria efficacia per curare leucemie, mielomi multipli, anemie mediterranee, immunodeficienze e linfomi. Una vera panacea, che occorre raccogliere in modo appropriato, custodire in "banche" pubbliche, mappare e rendere disponibile per chiunque ne abbia bisogno e sia geneticamente compatibile. Le cellule cordonali sono un tesoro terapeutico da far mettere al sicuro senza alcuna spesa, sapendo che se domani ci si trovasse nella necessità di utilizzarne le virtù cliniche ci sarebbe quasi certamente un altro donatore compatibile col proprio profilo. Invece si scopre che per la maggior parte i cordoni "salvati" l’anno scorso (il 70%) non sono stati donati ma "riservati" in vista di un beneficio futuro per il proprio figlio che però la scienza ha escluso categoricamente.

Per guarire da malattie genetiche – dicono gli esperti, pressoché inascoltati – è molto meglio ricevere cellule da donatori che usare le proprie, nelle quali è scolpito il medesimo difetto dal quale si vuole guarire. E allora, perché quella larga maggioranza di "mancati donatori"? Perché esiste un fiorente mercato di biobanche private che custodiscono i cordoni a pagamento, utilizzando come testimonial personaggi dello spettacolo per fargli decantare le meraviglie del tenere gelosamente per sé un simile scrigno di possibili guarigioni altrui. E visto che in Italia questo bazar delle cellule è ancora vietato, ecco il lamento (radicali in testa, al solito) per il fatto di costringere gli italiani a rivolgersi oltre frontiera anziché legalizzare anche da noi questa ingannevole forma di concorrenza alla donazione. Un capolavoro di contro-realtà, e di autolesionismo. La donazione infatti innesca un intreccio di generosità, tesse quella trama altruista che sostiene la nostra società. Non ne possiamo fare a meno: si vive (e ci si cura) solo grazie agli altri. Non "donare" significa semplicemente negare ciò che siamo. Perché mentire a noi stessi?

giovedì 6 maggio 2010

D’Acunto e l’etica della parola: rivelazione e promessa nel linguaggio di Ricoeur

di: Sergio A. Dagradi - Il Giornale di Bioetica www.ilgiornaledibioetica.com (6 maggio 2010)

“L’etica della parola. La riflessione sul linguaggio di Paul Ricoeur” è l’ultimo libro di Giuseppe D’Acunto, docente di Storia della Linguistica all’Università “La Sapienza” di Roma. Centocinquanta pagine per le edizioni ETS di Pisa, nelle quali si delinea una sorta di presentazione analitica della riflessione di Paul Ricoeur (nella foto) attorno al linguaggio. L’autore organizza una puntuale trama di rimandi all’opera del pensatore francese - “Testimonianza, parola e rivelazione” - capace di ruotare attorno ai tre livelli d’analisi della parola che Ricoeur individua e presenta.

Questa trama permette al lettore di intendere, in modo compiuto, quella epistemologia dell’interpretazione che ha caratterizzato il percorso di pensiero dello stesso Ricoeur, evidenziandone il ruolo centrale giocato proprio dalla riflessione sul linguaggio. Come noto, infatti, accogliendo le critiche heideggeriane alla metafisica ipostatizzazione di una alterità originaria tra soggetto ed oggetto, postulata dal metodologismo delle scienze naturali, Ricoeur si rende parimenti conto della necessità di una integrazione tra ermeneutica ed epistemologia che vada oltre lo stesso Heidegger. La storicità dell’essere comprendente, come Heidegger l’ha proposta, è ritenuta insoddisfacente dal filosofo francese: occorre, a suo avviso, mostrare in quale senso la comprensione originaria dell’oggetto e la sua coappartenenza al soggetto siano modulati attraverso l’attività interpretativa e quindi attraverso il linguaggio. Occorre una analisi del linguaggio che sia da supporto alla comprensione dell’emergenza degli specifici campi disciplinari dell’interpretazione. In tal senso, credo, debba essere inquadrato il contributo di D’Acunto che prendendo avvio, come detto, dall’analisi dei tre livelli di analisi della parola entrata progressivamente nel merito del discorso in ultima istanza ontologico ed etico di Ricoeur.

I tre livelli ai quali si è fatto riferimento sono corrispondenti a quelli della linguistica strutturale, tesa ad analizzare la parola come unità di significato (mot), della fenomenologia della parola, in cui la parole assume il senso fondamentale di parola significativa, e della ontologia del discorso, nella quale la parole è sì parola significativa, ma connotata da una tonalità più marcatamente esistenziale. Il primo livello è quello oggetto del lavoro di analisi di Ferdinand de Saussure, che Ricoeur riconsidera in primo luogo alla luce della distinzione langue – parole, una distinzione che a suo parere neutralizza il ruolo di quelle che lo stesso Ricoeur chiama le trascendenze del significato e dei soggetti parlanti. La langue, come è pensata dallo strutturalismo di de Saussure (e ancor più dalle scuole linguistiche di Praga e di Copenhagen), divenendo la polarità decisiva nel determinare il terreno tanto sincronico che diacronico di ogni personale pratica linguistica (parole), oblierebbe il rimando concreto del linguaggio stesso tanto alla realtà (il trascendentale del significato, della referenza, di ogni comunicazione) quanto ai soggetti dell’atto comunicativo. È un venir meno della relazione del linguaggio con la realtà e, soprattutto, con il soggetto, centro come anzidetto focale di tutta l’analisi filosofica di Ricoeur: nell’interazione intersoggettiva a scomparire è proprio il soggetto. Nessuno parla, nessuno risponde: siamo parlati dalla langue. Va in tal senso smarrita quella che sempre Ricoeur chiama l’«intenzione di riconoscimento» che ogni comunicazione intersoggettiva implica, l’«intimità del dialogo». Per il filosofo francese si tratterebbe allora di attuare un mutamento radicale di metodologia nell’approccio al linguaggio e dove l’esecuzione – carica della densità dei soggetti parlanti e delle situazioni concrete – è posta in rapporto dialettico con le competenze in atto nello stesso atto comunicativo. È il messaggio, la parole, che deve secondo Ricoeur costituire il centro focale dell’analisi comprendente del fenomeno linguistico. Ecco la necessità di accedere ad un secondo livello di analisi, quello fenomenologico, di una fenomenologia del linguaggio che si assuma il compito di riunificare dialetticamente, come detto, “langue e parole”.

La teoria degli atti linguistici di Austin si presenterebbe, in questo nuovo contesto d’analisi, come una interessante alternativa – secondo Ricoeur – all’analisi della comunicazione strutturalista. La sua pragmatica linguistica permetterebbe di ridare spazio al ruolo anzitutto mediatore che il linguaggio avrebbe nel rapporto uomo-mondo, uomo-uomo, ma anche di ciascun uomo con se stesso. Nel costruirsi come mediazione, il linguaggio mostrerebbe al proprio interno l’articolarsi del concetto fenomenologico di intenzionalità, in particolare in relazione all’espressione del dire (il dire qualcosa) e al suo significato (il dire su qualcosa). È questa intenzionalità che rappresenta al contempo la trascendenza di ogni atto linguistico, in un gioco incessante tra espressione e significato, libertà del parlante e fedeltà alla realtà. Ed è proprio la fenomenologia che ha tematizzato per la prima volta l’attività intenzionale e significante del soggetto stesso, di un soggetto sempre concreto, che utilizza il linguaggio come mezzo significante che impronta di sé il vissuto umano. In questa prospettiva sarà pertanto la frase l’entità linguistica di riferimento, in quanto costitutiva di un avvenimento di linguaggio. La parola diventa funzione della frase, dell’espressione. Un’espressione attraverso la quale - riprendendo le osservazioni di Benveniste – si radica la presenza del soggetto, la sua emergenza e il suo riconoscimento in quanto tale. È attraverso e nel linguaggio che l’uomo si costituisce come soggetto da cui il suo discorso proviene e cui il suo discorso costantemente rimanda. Ma in questa pragmatica dell’atto linguistico non vi è soggetto senza interlocutore che ne costituisca un rispecchiamento: identità e alterità emergono nella pragmatica linguistica, individuando il terzo piano della “parole”, ossia quello “ontologico”.

In questo quadro si inserisce, come evidenzia opportunamente D’Acunto, la riflessione di Ricoeur sul simbolo, altro elemento di dialetticità del linguaggio: infatti il simbolo da un lato ci precede, ponendosi di fronte a noi come dono, ma dall’altro offre anche il terreno della nostra presenza, attraverso il nostro dire e attraverso il nostro pensare con il simbolo e, prima ancora, sul simbolo stesso. Il simbolo è il dono che “dà da pensare”, che sviluppa a partire da sé l’ermeneutica interpretante del soggetto stesso che lo riceve. Il libro si sofferma giustamente nel sottolineare come per Ricoeur sia la funzione di opacità di cui ogni simbolo è portatore, in quanto luogo sempre anche di un’assenza, che permette ad ogni interprete di portare il proprio contributo, di declinare il simbolo in modo nuovo e produttivo, permettendo di pensare di nuovo, aprendo ad un nuovo cominciamento del pensiero. In tal senso – e tornando ad una osservazione precedente – anche il simbolo viene a radicare il linguaggio, il pensiero e il logos sul piano della vita, ponendo una relazione inscindibile tra linguaggio e ontologia.

Una dimensione ontologica che riguarda la parola stessa nel suo diventare scrittura: il voler dire dell’enunciato, la parola come evento si fa propriamente senso, si obiettiva nel suo noema attraverso la scrittura, assumendo pertanto una ontologia diversa rispetto alla dimensione di evenienza dell’oralità, in funzione – anzitutto – di una diversa temporalità che la caratterizza. La scrittura oggettiva rende stabile l’evenienza-evanescenza della parola viva, producendo una distanziazione anche di questa dal suo autore. Inoltre apre il testo al processo interpretativo, ossia lo pone positivamente in una dimensione intersoggettiva e ulteriormente produttrice di senso.
Il lavoro di plasmazione del testo, secondo uno stile proprio del suo autore (e che pertanto indica anche la presenza, l’essere dell’autore stesso nell’opera) è lavoro di ristrutturazione del linguaggio che si offre al lettore come invito alla sua continuazione, quale materiale per nuove ristrutturazioni. Ogni testo è quindi già da sempre connesso con i testi che l’hanno preceduto e con i testi potenziali che lo seguiranno: è, potremmo dire, una stratificazione ipertestuale. In questa operazione il testo apre anche a una referenza di secondo grado rispetto a quella immediata della denotazione propria degli enunciati descrittivi: il testo poetico, proprio in funzione della sospensione della referenzialità immediata di primo livello (ostensiva), aprirebbe a un mondo, descriverebbe un mondo, lo farebbe sussistere in quanto tale in una dimensione di denotazione di secondo grado che tuttavia appare, paradossalmente, più originaria della prima, in quanto svelante il nostro legame ontologico con gli altri esseri, il essere-nel-mondo. Il testo è un progetto di un nuovo essere-nel-mondo. Il lavoro interpretativo del lettore si dispiegherebbe così come con divisione di questo nuovo essere nel mondo, nell’ottica di una sua ricezione, integrazione e rielaborazione da parte del lettore medesimo. La parola diviene così evento intersoggettivo del discorso e la funzione descrittiva dello stesso linguaggio sarebbe pensabile - secondo Ricoeur – solamente a partire dall’uso poetico del linguaggio stesso come uso configuratore di un mondo, della possibilità di un’apertura di un certo essere-nel-mondo.

D’Acunto rileva come sia proprio alla luce di questo dispositivo testuale che Ricoeur intende anche il messaggio cristiano: quest’ultimo si presenterebbe in tutta la sua portata e la pluralità produttiva delle sue valenze solamente se dischiude nel suo ricevente una nuova dimensione per il suo esistere (la fede come risposta all’appello del testo), solamente se diviene messaggio che nasce come ripresa e riarticolazione immaginifica di un testo passato, di un progetto di essere-nel-mondo precedente (l’Antico Testamento). La non risposta all’appello, il non incamminarsi nel lettore ad un lavoro di produzione di nuovo senso del messaggio che ha ricevuto fa decadere il contenuto del testo in oggetto: ecco l’idolatria.

Il senso, in generale, è allora interpretabile anche – e secondo la prospettiva offerta da Ricoeur – al pari di un evento e un evento che, per quanto detto, risulta al contempo dispositivo istitutivo dell’identità del soggetto. Nel creare testo l’identità si delinea in una dimensione narrativa: il sé non precede, ma è l’evento dell’intramazione e dell’assunzione delle responsabilità anche e soprattutto morali che questo compito implica. Come l’autore chiarisce nell’ultima parte del volume, è nel fenomeno della promessa che emergono paradigmaticamente queste responsabilità. L’ontologico dell’identità umana non è dissociabile dal piano morale: il mantenere la parola è un conservarsi nell’identità di colui che ha promesso e un essere riconosciuti dagli altri attraverso il mantenimento della dimensione fiduciaria propria di ogni dire, propria della istituzione linguistica. Questo “éthos” della parola può dunque diventare anche l’orizzonte dell’apertura all’altro, del dialogo con lo straniero. Il paradigma della traduzione diviene paradigma della relazione produttiva e positiva con l’altro, dell’integrazione reciproca dei soggetti – stranieri l’uno all’altro.

I grandi dell’Onu: Medioriente senza bomba

di: Elena Molinari - Avvenire.it (06 maggio 2010)

Un incoraggiamento alle «iniziative che perseguono un progressivo disarmo e la creazione di zone libere dalle armi nucleari, nella prospettiva della loro completa eliminazione del pianeta» è stato rivolto ieri dal Papa alle nazioni impegnate all’Onu nella revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. Poche ore dopo, Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina si sono dette favorevoli a un Medio Oriente «libero da armi nucleari». È la prima volta che il Consiglio di sicurezza dell’Onu s’impegna a completare il disarmo atomico del Medio Oriente. Un’ipotesi che implica lo smantellamento degli arsenali di Israele, l’unico Paese nella regione a non aver sottoscritto il Trattato di non proliferazione e a possedere testate nucleari, anche se non lo ha mai ammesso.

La creazione in Medio Oriente di una sesta zona senza ordigni di distruzione di massa (che si aggiungerebbe a Africa, Sudest asiatico, Asia centrale, Pacifico meridionale e America latina) non è un’idea nuova: viene ventilata dal 1974 ed è stata formalmente inserita nello stesso Trattato nel 1995, durante una delle sue revisioni quinquennali.

Il pronunciamento di ieri dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu segna però una svolta rispetto alle politiche degli ultimi 35 anni quando nessun passo concreto è stato fatto per far rispettare la modifica del 1995.

«Siamo impegnati a sviluppare pienamente la risoluzione Npt (non proliferation treaty) del 1995 sul Medio Oriente, e supportiamo tutti gli sforzi per raggiungere questo fine», hanno detto ieri i cinque grandi. Il comunicato, inviato alle nazioni che stanno facendo il punto sul Trattato al Palazzo di Vetro, è stato accolto con soddisfazione dai Paesi arabi che dall’avvio della conferenza lunedì scorso, ribadiscono la necessità di passare dalle parole ai fatti nella denuclearizzazione del Medio Oriente.

Le nazioni arabe, Egitto in testa, sono infatti arrivate a New York determinate ad aumentare la pressione internazionale su Israele affinché dichiari le dimensioni del suo arsenale, firmi il trattato e avvii un processo di disarmo, visto come un passo fondamentale per una ripresa del dialogo per la pace nella regione. L’appoggio dei Paesi con potere di veto è arrivato proprio mentre il rappresentante permanente dell’Egitto alle Nazioni Unite, Maged Abdelaziz, chiedeva ai Paesi del Medio Oriente di impegnarsi in «negoziati sinceri» per stabilire l’area denuclearizzata.

Ad aver fatto la differenza rispetto ad altre riunioni, durante le quali simili richiami erano andati inattesi, è stata la posizione degli Stati Uniti. Il segretario di Stato Hillary Clinton lunedì aveva dichiarato senza mezzi termini che «un Medio Oriente libero da ordigni nucleari» era «una necessità» e che gli Usa erano pronti a «sostenere ogni misura pratica che raggiunga quell’obiettivo». Un fine verso il quale ha cominciato ad adoperarsi attivamente nelle ultime settimane anche la Russia, lavorando insieme a Washington a una bozza di «misure concrete» da presentare a Israele, mentre diplomatici americani starebbero lavorando con gli omologhi israeliani alla definizione di tali misure.

Dal 1970 ad oggi le Amministrazioni americane, pur sottoscrivendo il Trattato di non proliferazione, hanno sempre appoggiato la «politica dell’ambiguità» sulle armi atomiche abbracciata da Israele in nome della necessità di difendersi dalle minacce lo circondano. L’Amministrazione Obama, impegnata ad avviare la progressiva eliminazione di armi nucleari dal pianeta, non è più disposta ad accettarla.

Il difficile lavoro di concertazione in atto è più che mai necessario se, come ha auspicato ieri Benedetto XVI, si vogliono «superare i condizionamenti della storia e tessere pazientemente la trama politica ed economica della pace, per aiutare lo sviluppo umano integrale e le autentiche aspirazioni dei Popoli». Perché la pace, ha sottolineato il Papa, «riposa sulla fiducia e sul rispetto degli obblighi assunti, e non soltanto sull’equilibrio delle forze».

Parte oggi a Brescia la Mille Miglia

di: TGCOM (06 maggio 2010)

Brescia – La corsa più bella del mondo. Il museo viaggiante dell’automobile. Si sprecano le definizioni “storiche” della Mille Miglia, la cui edizione 2010 è ai nastri di partenza a Brescia, con la punzonatura in corso e la partenza stasera - dalle 19,30 - per la prima tappa verso Bologna. La leggendaria corsa da Brescia a Roma e ritorno disputa quest’anno l’edizione numero 26 da quando ha avuto inizio la rievocazione storica della corsa agonistica, disputatasi quest’ultima dal 1927 al 1957. E proprio questo lasso di tempo ad ammettere esclusivamente le auto che gareggiano alla Mille Miglia storica: 375 favolose vetture d’epoca, scremate da una selezione di oltre 1.400. Tante infatti sono state le domande di iscrizione provenienti da tutto il mondo per l’edizione 2010.

La rievocazione storica della Mille Miglia non è solo un viaggio tra le automobili più belle e prestigiose che mai siano state costruite. È anche un omaggio all’Italia dei cento campanili, e delle tante officine che un tempo confezionavano le auto più sportive e blasonate. Non è un caso che quest’edizione 2010 proporrà, tra gli eventi collaterali, un Tributo Ferrari alla Mille Miglia, con 130 auto del Cavallino costruite dal 1958 ad oggi che precederanno lungo tutto il percorso le vetture in gara. Una carovana fantastica quella che fino a domenica 9 maggio accompagnerà la Mille Miglia 2010, con più di 500 auto da ammirare: le 375 in gara e le 130 Ferrari.

Si parte da Brescia e la prima tappa chiuderà (intorno a mezzanotte i primi arrivi) a Bologna. Venerdì 7 maggio si raggiunge Roma, con la sfilata che avrà il suo epicentro a Castel Sant’Angelo. Non mancheranno durante il percorso prove ardue e novità stuzzicanti come le prove cronometrate sui circuiti di Imola e Fiorano. Sabato partenza da Roma alla volta di Brescia, con sosta a Buonconvento (Siena), a completamento di una certosina marcia alla scoperta delle eccellenze paesaggistiche dell’Italia centrale e settentrionale. Ma la Mille Miglia è un evento internazionale, anzi il più importante del genere al mondo e nel Roadshow 2010 di presentazione le tappe sono state Zurigo (dov’è partito il Roadshow), e quindi Francoforte e poi l’imbarco verso Argentina e Usa, ma il culmine è stato l’arrivo nella Shanghai dell’Expo Universale.

Sono tanti gli appassionati della Mille Miglia, tra uomini dello spettacolo, della politica, dell’economia. Devono portare in dote la “loro” auto d’epoca che ha corso tra il 1927 e il 1957 o guidarla. Fra i partecipanti dell’edizione 2010 citiamo Nick Mason, batterista dei Pink Floyd e sincero amante delle quattro ruote; la voce dei Jamiroquai Jason “Jay” Kay. Fra gli italiani, debutta alla Mille Miglia il Ministro degli Esteri Franco Frattini. C’è da attendersi un grande risultato di pubblico anche quest’anno dopo i quattro milioni di spettatori che nel 2009 hanno affollato le strade attraversate dalla corsa.

I morti greci pesano sull'euro. Frattini: salvataggio doveroso

di:Rai News 24 (06 maggio 2010)

Roma - Per il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervistato a Radio Anch'io, il salvataggio della Grecia è un "salvataggio che si ha il dovere di fare, e di fare nei tempi
più rapidi possibili", per "salvare l'Europa". Ma l'euro continua a soffrire sui mercati e viene scambaito a 1,27 contro il dollaro, toccando i minimi dal marzo 2009 contro la moneta cinese.

"Siamo vicini alla Grecia"
All'indomani delle gravi violenze di ieri ad Atene, nel corso delle manifestazioni anti-austerity, Frattini ha spiegato che "salvare la Grecia vuole dire salvare tutti noi, salvare l'Europa, salvare l'euro". Frattini ha aggiunto di non credere che ci siano rischi di contagio della crisi al Portogallo. "Non temo il contagio per il Portogallo", ha affermato il ministro: "Una cosa è la Grecia, altra cosa è il Portogallo, il contagio credo non ci sarà". Frattini ha quindi osservato che questa crisi ha insegnato che serve una "Europa più politica", per reagire a situazioni analoghe con maggiore
prontezza e rapidità.

Ad Atene
Il Parlamento greco si esprime oggi sul piano d'austerità messo a punto dal governo Papandreu. Tre i morti, ieri, nell'attacco incendiario contro una banca. Atene ha vissuto un clima di scontro armato. Diversi i fermi di polizia operati nel quartiere anarchico. Il presidente Papoulias dice che il paese "è sull'orlo dell'abisso" e il premier Papandreou invoca "l'unità nazionale".

Trattative febbrili
Il premier greco Giorgio Papandreou si è consultato durante la notte con tutti i leader politici, dopo le tragiche morti di ieri ad Atene, ribadendo la necessita' di dare prova di responsabilita', a poche ore dal voto odierno in Parlamento sul patto di austerita'. Il premier ha ribadito l'invito per un vertice al fine di garantire l'unita' del paese in un momento cruciale. Il direttore del Fondo monetario internazionale, Strauss-Kahn, ammonisce: "bisogna evitare il contagio" della crisi greca in Europa.

A Roma
Sulla questione il ministro dell'Economia Giulio Tremonti riferirà oggi alla Camera, mentre domani il Consiglio dei ministri esaminerà il decreto da 5,5 miliardi di aiuti italiani alla Grecia. E la crisi greca dominera' la riunione odierna del consiglio direttivo della Bce a Lisbona.

Effetto domino sul Portogallo

di: Alessandro Merli - ILSOLE24ORE.COM (06 maggio 2010)

Ora c'è il Portogallo nel mirino dei mercati finanziari, dopo che ieri l'agenzia di rating Moody's ha annunciato di voler rivedere la classificazione del debito pubblico di Lisbona con la possibilità di un taglio, di uno o due voti, dall'attuale Aa2, entro tre mesi. Ieri il rischio paese è aumentato bruscamente, mentre un'asta di titoli di Stato ha costretto il Tesoro a pagare rendimenti nettamente più alti rispetto a prima dello scoppio della crisi greca.

La combinazione del «deterioramento delle finanze pubbliche con le difficoltà della crescita nel lungo periodo» è la ragione della mossa di Moody's, che ha precisato però come il debito portoghese, al 77% del prodotto interno lordo, è assai più basso di molti altri paesi dell'area euro e «non è insostenibile, né insopportabile». Anche se molti investitori cominciano a considerare il Portogallo alla stregua della Grecia, e come possibile prima vittima del contagio proveniente da Atene, l'analisi di Moody's sottolinea molte differenze tra i due paesi.

Alla luce delle violenze di ieri ad Atene, il principale elemento a favore del Portogallo sembra però soprattutto politico, cioè la ferma intenzione del governo di varare un piano di risanamento fiscale che vada al di là di quanto già annunciato nel programma di stabilità concordato con l'Unione europea, con l'appoggio dell'opposizione. Inoltre, una buona parte della popolazione appare, secondo i sondaggi, disposta ad accettare i sacrifici necessari. La settimana scorsa, il Governo socialista di José Socrates, sotto l'impulso della crisi greca, ha detto di voler andare oltre l'obiettivo già fissato con Bruxelles di portare il deficit pubblico dal 9,4% del 2009 all'8,3. Nel programma di stabilità era stato concordato che il deficit sarebbe sceso al 2,8% nel 2013. Il risanamento dovrebbe avvenire con un pacchetto di misure che comprende tagli ai salari dei dipendenti pubblici, una riduzione degli investimenti statali e alcune nuove imposte. I socialdemocratici (conservatori), il principale partito d'opposizione, hanno già dichiarato che favoriranno il passaggio delle nuove misure.

Moody's ha precisato, nel suo annuncio di ieri, che la decisione su un eventuale downgrading, che sarebbe il primo mai realizzato da questa agenzia sul debito di Lisbona, che è salito ad Aa2 nel 1998, verrà presa dopo aver esaminato il nuovo pacchetto anti-deficit. L'agenzia ha anche messo sotto osservazione in vista di un possibile declassamento tutte le dieci banche portoghesi che hanno un rating.

Quella di ieri è stata una giornata molto pesante per il Portogallo sui mercati. Il possibile declassamento da parte di Moody's farebbe seguito a quello già realizzato la settimana scorsa da parte dell'altra agenzia, Standard & Poor's, che ha abbassato il voto di due gradini. Per questo, alcuni osservatori di mercato notavano ieri che l'annuncio di Moody's non rappresenta una sorpresa, ma una presa d'atto che la situazione dei conti pubblici portoghesi è in peggioramento, ma soprattutto che l'azione correttiva necessaria è destinata a provocare una contrazione di una crescita già asfittica. Il Portogallo soffre di bassa crescita già da un decennio: l'economia non cresce sopra il 2% dal 2001, la produttività è la più bassa fra i paesi dell'area dell'euro, e i benefici dell'ingresso nella moneta unica sono andati dispersi in un breve boom di consumi e in aumenti di salari. I flussi di investimenti diretti che si erano indirizzati verso il paese iberico dopo l'ingresso nell'Unione europea si sono inariditi a causa tra l'altro della concorrenza dei paesi dell'Europa centrale ed orientale di nuova entrata nella Ue, più vicini ai mercati europei più importanti, già dotati di una base industriale significativa e di una manodopera più qualificata di quella lusitana.

I segnali di mercato più negativi sono venuti dal balzo di oltre 40 punti base dello spread rispetto ai Bund tedeschi, ieri attestatosi a 329 punti base. Il costo di assicurazione contro un default portoghese, rappresentato dai Cds a 5 anni, è salito da 358 punti base di martedì a oltre 400. Un'asta di titoli a 6 mesi ha incontrato una domanda sufficiente, ma a tassi del 2,955%, quando prima della crisi greca, nel mese di gennaio, Lisbona si finanziava a sei mesi allo 0,592 per cento. Per ora, ha detto Moody's, i costi di rifinanziamento del debito sono entro i limiti della capacità del paese.

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Vivere a lungo? Dormiamo 6-8 ore a notte




di: Francesca Mancuso - wellMe.it (06 Maggio 2010)

Come vivere a lungo? Basta dormire in 6-8 ore a notte. Già, una sana e bella dormita diminuisce il rischio di una morte prematura. Questa salutare e invitante scoperta viene dalle ricerche esaminate dall'Università di Warwick (UK) e dall'Università Federico II di Napoli, e pubblicato su "Sleep".

Il sonno, dunque, è un toccasana per la nostra salute. Parola di esperti. Secondo gli studiosi, infatti, dormire da 6 a 8 ore a notte allontana del 12% il rischio di morire precocemente ossia prima della data ideale dei 65 anni. Numerosi studi hanno già dimostrato come la mancanza di riposo sia associata a malattie cardiache, ipertensione, diabete e alto tasso di colesterolo. O ancora, è stato sottolineato che dormire poco ci rende meno belli.

La ricerca, però, prende in esame anche l'eccesso di sonno. Dormire troppo, infatti, potrebbe essere il sintomo di un malessere più profondo. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno analizzato i risultati di 16 studi sull'argomento, riguardanti oltre un milione e 300mila persone. E' emerso poi che dormire a lungo sia un campanello d'allarme per disturbi come la depressione e ancora potrebbe essere dovuto a una ridotta attività fisica.

Francesco Cappuccio, responsabile dello Sleep, Health and Society Programme dell' Università di Warwick nonchè autore della ricerca siega: "La società moderna ha visto una graduale diminuzione nella quantità di ore di sonno. Un trend comune soprattutto tra i lavoratori a tempo pieno. Questo suggerisce una particolare pressione sociale a lavorare sempre più a lungo".

E svela il segreto per vivere a lungo: "Il deterioramento del nostro stato di salute è spesso accompagnato da un'estensione dei periodi di sonno. Dormire costantemente da sei a otto ore per notte sarebbe il dosaggio ottimale per la salute".

E allora dormiamoci su, ma senza esagerare.

"Assumo un impiegato ma solo piemontese"

di: ANTONIO GIAIMO - La Stampa.it (6 maggio 2010)

Una ditta di Scalenghe: «Deve parlare con gli allevatori della zona»

TORINO - Quando hanno ricevuto la richiesta all’Ufficio per l’impiego di Pinerolo sono sobbalzati. «Sarà un errore», hanno pensato. Si sono attaccati al telefono per verificare, capire, chiedere chiarimenti. Dall’altro capo lo stesso stupore: «Perché, che c’è di strano?». Di strano c’è che una piccola azienda di Scalenghe, che produce macchinari zootecnici e agricoli, ha urgente bisogno di un disegnatore esperto in progettazione, ma lo vuole piemontese o, almeno, capace di parlare il dialetto. E l’ha messo nero su bianco nella richiesta inviata al centro per l’impiego: «Cercasi disegnatore per la progettazione di stalle, con diploma o laurea. Preferibilmente piemontese».

Sui primi due requisiti niente da eccepire. Il terzo però - l’origine etnica - ha mandato in tilt il sistema dell’ufficio di collocamento, tant’è vero che ieri mattina, nella bacheca dove vengono affisse le offerte di lavoro, quella inviata dalla Ascai di Scalenghe non c’era. «L’abbiamo bloccata», spiega Renato Zambon, dirigente dell’ufficio pinerolese.

Non era accettabile. Fa a pugni con tutte le norme stabilite dal ministero del Lavoro, che prevedono pari opportunità nell’accesso all’impiego e non ammettono nemmeno distinzioni di sesso».

A Scalenghe sono rimasti di sasso. Il signor Dario Audisio - che con il fratello Pier Giorgio e il nipote gestisce questa piccola ditta che produce nastri trasportatori utilizzati nelle stalle per portare all’esterno il letame - allarga le braccia sconsolato: «Razzista? Io? Ma non scherziamo». Mostra il suo capannone, con gli operai al lavoro. È imbarazzato, avvilito. «Guardi, abbiamo 15 dipendenti: due sono stranieri e alcuni sono nati nel Sud Italia. Le sembriamo gente che discrimina?». È stato lui a scrivere la domanda e a inviarla all’ufficio di Pinerolo.

«È vero, abbiamo scritto che cercavamo un addetto e preferivamo parlasse piemontese, ma solo perché il disegnatore, una volta assunto, dovrà anche andare nelle aziende della zona e avere a che fare con clienti che spesso parlano meglio il piemontese dell’italiano. Non è una scelta politica; quelle rimangono fuori dal lavoro. Questa è un’esigenza pratica».

Ecco spiegato anche il perché, sempre nella stessa domanda, la Ascai ha inserito un’altra singolare richiesta: il dipendente dev’essere residente nelle campagne della zona. «Vero, ma anche qui non c’è nulla di “leghista”: in passato abbiamo assunto anche persone extracomunitarie, ma a volte abbiamo visto che dopo un po’ se ne andavano, lasciavano l’azienda per tornare nel paese d’origine. Un giovane della zona, invece, oltre a conoscere bene la nostra realtà, offre maggiori garanzie: è legato al territorio, vuole tenere qui le sue radici. Insomma, è più affidabile. Questo non è razzismo; è realismo».

Sarà, ma ai funzionari dell’Ufficio per l’impiego le spiegazioni del signor Audisio non sono bastate. L’annuncio è stato stralciato, la richiesta rispedita al mittente: così non si pubblica. «Abbiamo chiesto alla ditta di mandarcene una nuova che non contenga riferimenti a provenienza o etnie - racconta Zambon - Se lo faranno, la prossima settimana l’annuncio sarà inserito nella nostra banca dati».

Alla Ascai scuotono la testa. Dario Audisio non si stanca di ripeterlo: «Avremo forse altre colpe, commetteremo errori, ma non accusateci di essere razzisti. Spesso nelle ricerche del personale si richiede la conoscenza dell’inglese o del francese: non credo sia un vezzo, è un’esigenza dell’azienda. Ebbene, noi abbiamo bisogno anche di persone che sappiano parlare il piemontese, perché i nostri clienti sono allevatori e spesso si esprimono in dialetto. Che male c’è?».

Non chiamiamoli più tumori «maschili»






di: V. M. - Corriere della Sera.it (6 maggio 2010)

Le neoplasie di polmone e colon-retto sono in costante crescita fra le donne. Informazione, prevenzione e ricerca scendono in piazza domenica 9 maggio


MILANO – Domenica 9 maggio si ripropone l’ormai tradizionale combinazione Azalea della Ricerca Airc e festa della mamma. Ma non solo. Quest’anno l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro si rivolge anche agli uomini, perché la giornata si trasformi in un’occasione di prevenzione e maggiore consapevolezza sulla salute anche per loro.

NON SOLO PER LE MAMME – A chi acquisterà la consueta piantina, infatti, verrà data una guida con informazioni utili per diminuire il rischio di ammalarsi di cancro. Il titolo parla chiaro: Donna e uomo uniti nella prevenzione. Si tratta di un opuscolo dedicato a due dei tumori più diffusi, quello al polmone e quello al colon-retto, che vengono percepiti come tipicamente maschili e che invece non sono più così chiaramente connotati. La loro incidenza è in realtà in crescita tra le donne, soprattutto a causa di un cambiamento – in peggio – degli stili di vita. La guida, quindi, vuole essere uno strumento di servizio per tutta la famiglia, per una maggiore consapevolezza a tutela della propria salute. A partire dalla tavola, perché l’alimentazione scorretta è uno dei fattori che più influenzano il rischio di sviluppare un carcinoma del colon-retto, insieme a sovrappeso e obesità. Facili le regole per una dieta anticancro: poca carne e pochi grassi di origine animale e tanta frutta, verdura e alimenti ricchi di fibre. Infine, fare sport (sempre più studi lo confermano come un’efficace arma protettiva), ridurre al minimo gli alcolici e dire addio alle sigarette, entrambi responsabili dell’insorgenza di molte forme cancro.

UNA DISCUTIBILE PARITÀ – I dati pubblicati nel rapporto 2009 dell’Associazione italiana registri tumori non lasciano dubbi. Per quanto riguarda il tumore del colon-retto non esistono più grandi differenze tra maschi e femmine nell’incidenza (che tra le donne ha raggiunto il numero di nuovi casi in un anno «tipico» dei maschi) e nella mortalità. Così, il carcinoma colorettale è la terza forma di cancro più comune tra gli uomini dopo quelli alla prostata e al polmone e la seconda tra le donne dopo quello del seno. Per le neoplasie polmonari la situazione è diversa. Anche in Italia si conferma una tendenza che da qualche anno è evidente in tutto il mondo occidentale: incidenza e mortalità diminuiscono tra gli uomini e aumentano nelle donne. Quello al polmone rappresenta oggi il 15 per cento dei tumori diagnosticati ai maschi e quasi il 6 per cento di quelli individuati nelle femmine. E tra quanti perdono la vita a causa del cancro, un uomo su quattro risulta colpito proprio al polmone, così come una donna su dieci.

L’APPUNTAMENTO - Saranno più di 650mila le piantine di azalea distribuite da 20mila volontari in oltre 3.500 piazze italiane con l’obiettivo di raggiungere circa 10 milioni di euro destinati a sostenere i migliori progetti di ricerca sui tumori femminili. «Molti fattori hanno contribuito a migliorare notevolmente le possibilità di guarigione per alcune forme di cancro, come quello al seno – ricordano dall’associazione – e la ricerca scientifica è alla base di tutto: dalla conoscenza sempre più approfondita delle alterazioni molecolari ai miglioramenti continui della diagnosi precoce, della prevenzione e delle nuove terapie mirate. Dalle tecnologie più innovative all’atteggiamento più consapevole da parte di una popolazione sempre più informata. Per rendere il cancro sempre più curabile – concludono da Airc – ognuno può fare la sua parte con 15 euro, portandosi a casa un’azalea».


Quelli che si comprano Picasso


di: MAURIZIO MOLINARI, CORRISPONDENTE DA NEW YORK - La Stampa.it (6 maggio 2010)

Da Christie’s guadagna il record delle vendite all’asta, da Sotheby’s delude e al Metropolitan Museum attira migliaia di appassionati: a Manhattan questi sono i giorni di Pablo Picasso, i cui dipinti fanno scaturire emozioni opposte. Ad esultare è la casa d’aste Christie’s che al termine di un’offerta pubblica durata appena 9 minuti ha venduto l’opera Nudo, foglie verdi e busto per 106,5 milioni di dollari raggiungendo la cifra-record per questo tipo di vendite che finora apparteneva a L’uomo che cammina I di Alberto Giacometti, assegnato ad un anonimo compratore lo scorso febbraio da Sotheby’s a Londra per 104,3 milioni di dollari.

«Siamo in estasi per il risultato» ha ammesso Conor Jordan, responsabile per l’arte moderna e impressionista di Christie’s a New York, parlando a getto dopo un’asta iniziata sulla base di una stima fra i 70 e 90 milioni che ha visto otto concorrenti cimentarsi nella sfida - alcuni presenti di persona altri al telefono - per ridursi a solo due sfidanti superata quota 88 milioni con l’ultimo rilancio a 95 milioni e l’assegnazione «venduto» a quota 106,5 milioni. A prevalere è stato uno dei acquirenti al telefono. «E’ un esito spettacolare che dimostra la grande fiducia del mercato e l’entusiasmo con cui riceve opere d’arte della qualità più alta» ha aggiunto Jordan, riferendosi al dipinto che ritrae la musa e amante di Picasso, Marie-Therese Walter, e che finora era stato esibito negli Stati Uniti solo una volta, nel 1961. Anche gli altri lotti della Brody Collection (da cui proveniva la tela di Picasso) hanno fatto faville. Eccezionali prezzi hanno spuntato tre sculture in bronzo di Alberto Giacometti: Grande testa minuta (1954-55) è stata pagata 53.282.5000 di dollari, La mano (1947) 25.842.500 dollari e Il gatto (1954) 20.802.500 dollari. A conferma di quanto l’inquieto artista svizzero sia in grado con Picasso di attrarre i collezionisti.

Ben diverso lo stato d’animo della rivale Sotheby’s che aveva messo all’asta a pochi isolati di distanza opere d’arte per 61,3 milioni di dollari che sono rimaste però in gran parte invendute a causa di mancanza di offerte per i lavori proprio di Pablo Picasso, oltre che di Alberto Giacometti. Ciò che ha più sorpreso gli appassionati del settore è che nessuno si sia fatto avanti per i 16 milioni di dollari che erano stati assegnati al ritratto della figlia Maya che Picasso dipinse nel 1938. Il pezzo più importante venduto da Sotheby's infatti è stato un dipinto in bianco-nero di Piet Mondrian, Composizione in Bianco e Nero, con Doppie Righe, che è stato aggiudicato a 9,2 milioni di dollari pari al triplo del prezzo iniziale.

Pur avendo venduto 29 dei 36 capolavori messi all’asta - incluse opere di Camille Pissarro, Claude Monet e Pierre August Renoir - la delusione per il mancato risultato su Picasso si è fatta sentire. «Siamo ovviamente molto dispiaciuti per come è andata sul Picasso - ha ammesso Simon Shaw, capo del dipartimento di arte moderna e impressionista di Sotheby’s - ma ci troviamo in un momento dove è ancora difficile calibrare il valore dell’arte molto importante». Che abbia ragione Shaw oppure Jordan sull’orientamento della ristretta élite di compratori di capolavori, a suggerire come la passione popolare per Picasso sia palbabile sono le lunghe file sulle scale del Metropolitan Museum, dove fino ad agosto viene esposta al pubblico una collezione di opere del pittore spagnolo che incudle fra l’altro Au Lapin Agile del 1902, il ritratto di Gertrude Stein del 1906, l’autoritratto del 1900 e Nudo seduto di Muskeeter che fu realizzato circa 70 anni dopo.

martedì 4 maggio 2010

Il futuro dell’Italia passa per lo sviluppo e la vera democrazia


C'è bisogno di infrastrutture, di riforme e di una nuova politica energetica e ambientale. La 'casta' però blocca ogni ambizione di rinnovamento

di Antonio Gaspari

Sembrerà paradossale, ma nell’ultima settimana la principale questione dibattuta dalle principali cariche politiche, dai maggiori mezzi di comunicazione di massa, dai potentati economici, dai partiti di governo e di opposizione, è stata la scelta di Gianfranco Fini di condurre un attacco pubblico al Presidente del Consiglio ed al progetto politico che si sta evolvendo all’interno del Popolo delle libertà. Della questione L’Ottimista se ne è già occupato a sufficienza e non intende alimentare ulteriormente il dibattito. Facendo riferimento alla realtà dei fatti che sfidano gli uomini ogni giorno, ci siamo chiesti: ma veramente la questione più importante in Italia è se Fini rimarrà con il Pdl o passerà con l’opposizione? Veramente i problemi economici, politici, sociali dell’Italia si risolveranno se l’Italia darà spazio e seguito ai “capricci” del Presidente della Camera?


La risposta ce l’hanno data i lettori e ce la danno ogni giorno le persone e le famiglie con cui siamo in contatto. Il nostro amato paese ha problemi seri da affrontare e risolvere, quali la crisi economico-finanziaria, l’urgenza di colmare il divario infrastrutturale tra Nord e Sud e tra l’Italia e l’Europa. C’è bisogno di raggiungere rapidamente un'indipendenza energetica, costruendo centrali nucleari e diversificando l’approvvigionamento delle fonti. Bisogna vincere le paure diffuse dai catastrofismi e motivare la spinta verso il progresso economico e civile. Bisogna diffondere una cultura favorevole alla vita nascente e alla famiglia naturale per superare l’inverno demografico e ringiovanire il Paese. Dal punto di vista ambientale c’è bisogno di termovalorizzatori, di una soluzione duratura nel trattamento dei rifiuti e di un risanamento di zone dove ancora i pneumatici vengono bruciati a cielo aperto, ed i rifiuti lasciati ai lati delle strade. Nel campo dei trasporti bisogna operare una svolta decisiva verso le motorizzazioni ibride di auto e bus, al fine di ridurre i consumi di combustibili fossili e migliorare la qualità dell’aria.

Nella sola città di New York l’introduzione di 1.350 bus ibridi di tipo Orion VII, che utilizzano un piccolo motore diesel per ricaricare le batterie elettriche, permetterà di risparmiare più di 20 milioni di litri di carburante ed evitate emissioni di anidride carbonica per un valore di 50 mila tonnellate. Bisogna approfittare delle opportunità della cosiddetta green economy incentivando l’efficienza energetica e illuminotecnica e riducendo le spese ed i consumi energetici.

Da uno studio condotto dall'Università Europea di Roma risulta che a fronte di un patrimonio immobiliare del Comune di Roma, che solo di scuole materne e uffici ammonta a un totale di 4.370.839 metri cubi, è possibile, tramite l’applicazione di tecnologie di retrofitting per l’illuminazione pubblica e per l’illuminazione interna, insieme a misure di efficientamento nella trasmittenza e nei generatori di calore, ridurre il consumo da 356.572.034 Kw/anno a 194.920.348 kw/anno, ovvero di una percentuale che è circa del 46%.

Attualmente il Comune di Roma consuma per il suo patrimonio immobiliare circa 356 Gwh di energia elettrica per una spesa calcolabile che si aggira intorno ai 53,4 milioni di euro. In termini di denaro ridurre il consumo del 40% significa risparmiare 21,36 milioni di Euro. Solo per l’illuminazione pubblica il Comune di Roma spende 19,8 milioni di euro (132 mln di Kwh l'anno).

Il risparmio del 40% per l’illuminazione pubblica vale 7,92 milioni di euro.
I capitali risparmiati nei primi tre anni serviranno a ripagare l’investimento per cambiare le tecnologie illuminative, migliorare gli edifici e applicare tutti quegli accorgimenti che serviranno a rendere più efficiente il sistema. In termini lavorativi le quote di denaro risparmiate andranno a mettere in moto, centinaia di imprese che miglioreranno gli edifici e renderanno più belle, illuminate e confortevoli, uffici, strade, piazze e parchi.

Finora però il peso e la responsabilità di un programma di sviluppo sono caduti tutti sulle spalle del Presidente del Consiglio, che sembra la persona più convinta e più capace nel garantire un vero e duraturo progresso economico, tecnologico e civile per l’Italia. Ma è oltremodo evidente che per consolidare tale politica è necessaria una vera e propria rivoluzione politica che liberi il paese da tutte le ideologie sconfitte dalla storia che, ciononostante, continuano a tenere in ostaggio l’Italia. La decrepita “casta” che pensa solo ad occupare il potere ed ad impedire l’ingresso di nuovi soggetti, ha fatto il suo tempo, resiste caparbiamente, ma di certo, non ha un futuro e ritarda le innovazioni.

Le nuove generazioni che si stanno affacciando nella scena politica chiedono trasparenza, apertura, competenza, visione internazionale, spessore morale e disponibilità a servire il bene comune. E questa è terra e spazio per gli Ottimisti!

Grecia ha situazione non comparabile con Italia - Gurria (Ocse)


di: Reuters (4 maggio 2010)

ROMA, 4 maggio (Reuters) - Mentre sui mercati crescono i timori di un contagio della crisi greca agli altri paesi periferici dell'Unione europea, il segretario generale dell'Ocse Angel Gurria ribadisce che la situazione dell'Italia non è comparabile a quella di Atene.

"Ho detto molte volte che non sono situazioni comparabili, le condizioni di ogni Paese sono diverse. Non è possibile fare paragoni", ha detto Gurria a margine della presentazione al ministero dell'Economia di un rapporto Ocse sulla regolamentazione in Italia. Alla domanda se l'effetto contagio sia stato evitato con la decisione dei ministri delle Finanze dell'eurogruppo di assicurare, insieme al Fondo monetario internazionale, 110 miliardi di euro di aiuti alla Grecia Gurria ha risposto: "Credo di sì, bisogna vedere la reazione dei mercati". "Quello che è molto importante è che l'Unione europea ha mostrato capacità di coordinazione e di intervento quando un paese mette in pericolo la stabilità del sistema", ha aggiunto.

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Un delitto dopo l'altro: è il TG, bellezza

di: Giorgio De Simone - Avvenire (28-04-2010)

Non credo di essere il solo a venire sempre più colpito dalla pervicacia con cui, ad opera di tutti i telegiornali, senza sosta o remissione, a pranzo e a cena, ci vengono ammanniti i delitti e i misfatti di giornata: persone mutilate i cui resti sono trovati sparsi nelle discariche, corpi irriconoscibili, scheletri dissepolti e via orrorizzando in un campionario quotidiano di cui, giusta il titolo di un film di Scola del 1970, «Tutti i particolari in cronaca», non ci viene risparmiato (anzi) un solo dettaglio. È la cronaca, certo. Che di catastrofi è piena: l’incidente aereo di Smolensk che decapita più di mezza classe di governo polacca; la valanga che in Val Venosta travolge un treno ipertecnologico inzeppandolo di morti e feriti; il terremoto in Cina e quant’altro ancora.
Non si finisce mai ed è vero: dal mondo tu ti aspetti la tragedia quotidiana. Che immancabile arriva. Ma alla quale, come invidiandone il fragore, la cronaca domestica subito sovrappone il suo horror quotidiano.

Necessario? Per noi no certo, ma per le tivù sì. Ben sapendo che più il delitto si alimenta di oscurità e sangue più fa crescere la voglia morbosa di sapere, le tivù lo servono con l’antipasto. Il crimine fa grande audience e il trionfo del noir, da tempo filone dominante di ogni letteratura, ce lo dice. Nelle spire del 'nero' televisivo si ritrovano così conduttrici televisive belle, eleganti e raffinate, persone che giureresti non abbiano mai detto una parolaccia in vita loro, capaci di dilungarsi sui particolari di delitti orrendi come se raccontassero un défilé. La quantità, poi. Ci sono telegiornali, per esempio di Canale 5, dove non c’è un delitto, ma cinque, sei, sette, e uno dopo l’altro. Naturale chiedersi che effetto possa avere tutto ciò su chi guarda.

Sui giovani e giovanissimi soprattutto, meno schermati degli adulti. Molti di loro si fanno oggi della realtà un’immagine dove il male è dovunque e il delitto sovrabbonda, sicché c’è solo da pensare a ripararsi e farsi i fatti propri in una sorta di gara a chi è più indifferente ed egoista.

D’altronde, che la vita abbia una sua bellezza chi lo dice? Per come viene considerato il mondo dai nostri tg, il mostro va sempre in pagina. Certo, ci sono crimini e misfatti che non possono essere ignorati, però il modo di trattarli e raccontarli, sollecitando la curiosità morbosa dello spettatore, è subdolo perché piegato alle leggi dell’audience. Bisognerebbe, allora, fare un telegiornale tutto di buone notizie come lo avrebbe voluto Candido Cannavò? No, ma bilanciare il tanto male con un po’ di bene si dovrebbe per ragioni, se non altro, di pari opportunità.

I direttori dei vari tg potrebbero invitare i loro inviati a non effondersi in particolari macabri, ma a cercare, dopo il 'dove, come, quando', anche il 'perché'. E tuttavia, avendo intercettato su Youtube e dintorni alcuni 'fuorionda' di direttori e conduttori di prima fascia, avendo sentito come sbraitano, inveiscono e insultano quando credono di non essere ripresi, mai rinunciando, naturalmente, a volgarità assortite, è forte il dubbio che costoro sappiano dedicare una qualche attenzione a ciò che non è la dura e spietata realtà, l’unica che per loro conti.

Alla Biennale di Sejima progetti, culture e visioni


di: Paola Pierotti - ILSOLE24ORE.COM (3 maggio 2010)


«Il primo decennio del ventunesimo secolo si sta chiudendo in un susseguirsi di cambiamenti radicali. In questo contesto in rapida evoluzione, l'architettura può farsi portavoce di nuovi valori e moderni stili di vita? La 12 Mostra di Architettura della Biennale di Venezia è una riflessione sull'architettura - ha dichiarato il direttore Kazujo Sejima – è l'occasione per sperimentare le sue molteplici possibilità e per dar conto della sua pluralità di approcci. Ogni suo orientamento è in funzione di un modo di vivere diverso». Non sarà una vetrina di archistar quella in programma per il prossimo autunno (29 agosto – 21 novembre 2010) ai giardini e all'arsenale di Venezia ma un melting pot di progetti, culture e visioni.

La Mostra sarà un evento a effetto sorpresa dove tutti i partecipanti diventeranno curatori di se stessi, una kermesse dedicata ai giovani che sono il 40% del totale e sarà in gran parte ideata da una generazione di 40-50enni provenienti da tutto il mondo.

Sejima, prima donna a dirigere la Biennale e insignita alcuni mesi fa anche del prestigioso Pritzker Architecture Prize 2010, ha selezionato una cinquantina di progetti, frutto del lavoro di architetti, artisti e ingegneri. Tra loro ci sono Smilan Radic + Marcela Correa che, influenzati anche dalla recente esperienza del terremoto in Cile, realizzeranno a Venezia un'enorme pietra in cui viene ricavata una cavità che accoglie un solo spettatore alla volta. È uno spazio che invita alla riflessione e alla meditazione. Un'istallazione che parla del modo in cui l'individuo ripensa il suo rapporto con la società. La promessa giapponese Ishigami+Associates esporrà un'istallazione dai confini indefinibili per creare un'atmosfera inedita con un lavoro del tutto effimero. Ancora, i francesi R&Sie(n) e Sarl d'Architecture realizzeranno un'istallazione luminosa che riproduce i cicli biologici e esplora i modi in cui si percepisce lo spazio in simbiosi con la natura.

Protagonista della 12 Mostra di architettura è lo spazio: i luoghi abitati dalla gente. La Biennale di Architettura 2010 è stata svelata oggi a Roma e il messaggio lanciato dal presidente della Fondazione veneziana Paolo Baratta è «we became people in architecture».

«Il continuo progresso nella capacità di esprimere e soddisfare una qualificata domanda verso gli oggetti di consumo, dal cibo, all'abbigliamento all'arredamento si scontra con una più impacciata e flebile capacità di esprimere qualificate esigenze e obiettivi circa la qualità dello spazio e del territorio in cui viviamo» ha osservato Baratta. «Ad un avanzamento del consumatore sembra accompagnarsi un arretramento del committente pubblico e privato, in forte contrasto con la storia del nostro passato». Da qui muove i suoi passi il direttore della 12 Mostra, Sejima, secondo la quale «progettare vuol dire in primo luogo identificare usi e attività e porsi poi il problema della relazione tra loro».

La Biennale 2010 sarà più di una mostra. «Per stimolare una riflessione creativa e momenti di riflessione che possono integrare la Mostra – ha spiegato Baratta – abbiamo pensato di richiamare i direttori delle precedenti Biennali (da Paolo Portoghesi a Massimiliano Fuksas, da Richard Burdett a Aaron Betsky) e offerto loro di tenere un seminario condotto su un tema a loro scelta». Così, per tutta la durata della Mostra, ogni sabato, è già fissato il calendario dei "Sabato dell'architettura". La Fondazione sta stringendo anche forti partnership con le Università e ha dato vita al programma "Universitas meet in architecture" per offrire occasioni di integrazioni tra le attività accademiche e quelle di ricerca e sperimentazione suggerite negli spazi della Biennale. Finora sono state invitate 30 Università italiane e 80 facoltà di architettura, ingegneria, sociologia, design e comunicazione e altre 300 Università e scuole di formazione di tutto il mondo.

I paesi internazionali partecipanti alla Mostra saranno 56. Il Padiglione Italia, promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali con la PaBAAC – Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea – e curato da Luca Molinari seguirà la linea tracciata da Sejima e presenterà un atlante di progetti ideati e opere realizzate in Italia nell'ultimo ventennio per raccontare lo stato dell'arte e indagare i temi sui quali si sta concentrando l'attività professionale e la sperimentazione: dall'abitare sotto i 1000 euro al metro quadrato a cosa fare dei beni sequestrati alle mafie, dall'emergenza paesaggio ai nuovi spazi pubblici.

di: ANSA.it (3 maggio 2010)

Gli antenati degli elefanti si sono evoluti in Africa 7 milioni di anni fa

SYDNEY - Scienziati australiani hanno riportato in vita un componente primario del sangue di mammut villosi, rivelando in uno studio pubblicato su Nature Genetics, come i colossali antenati degli elefanti potessero sopravvivere nella gelida zona artica. I ricercatori dell'Australian Centre for Ancient Dna dell'università di Adelaide, in collaborazione con colleghi dell'università di Manitoba in Canada, hanno ricreato l'emoglobina, la proteina portatrice di ossigeno, da resti fossili di esemplari siberiani di 30 mila anni fa. "E' la stessa proteina che avremmo ricavato tornando indietro nel tempo e prelevando sangue da un mammut... ora possiamo misurare le funzioni dell'animale come se fosse ancora vivo", scrive il prof Alan Cooper che ha guidato il progetto. Gli antenati dei moderni elefanti si sono evoluti nel caldo dell'Africa circa 7 milioni di anni fa. I mammut furono il solo ramo della famiglia a emigrare con successo verso nord in regioni più fredde dell'Europa, fra 1,2 e 2 milioni di anni fa, sviluppando orecchie e coda più piccole e una pelliccia. Cooper spiega che l'emoglobina umana in condizioni di gelo non emette sufficiente ossigeno, il che ne priva le estremità causando congelamento e cancrena.

La ricerca mostra che l'emoglobina dei mammut aveva una struttura radicalmente differente, che le consentiva di funzionare nel freddo estremo. Questo avrebbe aiutato i mammiferi dell'Era glaciale a sopravvivere, perché non dovevano consumare energia per mantenere calde le estremità, proboscide compresa. "L'evoluzione ha agito in tempo reale per sviluppare questa strategia",scrive ancora lo scienziato. Lo stesso approccio potrebbe essere adottato con altre specie estinte, come il nostro lontano parente, l'uomo di Neanderthal. Ricreando l'emoglobina e studiandone le proprietà si potrà gettare luce su diverse malattie umane, aggiunge. Gli studiosi hanno convertito le sequenze Dna dell' emoglobina del mammut in acido ribonucleico, iniettandolo in normali batteri E. coli, che hanno fatto ricrescere l'autentica proteina dei mammut. Usando test fisiologici e modelling molecolare, hanno scoperto come sopravvivevano, avendo cambiato la sequenza della proteina nel sangue.

Continental-United, nasce la più grande compagnia aerea del mondo

di: Messaggero.it (3 maggio 2010)


ROMA (3 maggio) - Firmato l'accordo che vedrà nascere la compagnia aerea più grande al mondo. United Airlines e Continental si fonderanno entro la fine del 2010 con un accordo da 3,2 miliardi di dollari.

Tecnicamente non si tratta di una vera e propria fusione, ma dell'acquisto da parte della United Airlines della rivale Continental. L'operazione non prevede pagamento cash ma uno scambio in cui gli azionisti di Continental riceveranno 1,05 azioni di United per ogni titolo detenuto.

A capo della nuova compagnia andrà l'amministratore delegato di Continental Jeff Smisek. Glenn Tilton, oggi a.d. di United, siederà sulla poltrona di presidente non esecutivo. La nuova compagnia si chiamerà United Airlines mentre la holding rifletterà i nomi di entrambi le società contraenti l'accordo: United Continental Holdings Inc.

Il fatturato complessivo della nuova United Airlines sarà di circa 29 miliardi di dollari con sinergie da fusione per circa 1,2 miliardi. Il gruppo avrà un flottante di 314,5 milioni di azioni, che sarà controllato per il 55% dagli azionisti della vecchia United Airlines.

Quella che nascerà dall'accordo di fusione di oggi, sarà la compagnia più grande al mondo e scalzerà dalla prima posizione la Delta, che il 29 ottobre aveva completato l'acquisizione di Northwest Airlines. L'accordo che è stato firmato oggi è frutto di un lungo periodo di trattative iniziato ben due anni fà.

Nel 2008 infatti la fusione sembrava fatta ma alla fine la Continental si ritirò a causa delle cattive condizioni finanziarie in cui versava la United. Tuttavia le due compagnie diedero vita a un'alleanza strategica che secondo molti esperti del settore era il preludio alla fusione odierna. Nei mesi scorsi inoltre la United Airlines aveva intrattenuto rapporti con la Us Airways ma quest'ultima alla fine aveva preferito rimanere indipendente.

La fusione avrà importanti conseguenze per l'industria aerea. Secondo gli analisti, spingerà le altre compagnie a valutare l'ipotesi di nuove fusioni per poter competere con questo colosso e la Delta. Dal punto di vista dei consumatori finali, si prevede un aumento delle tariffe aeree a causa di una riduzione dell'offerta a cui porterà la fusione.

Importante anche l'impatto sui produttori aerei. La Continental infatti ordina dalla Boeing. La United si serve dalla stessa Boeing e dalla Eads. In futuro si dovrà decidere come trattare i vecchi ordini e come piazzare i nuovi. La nuova United Airlines infatti dovrà rinnovare la flotta aerea per complessivi 22 miliardi di dollari.

In una lettera aperta la difesa di Roman Polanski

di: in Sole 24 ore.com (3 maggio 2010)

Dal 26 settembre scorso , data del suo arresto in Svizzera, il 76enne regista Roman Polanski non aveva mai parlato. Ricercato dalla giustizia statunitense per violenza carnale su una minorenne, reato commesso nel 1977, solo adesso ha deciso di rompere il silenzio e dire la sua. Gli Stati Uniti «vogliono servirmi ai media su un piatto d'argento», ha scritto in una lettera aperta pubblicata da diversi mezzi di comunicazione europei, commentando la richiesta di estradizione della magistratura americana per il caso di violenza sessuale avvenuta 33 anni fa.

Ma «non posso più rimanere in silenzio», continua dagli arresti domiciliari nella località svizzera di Gstaad, dove attende l'esito dell'iter giudiziario per l'estradizione. In particolare, lamenta il regista -nel testo indirizzato all'opinione pubblica e pubblicato inizialmente sul sito web «Le regole del gioco», diretto dal suo amico filosofo Bernard-Henri Levy - il fatto che il Procuratore distrettuale di Los Angeles Sreve Cooley, «che segue il caso e che ha richiesto l'estradizione, sta facendo campagna elettorale (per l'elezione a Procuratore generale dello stato della California) e ha bisogno della pubblicità dei media». E ancora: «Non posso più tacere perché la domanda di estradizione alle autorità svizzere è basata su una menzogna», prosegue Polanski, a proposito della sua detenzione di 42 giorni nel penitenziario di Chino (California), nel 1977. Secondo il regista, perseguito negli Stati Uniti per aver avuto un rapporto sessuale con una minorenne di 13 anni, quel periodo di detenzione corrisponde alla pena a cui avrebbe dovuto essere condannato, e che avrebbe quindi già scontato.

Wwf, discariche amianto anche su Volturno e Aterno

di: Adnkronos (3 maggio 2010)

Torino - Oggi al processo Eternit in corso a Torino, cui il Wwf partecipa come parte civile, e' emerso che le sponde del fiume Po sono state usate, da piu' di quarant'anni, come vere e proprie discariche di amianto a cielo aperto. Il 'censimento' ambientale di 29 corsi d'acqua effettuato ieri dal Wwf per la campagna ''Liberafiumi'', ha scoperto detriti anche lungo il Volturno in Campania e l'Aterno in Abruzzo.

Le foto del Cnr-Torino, presentate oggi al processo, mostrano discariche abusive con scarti di lavorazione dell'Eternit che, secondo la testimonianza del Sindaco di Cavagnolo, la popolazione utilizzava per costruire pollai e pavimentare giardini, o addirittura veniva usata dai bambini per giocare.

Sempre al processo, il sindaco di Casale Monferrato ha confermato che molti residui di amianto venivano riversati nel fiume, in aree in cui lo Stato ha poi avviato un'opera di bonifica ormai in una fase avanzata di realizzazione. I risultati completi della campagna del Wwf, saranno resi noti alla fine di maggio, in occasione della prima conferenza nazionale per la biodiversita'.

Marea nera, Bp sotto pressione mentre chiazza avanza

di: Reuters (3 maggio 2010)

VENICE/MIAMI, Stati Uniti (Reuters) - Il gigante dell'energia Bp oggi è sotto assedio per la catastrofica fuoriuscita di petrolio da uno dei suoi pozzi nel Golfo del Messico, mentre le sue azioni scendono e il governo Usa preme nel tentativo di evitare un grosso danno ambientale.

Mentre l'enorme chiazza di greggio avanza verso le coste Usa, la società è sotto pressione affinché faccia di più per fermarla, o almeno controllarla, in quello che si sta trasformando nel peggior sversamento di petrolio nella storia Usa.

I commenti del ministro della Giustizia Usa sull'indagine sull'incidente sollevano lo spettro di un'ampia responsabilità di Bp nella fuoriuscita, dopo l'esplosione in un suo pozzo di trivellazione lo scorso 20 aprile. Un funzionario del dipartimento della Giustizia ha però precisato che al momento non è in corso un'inchiesta penale.

La Casa Bianca ha nuovamente sottolineato l'impegno del presidente Usa Barack Obama per assicurare che Bp paghi il prezzo del disastro.

"L'impegno che ha preso ieri il presidente è che la parte responsabile pagherà per questo, e quella parte è Bp", ha detto il portavoce Robert Gibbs.

La marea nera, che si sta ingrossando, minaccia la navigazione, la natura, le spiagge e una delle zone di pesca più feconde della nazione, tra la Louisiana e la Florida passando per il Delta del Mississippi. Anche la qualità dell'aria potrebbe risentirne, e viene monitorata dalle autorità.

La chiazza sembra spostarsi verso le coste dell'Alabama e della Florida e travolgere le isole Chandeleur, al largo della Louisiana, nei prossimi giorni, dice l'Amministrazione Nazionale per l'Oceano e l'Atmosfera.

I ministri della giustizia di cinque stati del Golfo -- Louisiana, Mississippi, Alabama, Florida e Texas -- si sono incontrati ieri a Mobile, in Alabama, e hanno reso noto che intendono scrivere ad Obama e alla Bp chiedendo di fornire il più presto possibile aiuti federali e anche risarcimenti dall'azienda a coloro che sono stati colpiti dal disastro.

Bp ha detto che sta facendo del suo meglio per chiudere il pozzo, che si trova a una profondità di circa 1.600 metri.

L'operazione, paragonata a "un intervento a cuore aperto a 5.000 piedi nel buio con sottomarini controllati da robot", potrebbe durare settimane o addirittura mesi, ha detto al canale tv Abc News il presidente di Bp per l'America, Lamar McKay.

Bp ha reso noto che sta lavorando a cinque piani per bloccare il flusso del greggio, tra cui l'installazione di una cupola per raccogliere il petrolio sul fondo marino da trasportare poi in superficie.

© Thomson Reuters 2010 Tutti i diritti assegna a Reuters

Lo show di Ahmadinejad all'Onu: «Via le armi nucleari Usa dall'Italia»


di: Redazione online - Corriere della Sera (3 maggio 2010)

«Via da Europa le testate Usa. Medioriente minacciato dal regime sionista»

NEW YORK - Via le armi nucleari americane dall'Europa, in particolare quelle «in Italia» e in Paesi come la Germania e l'Olanda. S'infiamma subito la conferenza di riesame del trattato di non proliferazione con le dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, unico capo di Stato presente al summit apertosi lunedì a New York. L'attacco è rivolto soprattutto agli Stati Uniti che «usano la minaccia nucleare contro altri Paesi, compreso l'Iran». «L'utilizzo di armi nucleari da parte degli Usa ha scatenato una corsa al nucleare». In segno di protesta, le delegazioni occidentali - compresa quella italiana - hanno lasciato l'aula. Poi Ahmadinejad ha chiesto la sospensione degli Stati Uniti dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea). Il leader ultraconservatore è poi tornato sul dossier nucleare, asserendo che «non c'è una sola prova credibile» che il regime di Teheran stia sviluppando armi nucleari.

AIEA - L'Iran «ha accettato la proposta di scambio» di combustibile nucleare proposta dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), ha dichiarato Ahmadinejad senza fornire altri particolari a riguardo, ma si è limitato ad aggiungere che ora l'Iran «ha passato la palla ad altri». Ahmadinejad è quindi tornato ad attaccare Israele per il suo arsenale nucleare. «Il regime sionista continua a rappresentare una minaccia per gli Stati della regione» con le sue armi atomiche.

Tv, jogging e un lavoro per tutti: così il carcere diventa umano

di di Giulia Pompili - Il Foglio (3 maggio 2010)

L'esperimento in Norvegia

La prigione di Halden e il reinserimento dei criminali nella società

Può esistere un carcere “a misura d’uomo”? Capace di creare un percorso riabilitativo, e non solo punitivo? A quanto pare sì. Lo hanno inaugurato ad aprile in Norvegia, dopo dieci anni di lavoro e oltre duecentocinquantamila dollari. Oggi il Time analizza il sistema della prigione di Halden, trenta ettari nel sud est della Norvegia, dove lo spazio per i detenuti è costruito in modo da sembrare il più possibile vicino alla quotidianità di una persona libera. Servizi come uno studio di registrazione, dei percorsi di jogging e di una casa indipendente dove i prigionieri possono ospitare le loro famiglie per visite prolungate, il tutto a disposizione di 248 detenuti (Halden è la seconda prigione della Norvegia, dopo quella di Oslo). Un esperimento sensazionale, se visto alla luce dei dati italiani: nelle carceri della penisola, attualmente gli obbligati sono oltre 67 mila, con ovvi problemi di gestione degli istituti di pena, e dal 2010 si sono registrati già ventidue suicidi. Qualche mese fa il Premier, Silvio Berlusconi, aveva lanciato l'ipotesi dei domiciliari per le pene brevi, ma una riforma sistematica tarda ancora a venire.

Il sito internet della “cittadella” norvegese, invece, è pieno di immagini e fotografie di detenuti sorridenti, offre materiale dettagliato sulle modalità di ingresso per le visite, proprio come all’aeroporto, un modulo on line di richieste, e anche un’area “lavora con noi”. Tutto sembra fatto per non far perdere la dimensione dell'"esterno" né al detenuto, né ai suoi familiari.

Are Hoidal, il responsabile della prigione, minimizza: “Nel sistema carcerario norvegese, c'è molta attenzione ai diritti umani e al rispetto. Non c’è niente di inusuale in tutto questo”. Il sistema di recupero norvegese è basato sulla fiducia, secondo un modello per cui i metodi repressive non funzionano e i prigionieri trattati umanamente incrementerebbero le loro possibilità di reinserimento nella società. Tutta la struttura sembra riproporre questo sistema: “La cosa più importante è che il carcere appaia molto simile al mondo esterno”, afferma Hans Henrik Hoilund, uno degli architetti.

E così, il muro di cinta esiste ma è coperto dagli alberi, e non esistono grate e ferro. Ogni cella, ha a disposizione tv e frigorifero, compresi soggiorno e cucina in condivisione, per incrementare l’autonomia. Le guardie carcerarie non portano con loro armi, simboli di aggressività che aumentano la distanza umana, sono per la maggior parte donne e mangiano insieme ai detenuti. All'interno della struttura, sono presenti corsi di formazione professionale che facilitano il reintegro in società, come la scuola di cucina e quella di falegnameria, oltre a un liceo, squadre agonistiche di vari sport e un coro. Qualcosa che assomiglia molto più a una comunità di recupero che a un carcere, e infatti, entro i due anni dalla loro liberazione, in Norvegia soltanto il venti per cento dei detenuti torna dentro (in Inghilterra e Stati Uniti, la cifra si aggira tra il 50 e il 60 per cento, anche se in confronto, hanno un livello di criminalità tra i più alti del mondo).


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