La Missione è quella di creare un'associazione tra la Comunicazione e la Cultura. Spesso questi due ambiti non si incontrano (il comunicatore non fa vera cultura e l'accademico non sa comunicare in modo efficace). Noi vorremmo far incrociare i due binari per portarli a formarne uno unico.

Vorremmo stimolare l'aspetto critico del fruitore, per comunicare cultura e per acculturare la comunicazione.

Questo Blog vuol essere un punto di riferimento per articoli d'informazione giornalistica-scientifico-culturale-economica.

Qui potrete trovare ogni tipo d'informazione e saremo lieti di stimolare un sano e doveroso dibattito per ogni singolo articolo, con il fine d'incrociare nel massimo rispetto di pareri ed opinioni diversi tra loro, per giungere così ad una proposta d'incontro tra i molteplici aspetti di una società multiculturale

giovedì 21 aprile 2011

C'è un errore, Catechismo ritirato

di: La Stampa - Giacomo Galeazzi

"Si dà l'impressione che le coppie cattoliche possano usare metodi contraccettivi"

In Italia «YouCat» autorizza l’uso del preservativo, nel resto del mondo no, quindi stop alla diffusione del catechismo per giovani. A provocare il blocco temporaneo della distribuzione è stato un errore di traduzione sul tema-contraccezione. Il sì della Chiesa non riguarda, infatti, il ricorso degli sposi cristiani a metodi anticoncezionali (come si legge nell’edizione italiana), bensì la facoltà di regolare il numero dei figli con il calcolo dei periodi fecondi e infecondi della donna, che, «se usato correttamente, è più efficace della pillola».

Il testo, curato dal cardinale Christoph Schoenborn e introdotto da una premessa del Papa, è stato realizzato in vista della Giornata mondiale della gioventù di Madrid. Una copia sarà nello zaino che i ragazzi di tutto il mondo porteranno a Madrid per la Gmg che si svolgerà dal 16 al 21 agosto. Non è la prima volta che accade: già in una risposta sul condom nel libro-intervista di Joseph Ratzinger «Luce del mondo», una traduzione errata dal tedesco cambiò «prostituto» in «prostituta» suscitando polemiche.

«L’edizione italiana di “Youcat” è stata sospesa temporaneamente per verificarne l’esattezza e la correttezza», comunica la casa editrice «Città nuova». Il testo, in libreria dal 30 marzo, ha finora venduto 14mila copie. Nel volume, che spiega la dottrina cattolica sotto forma di domande e risposte, vengono trattati temi controversi come la contraccezione, l’eutanasia passiva, il celibato, l’omosessualità e il divorzio. Vari punti dottrinali vengono affrontati con toni concilianti nei confronti della sensibilità moderna. Sul tema della contraccezione la risposta alla domanda «Può una coppia cristiana fare ricorso ai metodi anticoncezionali?», la risposta è: «Sì, una coppia cristiana può e deve essere responsabile nella sua facoltà di poter dare la vita». Nella risposta successiva, comunque, si precisa che «la Chiesa rifiuta tutti i metodi contraccettivi artificiali, che si tratti di mezzi chimici (la pillola), meccanici (condom, spirale) e chirurgici (sterilizzazione) che interferiscono, manipolandola, nell’unione fra uomo e donna».

E’ esploso ieri sul Web il caso della traduzione sbagliata. Un tam-tam sui siti come il «Blog degli amici di papa Ratzinger» che tuona contro «la classica goccia degna di far traboccare il vaso: sciatteria? Menefreghismo? Scarso amore per la Chiesa? E’ ora di darci un taglio? Sei anni di superficialità sono

Obama riparte da Facebook "Situazione conti insostenibile"

di: La Repubblica - Paolo Pontoniere

Il presidente americano lancia la sua campagna per la rielezione dal social network. Risponde a domande preselezionate dal suo staff, con accanto Mark Zuckerberg. E ribadisce la sua strategia di aumentare le tasse ai più ricchi


PALO ALTO (California) - La situazione di bilancio americana è insostenibile: tagliare la spesa è necessario per risanare i conti ma i tagli vanno effettuati con lo "scalpello" non con il "machete" altrimenti il rischio è di una nuova recessione. Il presidente Barack Obama, nel quartier generale di Facebook, risponde alle domande che arrivano dal web e a quelle del pubblico. E, sorridendo a Mark Zuckerberg, il fondatore del social network, afferma: "Sia io che te dobbiamo prepararci a pagare più tasse. Lo so che - dice guardando uno dei più giovani miliardari al mondo - per te non è un problema". Un'affermazione questa che sembra confermare ancora una volta l'intenzione di Obama di lasciar scadere alla fine del 2012 gli sgravi fiscali per i più ricchi.

Impegnato in una battaglia all'arma bianca con il Partito repubblicano sul futuro finanziario del Paese, piuttosto che limitarsi al negoziato classico - quello che avviene in genere a Washington dietro porte chiuse con lobbisti e industriali - il presidente Usa ha deciso di ripercorrere una strada che l'aveva portato nel 2008 negli uffici di Google e ora è tornato di nuovo in California negli uffici di una compagnia che promette di diventare il colosso della nuova Internet mobile e socializzata.
Arrivato a Facebook col suo entourage per tenere un "town hall meeting" nella palestra della famosa startup - eh si perché  ufficialmente il social network di Zuckerberg è considerato ancora una startup - Obama ha delineato la sua proposta per riformulare il bilancio della nazione da qui a dieci anni in maniera da ridurre il deficit, rilanciare l'economia e l'occupazione, risollevare le sorti dell'istruzione pubblica ed abbassare drasticamente il debito pubblico senza affondare la riforma sanitaria e impoverire maggiormente le fascie più deboli del paese.

"La proposta dei Repubblicani è radicale", ha risposto Obama ad un impiegato di Facebook che gli chiedeva se i tagli della spesa pubblica proposti dal congressista Paul Ryan, capo della commissione bilancio della camera statunitense, fossero anche coraggiosi. "Coraggiosa - ha risposto - non di certo visto che cerca di risolvere i problemi prendendosela come al solito con i più deboli, gli anziani, i disabili e i poveri, tutta gente che a Washington non ha nessun lobbista".

L'incontro di Facebook, che è stato trasmesso anche live dal social networ californiano, ha mostrato un Obama all'apice delle sue energie e che rammentava da vicino il trascinatore di folle che il mondo ha conosciuto nel 2008. Elettrizzato dallo scontro con i repubblicani - che volevano oltre 60 miliardi di dollari di tagli e si sono dovuti accontentare di appena una quarantina - il presidente statunitense ha risfoderato la passione oratoria che lo aveva reso famoso durante i rally della campagna che lo aveva portato alla Casa Bianca. Ha fatto appello all'energia dei giovani, al loro know-how tecnologico, allo loro integrità morale e al loro senso di avventura. Li ha spronati a non mollare e a vedere opportunità per cambiare dove gli altri vedono solo negativismi. E così, un migliaio assiepati nell'auditorium di Palo Alto e oltre 35 mila online, i giovani che lo seguivano hanno risposto con passione e trasporto sonoro alle battute del presidente e ai suoi affondi nei confronti dei suoi detrattori.

Il blitz di Obama - da San Francisco si soposterà poi a Reno e Los Angeles - ha luogo mentre il Congresso sta cercando di risolvere due dei maggiori blocchi fiscali con i quali gli USA hanno a che fare in questo scorcio di stagione politica: il passaggio del bilancio per il 2012, che entra in vigore il 1 Ottobre del 2011, e l'incremento del deficit pubblico necessario alla copertura di tutte le spese correnti del governo.

"Ci sono cose come la spesa per la difesa che non possiamo non finanziare - ha detto Obama - ma i tagli vanno apportati in tutte le aree, anche alla difesa, badando bene a non compromettere la sicurezza nazionale". Il piano pone fine alle agevolazioni fiscali per i più ricchi introdotte dall'amministrazione di George W. Bush, e prevede un'espansione ulteriore di programmi del welfare come Medicare e Medicaid - l'assistenza medica alla quale fanno ricorso i bambini, i pensionati e i meno abbienti - e una drastica riduzione della spesa per la difesa. I repubblicani al contrario vorrebbero emendamenti che impongano al presidente l'obbligo di bilanciare il budget e limitino per legge la spesa pubblica.

Parlando di tasse Obama ad un certo punto non s'è potuto trattenere, scatenando la risata generale, dall'osservare che gente come lui e il suo anfitrione Mark Zuckerberg - che ha moderato la discussione - non hanno bisogno di un'altra agevolazione fiscale. E a quelli che ancora dubitano dell'utilità dei programmi di welfare, Obama ha raccontato la sua storia personale. La storia del figlio d'una madre singola che è arrivato alla laurea e alla presidenza del Paese più potente del mondo grazie alle borse di studio statali, ai programmi pubblici per la salute e anche ai food stamp, ovvero agli aiuti finanziari per i poveri che non possono permettersi di comprare da mangiare.

Morte di due reporter al fronte

di: Il Foglio

Avevano dimostrato di essere i migliori in Iraq e in Afghanistan


Quando è arrivato dall’alto il fuoco del mortaio, Tim Hetherington e Chris Hondros se ne stavano acquattati proprio sulla linea del fronte, a Misurata, con le loro machine fotografiche. La notizia della morte l’ha data Andre Liohn, un collega fotogiornalista, tramite il suo profilo Facebook; nei minuti confusi della ricostruzione la morte di Hondros è stata smentita, declassata a “gravi condizioni” e poi riconfermata dalle testimonianze via Twitter che arrivavano da altri giornalisti in Libia.

Chris Hondros è nato a New York, figlio di due emigrati dalla Grecia e dalla Germania sopravvissuti alla guerra e negli ultimi dieci anni ha girato il mondo per fotografare la guerra dalla primissima linea: ha scattato immagini in Afghanistan, Sierra Leone, Liberia, Palestina, Kashmir e molti altri posti, anche se sono le immagini dall’Iraq che lo hanno fatto diventare un’icona del mestiere. Nel 2005 ha immortalato una bambina irachena insanguinata dopo che i soldati americani avevano fatto fuoco su una macchina che non si era fermata al checkpoint. Quell’immagine si è impressa nella memoria della guerra irachena come un simbolo. Come succede a tanti fotogiornalisti, Hondros vendeva le foto a chi le comprava e i suoi scatti sono finiti sui migliori quotidiani e magazine del mondo. Nel 2004 è arrivato alla finale del Pulitzer per una serie di scatti in Liberia e negli anni i riconoscimenti sono arrivati a dozzine.

Viaggiava spesso con il coetaneo Hetherington, quarantun anni e una vocazione tardiva per la fotografia. Studiava inglese a Oxford prima di mettersi in strada per seguire le guerre più pericolose del mondo. In Liberia si muoveva così tanto fra le file della guerra civile che il governo del dittatore Charles Taylor lo ha costretto ad andarsene, mettendo una taglia sulla sua cattura. Nel 2007, dopo la Liberia, si è preso una pausa dalla professione: troppo pericolosa, troppo snervante, pensava, e ha messo la sua esperienza africana al servizio di una commissione delle Nazioni Unite.

L’inattività è durata poco, fino a quando Vanity Fair gli ha chiesto di andare assiema al giornalista Sebastian Junger in Afghanistan per un anno a raccontare la vita di un avamposto isolato nella valle di Korengal; quell’avamaposto era stato battezzato dal plotone “Restrepo”, il cognome di un compagno caduto sotto i colpi dei talebani. L’anno scorso lo strepitoso reportage dei due giornalisti è diventato un film (“Restrepo”, appunto), racconto di guerra che difficilmente potrà essere superato anche appellandosi alla finzione cinematografica.

“Restrepo” è una parola definitiva sulla guerra in Afghanistan. Una guerra lunga, lenta, combattuta in montagna colpo su colpo, dove i soldati scrutano l’orizzonte ossessivamente come nel romanzo di Buzzati; non ci sono spostamenti veloci, grandi basi con l’aria condizionata e Burger King: solo una piccola costruzione abbarbicata sul costone che guarda un costone uguale dove, invece, sono abbarbicati i talebani. I soldati del secondo plotone della fanteria  si lavano le uniformi e le mettono a stendere sulle rocce, si raccontano storie mentre di notte osservano accovacciati i traccianti del nemico che fischiano sopra e sotto. Questa band of brothers esce compatta non solo per stanare il nemico ma per incontrare la popolazione nei villaggi, i capi tribù con la barba tinta al’enné e convincerli a ribellarsi ai talebani.

Offrono soldi e sigarette, come si fa sempre nella guerra, e le loro sembianze di ragazzotti del Montana o di chissà dove ancora non perdono mai i tratti umani, come succede sempre nella guerra. Hetherington è il coraggioso autore del più onesto dei racconti della guerra lunga d’Afganistan. Quella di Libia all’apparenza è molto diversa, ma si sta modellando a immagine del pantano di Kabul. Nell’ultimo messaggio su Twitter, trasmesso martedì, Hetherington parlava di una città sotto assedio e “nessun segno della Nato”. Così diceva prima di di quel colpo di mortaio a Misurata.

Così invademmo (piano) la Libia

di: Il Foglio - Daniele Raineri

Londra, Parigi e Roma inviano “consiglieri militari” contro Gheddafi 

Si comincia mandando consiglieri, si finisce invischiati in una guerra lunga. Sir Manzies Campbell, ex leader dei LibDem, ieri ha visto subito il rischio nella notizia che la Gran Bretagna, ma anche l’Italia e la Francia, stanno mandando istruttori militari per aiutare i ribelli libici a resistere contro le forze di Muammar Gheddafi. “Il Vietnam è cominciato con un presidente americano che mandava consiglieri militari. Dovremmo procedere con cautela”. Questo tipo di appoggio è spesso stato il capitolo iniziale di operazioni militari massicce: durante la Guerra fredda, quando non si poteva agire allo scoperto, l’Unione Sovietica fondò tutta la sua geopolitica sull’invio di “consiglieri militari”, agguerritissimi contingenti di migliaia di soldati, in ogni area d’interesse dall’Angola a Cuba, dallo Yemen all’Egitto. 

Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, insiste: non si tratta di “boots on the ground”, di anfibi a terra, come è sempre evocata alla spiccia l’opzione di una invasione di terra. “Ribadisco che non addestreranno le forze libiche a combattere e nemmeno le armeranno o equipaggeranno; sono là per aiutarli a organizzarsi a difendere meglio la popolazione civile. Non andranno sul campo di battaglia, si occuperanno di organizzare strutture di comando. Operiamo nell’ambito di una risoluzione delle Nazioni Unite che proibisce la presenza di qualsiasi tipo di forza d’occupazione in qualunque parte della Libia. La rispetteremo sempre. Non schiereremo forze di combattimento terrestri laggiù. Non è quello che stiamo facendo”. 

Eppure, la storia dell’intervento occidentale a guida Nato contro Gheddafi è fatta di promesse di neutralità giocoforza non mantenute, di livelli di coinvolgimento progressivi, sempre più intensi e sempre negati come irrealizzabili fino al momento in cui non si sono invece realizzati. Per le strade della capitale dei ribelli, Bengasi, ci sono ancora le scritte “No all’intervento straniero, la Libia può fare da sola”. Eppure, dopo avere visto il nemico arrivare alle porte della città, sono stati gli stessi ribelli libici a chiedere prima una zona di non sorvolo aereo e poi i bombardamenti alleati, e poi ancora a insistere per averne di più intensi. Quando li hanno avuti – ma non bastano mai – hanno chiesto forniture di armi più sofisticate – persino di elicotteri – per battere gli uomini di Gheddafi, e ora sembra quasi naturale che arrivino istruttori occidentali per addestrarli. 

Gran Bretagna, Italia e Francia mandano soltanto dieci consiglieri a testa, ma il nemico incalza. Al largo di Cipro è prevista nelle prossime due settimane un’esercitazione con navi inglesi e 600 commando della Royal Marine, ed è naturale collegare la loro presenza da quanto sta succedendo a Misurata, la città ribelle assediata a poche ore di navigazione. La Sarajevo della Libia minaccia di cedere da un momento all’altro sotto la pressione e i colpi dei gheddafiani. Sembra passato un secolo, ma anche i bombardamenti che ormai vanno avanti da un mese all’inizio erano stati esclusi dalle opzioni possibili: poi si era dovuta salvare Bengasi e non si è più smesso. Ieri la Casa Bianca ha approvato l’invio dei consiglieri ma ha ripetuto che non intende mandare suoi militari. 

In realtà, gli istruttori si aggiungono a squadre occidentali già presenti con discrezione sul teatro di operazioni. Uomini della Cia e dei corpi speciali, ma anche semplici tecnici militari che aiutano con le comunicazioni.

Nella città di Misurata, dove ieri due giornalisti americani, Chris Hondros (candidato al Pulitzer) e Tim Hetherington (candidato all’Oscar per un suo documentario), sono morti centrati da un mortaio, la notizia dell’arrivo dei consiglieri è accolta con entusiasmo. “Vogliamo una forza di protezione qui in città ora”, dice al Times di Londra uno dei membri del Consiglio cittadino, Nour Abdulati. “Quando dicevamo che non volevamo l’intervento straniero, Gheddafi non ci stava bombardando con razzi e aerei da guerra. Ora vogliamo vedere francesi e inglesi combattere a fianco dei rivoluzionari libici”. Ismail Tabal, un settantenne in coda per la distribuzione di cibo, dice allo stesso giornalista: “Quando? Li vorremmo stasera alle sei”. L’Ue ha detto di essere pronta a mandare un contingente armato di mille uomini per proteggere l’arrivo degli aiuti alla città, e il regime di Tripoli ha fatto sapere che l’azione sarebbe considerata alla stessa stregua di un’invasione.

La presenza dei consiglieri stranieri creerà strane mescolanze. Londra spedisce un colonnello veterano della guerriglia nell’Helmand, l’area più violenta dell’Afghanistan, un ufficiale che ha visto mille battaglie contro i talebani e che ora potrebbe finire a lavorare con qualche ex nemico. Tra le file della guerriglia afghana ci sono – c’erano – anche volontari libici. Prima cercavano scampo dai raid della Nato in Afghanistan, ora in Libia forniscono agli stessi aerei le coordinate per bombardare i tank di Gheddafi. Un generale dei rivoltosi ucciso venerdì scorso, Abdul Monem Muktar Mohammed, mentre alla testa di un convoglio di 200 macchine guidava verso Ajdabiya, durante le persecuzioni di Gheddafi aveva cercato protezione assieme con molti connazionali sotto i talebani.

Nello stesso letto finiscono anche Londra e Doha. Gli inglesi vogliono alzare il livello di collaborazione con il Qatar, che sta fornendo armi avanzate ai ribelli libici.

Scuola, il ministro Gelmini: «I precari? Contiamo di assorbirli tutti in 6-7 anni»

di: il Messaggero

ROMA - «Contiamo in sei-sette anni di poter assorbire tutto il precariato nella scuola», ha detto questa mattina a Palazzo Chigi dal ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, presentando il progetto Scuola digitale condotto insieme al ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. «Abbiamo siglato - ricorda la Gelmini - molti accordi con le Regioni e utilizzato tute le risorse che avevamo a disposizione».

Il ministro dell'Istruzione ammette il numero «esorbitante» di precari accumulato in passato in maniera «superficiale», che fa tuttora registrare circa 110 mila supplenti e circa 200 mila docenti non abilitati, a fronte dell'immissione in ruolo, per quest'anno, di 30 mila docenti. La Gelmini conferma inoltre l'intenzione, nonostante le accuse di «populismo», di programmare l'accesso alla scuola, orientando gli studenti verso percorsi formativi scientifici con maggiori prospettive professionali. L'obiettivo, conclude, è quello di non «vendere speranze» che si trasformino poi in «cocenti delusioni».

Jovanotti, un concerto per il futuro «Mi sono ispirato a Sammy Davis»

di: Il Messaggero


RIMINI - Se Lorenzo Jovanotti ha un merito, e non è da poco, è quello di avere il talento della spugna. Assorbe e fa proprio tutto ciò che gli passa a tiro e lo stuzzica. E il nuovo tour ne è la testimonianza diretta della voglia di crescere, di capire, di migliorare, di stupirsi: «Stasera ho perfino cantato bene» dice dopo il debutto, seduto al tavolo di un ristorante di Riccione. L’aria è soddisfatta, la tensione della prova dal vivo si è sciolta, il più è fatto. Racconta Jovanotti: «Per questo show mi sono immaginato come un crooner elettronico, un Dean Martin o un Sammy Davis sulla luna. Sono due cantanti formidabili, come del resto Frank Sinatra. In qualche modo mi sono ispirato a loro. A Sammy Davis ho copiato pure le scarpe di strass». Sorprendente, ma l’ispirazione non conosce confini. E non finisce qua: «Per il palco ho chiamato il designer dei Linkin park, perché avevo visto il loro spettacolo e m’era piaciuto il tentativo di rompere con l’idea solita dei musicisti disposti come su un altare». Ancora: a un certo punto sul megaschermo ad altissima risoluzione scorrono le proteste del Cairo, le donne a piazza del Duomo, il gaypride di Rio: «Di utilizzare quei filmati me l’ha suggerito You tube, dove un ragazzo aveva inserito un video di La notte dei desideri con le immagini dell’Iran. L’ho chiamato e gli ho detto, ti rubo l’idea».

E c’è anche un piccolo furto nell’archivio di casa: le immagini da bambino scovate in un super 8 girato dal padre. E’ fatto così Jovanotti, altrimenti il ragazzotto che cantava «E’ qui la festa» con la zeppola in bocca non sarebbe diventato uno dei personaggi di prima linea della nostra pop music, uno che può vantarsi di fare spettacoli con l’ambizione d’essere all’avanguardia. Così eccolo, l’altra sera al 105 Stadium di Rimini (zeppo come un uovo, con 7000 spettatori), fare fuoco e fiamme con un concerto spettacolare, a tratti lungo, musicalmente generoso che comincia in modo rutilante, con mezz’ora secca di techno che bombarda il pubblico pescando nei materiali dell’ultimo album, «Ora», pezzi come «Megamix», «Falla girare», «La porta è aperta». Mentre il palco che rinuncia al classico led («ce l’hanno pure a Sanremo») fa sfoggio di uno schermo che sdoppia e avvolge il corpo di Lorenzo di gomitoli di raggi laser. «Questo è un concerto per il futuro, non sul passato», assicura. E, allora, mani affondate nel nuovo materiale (13 pezzi dall’ultimo cd), mentre gli hit (ci sono, comprese «Penso positivo», «Ombelico del mondo», «Ragazzo fortunato» e le ballad «A te», «Mi fido di te», «Baciami ancora») sono confinati nella seconda parte, dove c’è pure spazio per un set acustico (con «Piove», «Bella», «Fango»). Insomma una prova ambiziosa dal punto di vista estetico e da quello fisico visto che corre come un disperato e non ha mai il fiatone («ho il preparatore di Pantani e Alonso e faccio 40 minuti di jogging ogni mattina»). A un certo punto, vestito di bianco, rosso e verde, Jovanotti canta «Io danzo», baccanale ritmico, estensione dell’antico «Penso positivo» che intona «Ci rubano le password/Ci frugano nel bancomat/... /Ci perquisiscono/Eppure non mi sono mai sentito così libero», mantra spericolato coi chiari di luna che ci circondano, ma Lorenzo, quello di Emergency, delle lotte, ha una nuova filosofia: «Resto di sinistra, ma non me la sento in questo clima di fare teatro sociale o parlare a chi è già d’accordo. Se volessi fare la lista dei motivi che ci sono per essere tristi sarebbe assai più lunga di quelle di Fazio e Saviano. Invece voglio parlare a chi non è convinto, non ne posso più delle egemonie culturali. John Milius è un uomo di destra, ma è un regista che adoro. Alla fine dello spettacolo brandisco una spada dorata come un Alberto da Giussano o un Orlando furioso, quello è il simbolo del riscatto». Il tour di Lorenzo proseguirà, per ora, fino a metà luglio. In buona parte è già sold out, farà quattro tappe a Milano e due alla curva sud dell’Olimpico, l’8 e il 9 luglio: «Si, avrei potuto anche farne una sola con tutto lo stadio, ma non mi sento pronto. Sarei andato in agitazione». A giugno il tour si interrompe perché deve tornare in America: «Mi hanno invitato al popolarissimo Bonnaroo festival nel Tennesse, non voglio mancare».

Oscar Biscet, il dissidente cubano verso il Nobel

di Luca Marcolivio - L'Ottimista


Il 2011 potrebbe diventare l’annus mirabilis per Oscar Elias Biscet. Il dissidente cubano, liberato poco più di un mese fa, ha infatti ricevuto la candidatura al Premio Nobel per la Pace. Mentore della Fondazione Lawton per i diritti umani, Biscet si batte per la democrazia nel suo paese, contro la pena di morte e contro l’aborto. Dal 1999 ad oggi, salvo una breve parentesi nel 2002, la sua vita è trascorsa nelle famigerate carceri cubane. Prima ancora che detenuto e dissidente politico, il medico cubano si è proclamato “prigioniero della coscienza” in quanto difensore di un diritto naturale come l’inviolabilità della vita che sussiste indipendentemente dal diritto positivo.
È stata proprio la sua strenua difesa della vita nascente a collocarlo nella lista nera del regime castrista. Ma Oscar Biscet ha osato di più: ha denunciato la diffusione dell’infanticidio negli ospedali cubani dove molti neonati rifiutati dalle madri (a Cuba l’altissimo tasso di abortività è dovuto anche al triste fenomeno del turismo sessuale) vengono sostanzialmente lasciati morire di fame, senza assistenza medica. Svelando tale abominio alla Convenzione sui diritti del bambino di Ginevra, Biscet parlò testualmente di “genocidio”. Venne sospeso dall’esercizio della professione medica, prima di essere condannato e incarcerato. “Nessuno Stato, nessun governo, nessun giudice può arrogarsi il diritto di dare la morte”, ha dichiarato più volte Biscet dal carcere.
La nomination di Oscar Biscet per il Premio Nobel è stata inoltrata al presidente del Comitato per il Nobel di Oslo, Thorbjørn Jagland, da numerosi soggetti istituzionali europei e nordamericani: tra questi numerosi deputati del parlamento del Canada e del Congresso USA, membri dell’Europarlamento di Strasburgo e della Camera dei Lord Britannica, il primo ministro ungherese Viktor Orban. Quest’ultimo ha elogiato Biscet “uomo coraggioso e dignitoso”, meritevole del Nobel per la sua “instancabile lotta per la libertà e i diritti umani”.
Da parte sua il segretario generale del Partito Popolare Europeo, Antonio Lopez-Isturiz, ha definito Oscar Biscet “una delle più rilevanti e pacifiche voci nella denuncia delle violazioni dei diritti umani a Cuba, con l’obiettivo di un passo in avanti verso la democrazia nel suo paese”.
La petizione firmata da 25 membri del Congresso USA ne loda “il coraggio, la leadership e l’impegno per la non-violenza, nel perseguimento dei diritti umani per tutto il popolo di Cuba, in netto contrasto con gli abusi di potere dell’autoritario regime cubano”.
Durante i suoi dodici anni di prigionia Oscar Biscet è stato lui stesso oggetto di violazioni dei diritti umani, subendo maltrattamenti, sevizie e soprusi di ogni genere. Per molto tempo è stato rinchiuso in una minuscola cella senza finestre, appena in grado di contenere una persona, senza né acqua, né luce, né la possibilità di leggere giornali o comunicare con altri detenuti. In altre occasioni era stato internato in celle collettive, alla presenza di alcuni dei più pericolosi criminali di Cuba.
“Cuba è oggi a un crocevia – conclude la sottoscrizione dei parlamentari di Washington –. Assegnando il Premio Nobel per la Pace al dott. Oscar Biscet Gonzalez, cubano difensore dei diritti umani, dedito senza sosta al cambiamento sociale non-violento, sarà segnato un passo in avanti verso un futuro costruttivo per tutto il popolo di Cuba”.

“In cammino” per Roma: i dipinti di Alessandra Giovannoni

di: Michela Di Stefano - L'Ottimista

Visitare la mostra “In Cammino” di Alessandra Giovannoni (Museo Carlo Bilotti di Roma, dal 11 marzo al 8 maggio 2011) è una vera e propria passeggiata tra le vedute di una Roma pacifica, assolata e lenta di una qualsiasi giornata d’estate. Piazza del Popolo, il Pincio, Villa Borghese, Piazza del Quirinale divengono le protagoniste dei principali lavori eseguiti dall’artista romana tra gli anni Novanta e oggi, e riuniti in questa esposizione, per la prima volta accolta da una sede istituzionale dell’arte italiana. Insomma, la Giovannoni è entrata nella storia dell’arte e lo ha fatto con la naturalezza di chi non si è mai distratta dalla propria ricerca artistica, intima e personale.

Alessandra Giovannoni, nata a Roma nel 1954, diplomatasi all’Accademia delle Belle Arti, è tra i protagonisti di quel ritorno alla pittura che ha come soggetto privilegiato la città, il paesaggio e la realtà circostante. Fin dagli anni Ottanta è stata indicata come giovane promessa dell’arte italiana da alcuni dei nomi più importanti della critica italiana, come Lorenza Trucchi, Marisa Volpi, Maurizio Calvesi, Fabrizio D’Amico e Lea Mattarella. E il motivo di tanto interesse lo si comprende immediatamente osservando i suoi lavori. La Giovannoni possiede lo spazio e ce lo dimostra continuamente presentandoci luoghi familiari trasfigurati in scenari metempirici, invasi da una luce che muta con il trascorrere delle ore e dei giorni; uno spazio sospeso, immobile, dilatato, a volte, fino a restituirne una visione amplificata che altera il luogo d’origine per trasformarlo in un altro possibile. Altro che non diviene non-luogo ma piuttosto meta-luogo. L’artista esplicita così il doppio livello di percezione dello spazio, ciò che fa parte della memoria e ciò che appartiene alla coscienza del presente,  infrangendo i condizionamenti che ci frenano dal conoscere ciò che è, per comprendere finalmente che percepire non è ricordare.

Le piazze capitoline divengono agorà contemporanee, percorse da figure silenziose raccolte nelle loro azioni semplici ma mai banali, protagoniste inconsapevoli di un mondo costruito attraverso luci e ombre.  Istantanee di una percezione totale resa attraverso un lungo lavoro di costruzione tono su tono, nel quale ogni pennellata diviene un passo avanti nella definizione di una sintassi personale, amalgamata da una chimica mentale che fa fondere questi materiali in un tutto compatto, coerente con la visione che Alessandra ha avuto in quel momento.

Momenti vissuti, percepiti e interiorizzati attraverso interminabili passeggiate dalle quali sono nati schizzi e annotazioni che ne fissano l’ora, il giorno, il mese per cercare di precisare sempre più la sensazione di quell’attimo di luce che si è scelto. Nulla è mai identico nello scorrere perpetuo del tempo, eppure ogni attimo assurge a frammento di un’eternità. E quale luogo, se non Roma,  può raccontare meglio il concetto di aeternĭtas, mediante la coesistenza della traccia del presente con la memoria del passato e il movimento di ciò che è prossimo?

Quel momento in cui il sole è talmente forte che piazza del popolo diviene rosa, l’acqua delle fontane capitoline viola, i muri di marmo paiono color ocra come le mura di una città affacciata su un mare blu che in verità è cielo, e citando una poesia dell’artista Marco Lodola:
Villa Borghese quasi non esiste / I cancelli difendono una luce / che si fa prato e acqua e innamorati: / luce dipinta, e tutto il resto è mondo.

La pittura della Giovannoni mostra le contraddizioni dell’epoca attuale, dominata dalla potenza del digitale che ha riconfigurato le modalità di creazione e fruizione dell’arte, spostando l’attenzione dall’oggetto al medium e mettendo in atto una teatralizzazione dell’esperienza artistica che, regalandoci esperienze preconfezionate, spoglia la percezione della sua funzione essenziale che è quella di rivelare l’oggetto. Poiché in fondo, citando le parole del filosofo Maurice Merleau-Ponty, tutto ciò che esiste, esiste come cosa o come coscienza.

Giusi Spagnolo, la prima laureata Down d’Italia

di: L'Ottimista


Si chiama Giusi Spagnolo, è palermitana e ha ventisei anni. Due occhi azzurri sprizzanti allegria le colorano il viso, riflesso di una tenerezza fuori dal comune. Giusi ama i bambini, tant’è che ha lavorato come tutor in una scuola elementare ed ha provato un’emozione fortissima quando si è sentita chiamare per la prima volta “maestra”. Quell’esperienza straordinaria nella scuola si è rivelata essere fonte d’ispirazione per la sua tesi di laurea.

Lo scorso 21 marzo, infatti, Giusi è stata proclamata Dottoressa in Beni Demoetnoantropologici presso la facoltà di Lettere dell’Ateneo palermitano, con la votazione di 105 su 110. Fiori colorati ovunque attorno a lei, tutti i familiari commossi, tantissime foto con amici e colleghi, perfino le telecamere. È stato un giorno di festa e di gioia immense. Per Giusi il traguardo conseguito è doppiamente importante: lei è stata la prima ragazza affetta da una sindrome di Down ad essersi laureata in Italia.

“Giusi è una ragazzina che può sembrare un po’ chiusa – dichiara papà Bernardo – ma in realtà è molto ironica ed in gamba. Ci auguriamo che possa trovare un lavoro attraverso cui sentirsi realizzata. C’è dietro un percorso di 26 anni, iniziato in famiglia e proseguito a scuola. Siamo stati fortunati perchè abbiamo sempre incontrato professori disponibili e strutture adeguate. Un lavoro di squadra che ha dimostrato come le persone con la sindrome di Down possano accedere ad alti standard di studio”.

Mario Giacomarra, preside della facoltà di Lettere, nonché relatore della tesi di laurea, ha affermato: “Quello di Giusi è un elaborato che presenta diversi pregi sia dal punto di vista accademico sia umano”. Gli intensi studi e l’esperienza presso la scuola elementare hanno indotto Giusi ad ideare un supporto didattico multimediale per bambini basato su una favola del poeta latino Fedro. Giusi ha intuito come l’apprendimento possa derivare o attuarsi attraverso il gioco.  Non a caso questa creazione andrà ad una ludoteca nel cuore della Palermo antica, dove Giusi gioca fin dall’infanzia con bambini sia siciliani sia delle comunità straniere.
Dicevamo che Giusi si è laureata proprio il 21 marzo, giorno in cui ricorre la giornata mondiale per le persone con sindrome di Down… Che dire, una coincidenza che scalda il cuore e scatena la speranza!

domenica 17 aprile 2011

Giovani imprenditori digitali. Pier Luigi Dal Pino (Microsoft): 'La soluzione è nel cloud computing'

Dal 2008, inoltre, Microsoft grazie al programma BIZSPARK ha aiutato più di 600 start-up ad accedere gratuitamente al Software.

Pubblichiamo di seguito l'intervento di Pier Luigi Dal Pino, Direttore Centrale per le Relazioni Istituzionali e Industriali di Microsoft Italia, al Convegno 'Youth Communication in Social Media Age', tenutosi il 14 aprile all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
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Il rapporto ISTAT “Noi Italia” pubblicato a febbraio di quest’anno evidenzia come il tasso di imprenditorialità nel nostro Paese sia 3 volte superiore alla media europea. Questo dimostra che non siamo un paese fatto soltanto di giovani che stanno ad aspettare passivamente un impiego ma che due principali caratteristiche ci contraddistinguono: da una parte il basso tasso di occupazione spinge i giovani a diventare imprenditori di sé stessi creando una piccola impresa, dall’altra che la creatività e la genialità innovativa fanno parte del nostro DNA. Il neo-imprenditore deve però fare i conti con una realtà nuova, globale e per molti versi sconosciuta, un percorso che è anche ostile e faticoso soprattutto se si guarda alla forte pressione fiscale e la lenta burocrazia.

La tecnologia informatica viene in aiuto ad una nuova imprenditoria giovanile che meglio di qualunque altra precedente generazione è capace oggi di coglierne il vero valore in termini di produttività ed efficienza. La crescita di una nuova realtà imprenditoriale è imprescindibile dall’uso delle tecnologie informatiche e molto spesso è nel mondo digitale che si evolve un’idea imprenditoriale. Crescono le start up che fanno del web 2.0 il proprio motore della crescita e attraverso la creatività nel mondo digitale riescono ad emergere rispetto anche a piccole società consolidate in cui scarso è l’utilizzo di tecnologie informatiche.
Tutto ciò dimostra che esiste un mercato del lavoro ad alta potenzialità su cui il paese deve puntare ed aiutare a crescere perché esiste un capitale umano digitale ad alto valore innovativo che rimane ancora fortemente inespresso. Purtroppo un imprenditore digitale non ha ancora ottenuto nel nostro mercato, fortemente merceologico e poco sviluppato nei servizi ad alto valore tecnologico, il posizionamento che merita. Molte sono le cause ed in primis la difficoltà di accesso al credito, la scarsa propensione brevettuale, la mancata protezione della creatività e della proprietà intellettuale e non in ultimo l’acceso alle tecnologie in una prima fase imprenditoriale.

E’ sulla base di questo fattore che a partire dal 2008 Microsoft ha lanciato il programma BIZSPARK che aiuta proprio le start up nei primi anni di vita ad accedere gratuitamente al Software. Il sostegno, rivolto alle start-up private che sviluppano prodotti o servizi software, avviene infatti attraverso  la fornitura di strumenti, software, supporto tecnico e visibilità sul mercato. Ad oggi abbiamo finanziato più di 600 start-up  e col tempo stiamo coinvolgendo sempre più associazioni: Incubatori, Parchi scientifici, Venture Capitalist, Business Angels.

Il valore di questa iniziativa in termini di innovazione e sviluppo del sistema paese è incalcolabile e Microsoft ritiene fondamentale questo suo contributo alla società e all’economia italiana.
La competitività già adesso, ma ancora di più in futuro, si giocherà prevalentemente nell’ambito digitale ed è per questo che bisogna supportare i giovani perché possano portare a frutto la loro creatività. L’Italia ha un potenziale molto alto ed un opportunità unica nel poter realizzare un industria dei contenuti grazie al patrimonio culturale e turistico che potrebbe dar vita un’economia digitale a forte valore innovativo e tecnologico. 

Parlando di crescita economica, un enorme contributo per le start-up e per le aziende in generale è il cloud computing: una modalità nuova di accesso alla tecnologia, concepita per permettere alle aziende l'utilizzo di risorse hardware o software distribuite in remoto e in modalità on demand dai fornitori di tecnologia che mettono a loro disposizione i propri data center e applicazioni sul web..
Grazie al cloud computing ci sarà anche una minore spesa in approvvigionamento di strumenti informatici  ed un rilevante risparmio energetico, a cui si aggiungono risparmi per la gestione dell’infrastruttura aziendale e per la manutenzione dei sistemi applicativi.
A dimostrazione del nostro impegno in questo ambito abbiamo investito in questi anni 2,3 miliardi di dollari nel cloud computing e abbiamo inaugurato pochi giorni fa a Bruxelles l’European Cloud and Interoperability Center, un centro di diffusione dell’innovazione che offrirà una piattaforma per la conoscenza della tecnologia cloud e la condivisione di risorse e conoscenze, fungendo così da incubatore e catalizzatore per il cloud computing in Europa in differenti campi.

I nuovi media tra Chiesa e giovani al Forum della comunicazione sociale al Regina Apostolurum

di: Radio Vaticana



La comunicazione giovanile nell’era digitale è stato il tema di un convegno che si è svolto ieri all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura. Obiettivo del forum è stato quello di dare una risposta alle parole del Papa sull’uso della Chiesa dei nuovi linguaggi e delle nuove tecnologie per comunicare a tutte le genti il Vangelo di salvezza. Tra i numerosi interventi mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, ha analizzato il rapporto tra giovani, mass media e libertà. Il riferimento è stato ai grandi movimenti di popolo nell’Africa mediterranea, che hanno dimostrato come la libertà sia “la domanda di giustizia di gran lunga più sentita dai giovani”. E in questa lotta dagli esiti incerti, i mass media possono essere “un grande sostegno o un affossamento definitivo”. Mons. Paul Tighe, Segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, nel suo discorso ha parlato invece di “divario digitale”, sottolineando come “oggi il confronto tra le generazioni sembra essere determinato soprattutto da un’accelerazione tecnologica che impone un diverso ‘linguaggio’, o meglio un diverso modo di esprimersi, ma anche una differente cultura”. E se per i giovani la connessione con il resto del mondo è scontata, per le altre generazioni “è miracolosa” e quegli stessi strumenti, come internet, “hanno il valore di un vero e proprio ‘dono’, concesso all’umanità per approfittare delle innumerevoli potenzialità che ne derivano”. (M.R.)

martedì 12 aprile 2011

DAT: stimolo per un sano dibattito sul nostro Blog C&C

Su richiesta di un nostro lettore (F.B.), veniamo a pubblicare un articolo sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Il fine è quello di stimolare un sano dibattito sulla questione e speriamo che il nostro blog possa essere di aiuto per far luce sulla questione.

Comunicazione & Cultura


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di: Giacomo Rocchi - Magistrato Penale

Il caso: 
Pier Giorgio Welby riuscì a farsi uccidere da Mario Riccio che, su sua disposizione, gli staccò il respiratore artificiale che lo teneva in vita e, per non farlo soffrire mentre moriva soffocato, gli iniettò dei sedativi.
Il Giudice penale prosciolse Riccio dall’accusa di omicidio volontario affermando che egli aveva agito nell’adempimento di un dovere: come medico curante di Welby (che lo aveva nominato qualche giorno prima) egli aveva infatti l’obbligo di interrompere la “terapia”, perché Welby aveva revocato il consenso.

Cosa succederà con la nuova legge?
I medici saranno obbligati ad interrompere la respirazione artificiale ai pazienti che lo chiedono.
I medici saranno obbligati anche ad interrompere la respirazione artificiale ai bambini o agli incapaci se i genitori o i legali rappresentanti lo pretenderanno.
Non è prevista per i medici la possibilità di sollevare obiezione di coscienza. Se, comunque, il medico si rifiutasse, il paziente potrà nominare un altro medico curante.

Motivazione giuridica.
La respirazione (o ventilazione) artificiale non è menzionata dalla legge come “sostegno vitale” (come la nutrizione e l’idratazione artificiale) e, quindi, viene considerata terapia (articolo 3 comma 5).
In quanto terapia i medici non possono attivarla in mancanza del previo consenso informato scritto dell’interessato (articolo 2 comma 1).
Il consenso informato può essere sempre revocato, anche parzialmente (articolo 2 comma 5).
Non esiste nessuna norma che prevede che il rifiuto di terapie salvavita da parte dell’interessato sia inefficace.
(La legge recepisce due principi affermati nella sentenza nei confronti di Mario Riccio: che la respirazione artificiale è terapia e non sostegno vitale e che il consenso inizialmente dato può essere revocato. Si trattava di principi incerti che ora vengono sanciti per legge).
Quanto ai minori e agli incapaci: per ogni terapia occorre il previo consenso informato scritto dei genitori o del tutore (articolo 2 commi 6 e 7). Il consenso può essere rifiutato o revocato (articolo 2 comma 5).
Non esiste una norma che sancisca l’inefficacia del rifiuto o della revoca del consenso da parte del rappresentante legale nel caso l’omissione della terapia possa portare a morte il minore o l’incapace (un emendamento della sen. Bianconi che prevedeva: “Il consenso di cui ai commi precedenti non può contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili alla vita e alla salute del paziente. Il medico, ove ritenga che il consenso contenga indicazioni in contrasto con il comma 8-bis, le disattende indicando per iscritto i motivi nella cartella clinica” è stato bocciato al Senato, su parere contrario del relatore e del governo.
L’unica eccezione riguarda “una grave complicanza” o un “evento acuto” (articolo 2 comma 9).
Di fronte al rifiuto dei legali rappresentanti degli incapaci di prestare il consenso, il medico può (non è obbligato) ricorrere al Giudice (articolo 8 comma 2): se, comunque, è d’accordo con il legale rappresentante e stacca la respirazione non è responsabile della morte dell’incapace (perché la terapia non poteva proseguire per la revoca del consenso).
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Per dar voce anche ad altre visioni, pubblichiamo, seguento, un commento con un intervista sull'argomento.
 
Comunicazione & Cultura



Il Pdl contro i libri di testo "comunisti". Proposta una commissione d'inchiesta

di: La Repubblica

Prima firmataria Gabriella Carlucci: "Gettano fango su Berlusconi". Il Pd: "Parlano di libertà e non sopportano la libertà e l'autonomia d'insegnamento sancita dalla Costituzione". L'Unione degli studenti: "Censura di stampo fascista".
 ROMA - Il Pdl critica i testi scolastici, specie quelli di storia, colpevoli di "gettare fango su Berlusconi" e chiede quindi una commissione d'inchiesta. Sono 19 i deputati del Pdl, guidati da Gabriella Carlucci, secondo cui nei libri vi sarebbero frasi da vero e proprio "indottrinamento" per "plagiare" le giovani generazioni a fini elettorali". A loro giudizio i testi danno una visione della storia, specie quella attuale, asservita al centrosinistra.
Perciò di fronte a questa situazione definita "vergognosa" i parlamentari Pdl ritengono che il parlamento "non può far finta di nulla e per questo chiedono l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta "sull'imparzialità dei libri di testo scolastici". Il progetto di legge è stato già depositato alla Camera il 18 febbraio scorso.

"Ormai i rappresentanti del Pdl vedono i comunisti dappertutto. E' il caso di dire che, pur essendo del Partito della libertà, non sopportano la libertà e l'autonomia, e per questo vedono letteralmente rosso". Lo dice la senatrice del Pd, Vittoria Franco, commentando la proposta di legge, depositata alla camera dall'onorevole carlucci sull'istituzione di una commissione d'inchiesta sui libri scolastici ritenuti "partigiani".

Forse, aggiunge Franco, "l'onorevole Gabriella Carlucci non sa che esiste il principio, sancito dalla Costituzione, della libertà di insegnamento nella quale rientra anche l'autonomia
nella scelta dei libri di testo. Di analoga libertà, fino a prova contraria, godono gli editori nel pubblicare i volumi. E' chiaro che questo ennesimo tentativo liberticida della commissione d'inchiesta rientra nei ripetuti attacchi alla scuola pubblica sferrati da Berlusconi e dalla Gelmini con dichiarazioni anche recenti".

Il Pdl, conclude la senatrice, "vorrebbe una scuola pubblica di regime, completamente asservita al potere del governo, in cui si lavori contro la capacità critica delle nuove generazioni. Sulla commissione d'inchiesta ci sarebbe da sorridere se la situazione della scuola italiana non fosse così grave proprio a causa delle politiche di tagli di questo governo".

Durissimo il commento dell'Unione degli Studenti: "Apprendiamo sconcertati la notizia secondo cui l'On. Gabriella Carlucci, seguita da 18 deputati, voglia istituire una Commissione parlamentare di inchiesta "sull'imparzialità dei libri di testo scolastici" giustificando questo con il fatto che la descrizione della storia politica recente del nostro paese sia sbilanciata sui valori della Costituzione e della Resistenza. L'On. Carlucci fa intendere così che l'educazione a questi valori sia un male, nonostante siano sanciti in una carta che dovrebbe unire tutto il Paese: la carta costituzionale".

"La giustificazione di tale proposta continua con una sequela di fatti storici accertati definiti come 'attacchi al premier' e 'difesa dell'opposizione di governo', rimaniamo sinceramente sbigottiti da come si possa costruire un'allarme e un livello di fantasticazione tale per distogliere l'attenzione dei problemi reali della scuola. Non comprendiamo come possano essere messi sotto attacco, senza alcuna competenza nel settore, degli intellettuali e studiosi come quelli citati dalla Carlucci nello stesso modo con cui sono stati additati gli insegnanti delle scuole pubbliche", proseguono gli studenti.

"La chiara allusione di una proposta del genere ad una censura de facto che ricalca lo stile delle dittature fasciste viene liquidato dicendo che questi libri non saranno messi al rogo, ma verranno segnalati agli autori i quali se non li correggeranno subiranno il ritiro dei testi dal mercato. Queste sono evidentemente le dichiarazioni più gravi e ricordiamo all'On. Carlucci e al suo governo che la Costituzione Italiana che loro tanto attaccano, sancisce la libertà di insegnamento e la libertà di pensiero, e le loro proposte sono fuori da ogni quadro democratico e costituzionale", conclude l'Unione degli studenti.

Fmi, allarme per il debito pubblico mondiale. L'Italia migliora: spese al 49,8 % del Pil

di: Repubblica

Preoccupa soprattutto la spesa sanitaria e la mancanza di una politica di contenimento dei costi a lungo termine (dopo il 2014). Il nostro Paese riduce l'incidenza e torna ad avere un sia pur piccolo avanzo primario

WASHINGTON - Lo stato di salute dei conti pubblici mondiali preoccupa il Fondo monetario internazionale. "I rischi per la sostenibilità fiscale rimangono elevati", avverte il 'Fiscal monitor', che punta il dito soprattutto contro "la crescente spesa sanitaria". In particolare, sottolinea il Rapporto, la media dei debiti pubblici nelle economie avanzate si attesterà quest'anno al 101,6%, sforando il tetto del 100% del Pil "per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale", mentre le necessità di finanziamento sono "a livelli storici record". Per questo, i tecnici dell'istituto di Washington giudicano "essenziale l'immediato avvio di progressi annuali stabili per riportare il rapporto su livelli di prudenza nel medio periodo".

Ad allarmare è soprattutto la situazione degli Stati Uniti che "hanno differito i piani di risanamento previsti per quest'anno, introducendo ulteriori stimoli" e "devono accelerare l'adozione di misure credibili per ridurre il rapporto debito/Pil".

Leggermente meglio le cose vanno per i deficit che hanno cominciato a ridursi nel corso del 2010, sebbene non in maniera sufficiente "per stabilizzare il debito". L'aggiustamento inoltre, afferma l'Fmi, appare legato più al "miglioramento delle condizioni macroeconomiche" che a  "politiche più stringenti". Nel 2011 il dato medio delle economie avanzate si collocherà al 7,1% contro il 7,7% del 2010.

Per quest'anno è
previsto poi uno sforzo "straordinario" in tutte le economie avanzate che dovrebbe ridurre gli indebitamenti di circa il 2% del Pil al 5,2% nel 2012, il taglio "più ampio degli ultimi 40 anni". Ma dagli attuali piani dei Governi emerge anche che i sacrifici "rallenteranno nel 2013 e in gran parte cesseranno nel 2014 lasciando i deficit sopra i livelli pre-crisi in molte" economie avanzate, con un rapporto debito/Pil medio al 107,3% nel 2016, circa 34 punti percentuali sopra al 2007.

Insomma, "nelle economie avanzate le necessità di un aggiustamento di lungo termine rimangono ampie". E "la crescente spesa sanitaria è il principale rischio per la sostenibilità fiscale con un impatto sul debito nel lungo periodo che, in assenza di riforme, farà impallidire quello della crisi finanziaria".

Per riportare il debito al 60% del Pil nel 2030, il Fondo ritiene necessario un aggiustamento medio degli avanzi primari aggiustati per il ciclo dell'8% tra il 2010 e il 2020, in modo da risalire attorno al 5% dal -2,7% dell'anno scorso. Ma l'entità dell'intervento cresce al 12% se si tiene conto delle spese legate all'invecchiamento della popolazione tra il 2020 e il 2030.

Per quanto riguarda l'Italia, il Fondo monetario internazionale rileva che le spese pubbliche nel 2011 si attesteranno al 49,8% del pil, scendendo dal 50,5% del Pil dello scorso anno. L'Italia torna anche ad avere un avanzo primario dello 0,2% del pil (lo scorso anno era negativo per 0,2% del pil) che crescerà all'1,2% nel 2012 fino a raggiungere il 2,4% nel 2016. L'Fmi, sottolinea che la spesa pubblica italiana si ridurrà negli anni: nel 2012 al 48,9% del pil, nel 2013 al 48,6% per poi scendere al 48,3% l'anno successivo e attestarsi al 47,9% nel 2016.

La Francia, fra i Paesi del G7, è quello con le spese pubbliche maggiori dell'Italia, con il 55,9% del Pil a fronte del 45,7% della Germania e del 42,0% del Canada. Gli Stati Uniti hanno una spesa pubblica al 41,2% del pil e il Regno Unito al 45,9%.

Tangenti sui rimborsi dei trapiantati: arrestato impiegato della Asl RmC

di: Il Messaggero

Per sveltire la pratica aveva chiesto 2.500 euro di pizzo. L'uomo è stato colto in flagrante mentre intascava i soldi


ROMA - Lo hanno arrestato proprio mentre intascava, negli uffici della Asl Roma C, la prima tranche di una mazzetta chiesta ad un trapiantato di cuore. In manette è finito C.R., 55 anni, un impiegato dell'Asl nota alle cronache er essere quella in cui lavorava Anna Giuseppina Iannuzzi, la Lady Asl della sanità capitolina. Gli uomini del nucleo operativo dei carabinieri, coordinati dal pm Sergio Colaiocco, sono intervenuti questa mattina: l'arrestato aveva chiesto una tangente sui rimborsi destinati ai pazienti che si sottopongono ad interventi di trapianto.

La vittima, che si era sottoposto ad un trapianto di cuore all'ospedale Sant'Orsola di Bologna, doveva ricevere dalla sua Asl di appartenenza, così come stabilisce la legge, un rimborso di circa 7.700 euro per le spese dell'intervento. Il funzionario dell'azienda sanitaria, arrestato per il reato di tentata concussione, aveva imposto il pagamento di una mazzetta di circa 2.500 euro dietro la garanzia di un suo «interessamento a sveltire la pratica per il rimborso». Secondo gli inquirenti, che hanno effettuato anche il sequestro di documenti all'interno della Asl, questa era una pratica che andava avanti da anni. Sarebbero, infatti, parecchie decine i casi sotto osservazione: nei prossimi giorni potrebbero essere ascoltati in procura anche i vertici dell'Azienda sanitaria locale.

L'impiegato (quarto livello) arrestato era stato trasferito nell'ufficio "esenzione ticket e cambio del medico" dal primo lulgio 2009, dopo aver risposto a un bando di mobilità interna. «Sono sbigottito di fronte a questi fatti - dice Antonio Paone, attuale manager della Asl RmC - perché come nefrologo ho aiutato decine di persone per i trapianti e conosco bene i loro calvari. Lucrare sui rimborsi mi sembra davvero fuori dal mondo».

Scienza e bufale, un festival per scoprire gli imbrogli

di: Il Messaggero

TRENTO - La Coca-Cola non scioglie le monete, perchè non è acida abbastanza e le monete sono più dure di quanto si pensi. Per fare un cerchio in un campo di grano sono sufficienti quattro persone e una corda, senza scomodare gli extraterrestri. Le cipolle non sono affidabili per le previsioni meteorologiche sull'umidità, perchè se si tagliano a fette su più calendari diversi purtroppo marciranno ciascuna in modo differente sì, ma non ripetitivo allo stesso modo a seconda del mese.

Per qualcuno sono affermazioni scontate, che fanno sorridere, per altri delle realtà difficili da accettare. Perchè sentite e risentite, lette e rilette, le "bufale" erano diventate verità. Aiutare a sconfiggere l'atteggiamento passivo di chi legge o ascolta di fronte a informazioni di media codificati o di sconosciuti, magari via Internet, è lo scopo del Festival della scienza, che si è aperto nel pomeriggio a Trento. I tre esempi citati, cioè le monetine, i cerchi nel grano, e le cipolle sono semplici da sconfiggere. Basta provare.

A spiegarlo oggi hanno iniziato gli organizzatori del festival,
fino all'14 aprile, denominato Aperta...mente, cioè l'Università di Trento, il Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) e il Museo di scienze di Trento, con l'Opera universitaria. Meno semplice, ma solo in apparenza, è non fermarsi terrorizzati leggendo che un asteroide passerà «molto molto vicino alla Terra», come ha spiegato oggi il giornalista antibufala Paolo Attivissimo. «Peccato che si trovi magari scritto che l'asteroide transiterà a un milione di chilometri dalla Terra. E se si andasse a controllare la distanza Terra-Luna» si scoprirebbe che è inferiore ai 400.000 chilometri. Per non parlare delle «scie chimiche degli aerei, che hanno fruttato, se non ho perso il conto - ha aggiunto - 12 interrogazioni parlamentari. Perchè non chiedere spiegazioni al primo pilota che s'incontra? Così da scoprire che altro non sono che acqua ghiacciata, una sorta di nuvola».

Attivissimo ha citato poi l'ipotesi di un complotto, anzichè di un vero attentato, per le Torri gemelle di New York del 2001. «Ci lavoro da tempo - ha spiegato - come molti altri colleghi e non sono ancora riuscito a chiarire tutto, ma finora ho verificato che spesso si è trattato d'immagini presentate volutamente in modo da dimostrare una tesi, smentibile con altre immagini». Non cacciatore di bufale, costruite da giornalisti distratti o da persone qualunque via web, ma Scientific advisor per Newton, è invece Federico Di Trocchio. Ha sottolineato «l'importanza della comunicazione scientifica. In Italia - ha affermato - le imprese non hanno una tradizione di rapporti con la ricerca scientifica e il mondo accademico e della ricerca, poco sollecitati, sono scarsamente pronti a rispondere. Si tratta anche - ha affermato - di una scarsa cultura scientifica generale, che rischia di farci perdere un importante treno rispetto ad altri Paesi europei».

domenica 10 aprile 2011

Il divanista

di: Angelo Mellone - Il Tempo

Postideologicamente parlando, il Parlamento è un po' come il corpo umano nella favola di Menenio Agrippa, un po' piazza d'armi e un po' mercato comunale. E quindi, al di là delle distinzioni formali di gruppi e commissioni, maggioranze e minoranze, ogni parlamentare ha la sua funzione che ne designa una particolare qualità di antropologia politica. C'è il divanista, ad esempio.


Il divanista è quella particolare razza di deputato convinto che il Transatlantico sia davvero un natante e che è giusto e doveroso accomodarsi sul suo «ponte lido» a prender politicamente la tintarella. Il medesimo divanista è sempre convinto che la Navicella sia il tender con cui approcciare un bastimento carico di privilegi, grandi e piccoli, e doni sontuosi. Il senatore divanista è quello che si chiede come mai anche il Senato non abbia il suo Transatlantico, e dunque se ne frega e prende la tintarella pure lui. Il divanista, insomma, tra i marmi di contorno e la pelle morbida color gambero arrostito su cui si posa il suo lato b, se fosse un allenatore, sarebbe seguace della teoria dell'attendismo: mi metto in difesa e aspetto che siano gli altri a fare le mosse per poi colpirli in contropiede. Sta fermo e non si muove, perché l'agrippiano corpo parlamentare, se qualcosa non funziona, avrà certamente bisogno anche del suo aiuto. La sua panchina, ovviamente, è uno dei divanetti su cui si fanno e disfano leggi e alleanze e dove anche s'accomodano anche i giornalisti per disporre di una fonte molto ben disposta a discorrere e disegnare tele e immaginare scenari, perché di questi tempi il Parlamento s'attiva solo per qualche infiammata seduta e per il resto lascia molto, molto tempo libero per la chiacchiera.
Senza divanisti, gli specialisti di gossip politico farebbero una fatica bestiale a riempire di aneddoti i loro pezzi, ma la crescente moltiplicazione di giornalisti retroscenisti indica che ultimamente il materiale non scarseggia, anzi aumenta che è una bellezza. La panchina, pardon: il divanetto, nel caso del divanista tende a essere sempre la stesso, così che il giornalista sa dove andare e gli altri parlamentari pure, perché di questi tempi, nel vorticoso giro di divise e casacche che scilipuossiamo immaginare, si corre pure il rischio di imbastire un ragionamento con uno che credi sia nell'opposizione – o nella maggioranza, dipende – e alla fine quello lì, sempre stravaccato sul divanetto, assume un'aria serissima e ti comunica che ha deciso di dare una sterzata al suo futuro decisa, improvvisa, ruvida, pure coreografica, ma sempre «seguendo la mia coscienza»: il divanetto non si cambia, il partito forse sì. Nei momenti di confusione e di gazzarra, dunque, il divanista è una certezza, sempre lì sta, pronto a pronunciare il suo «accomodati pure» al collega che lo avvicina per offrirgli non un altro divano ma una poltrona di sottogoverno, o al camerlengo dell'opposizione che gli propone la seduta in altri termini, quasi kennediani: piuttosto che una poltrona in similpelle oggi, meglio una poltrona Frau domani, se facciamo il governissimo.
E lui, che intanto non schioda dal divano, non si scompone e dice: «Ripassa, ti farò sapere», perfettamente consapevole che nelle fasi di baraonda e di contabilità nevrotica dei numeri degli schieramenti la sua utilità marginale, l'utilità marginale del divanista altrimenti destinato a ritornare un peone da seconda classe, è diventata altissima. In termini cinematografici, il divanista è una comparsa a cui viene proposta la parte in commedia del protagonista, spesso per caso o perché giorno dopo giorno, passando in Transatlantico, è diventato una figura familiare e allora sì, se c'è uno strapuntino da distribuire se lo prenda lui, se lo prenda. Per questo il divanista non fa mai gruppo, ma solo gruppetto. Il divanista è un riservista dell'ambizione. Coltiva la fondata opinione che non serve sgomitare troppo per far carriera politica, in special modo nelle fasi di maretta e sobbollimento. Quando il corpo parlamentare scoppia come una pentola a pressione lui è la valvolina che lo fa sfiatare.
 
Con l'educazione dell'apparecchiatore di conversazioni da divani, e piccoli talk show densi di suggerimenti pratici, ben profumato e ben pettinato e con cravatta discreta, ottiene molto di più del parlamentare bersagliere e barricadiero: questo parte lancia in resta e va alla carica, rumoreggia in Aula e battibecca sui giornali, quello adotta politicamente l'eterna posizione del ma anche no. Si può fare, ma anche no. Si può cambiare, ma anche no. Si può accettare, ma anche no. Si può appoggiare, ma anche no. Felpatamente. 
 
Senza mai assumere posizioni perentorie e definitive, si brucerebbero ponti magari utili in futuro, assicurazioni sulla vita e sul divano a cui ormai, che sia la quinta o la prima legislatura, il divanista non sa più rinunciare. Attende. Scruta. Esamina. Centellina al cronista piccole intuizioni che saranno tesoro di future carinerie. In attesa del ministro che passa e gli chiede: «Scusa, ma tu, con chi stai?»

Povera Italia senza giovani

di: Il Tempo - Editoriale

Secondo le previsioni Istat nel 2051 l'Italia sarà un paese di vecchi, 4,8 milioni contro gli 1,3 milioni del 2007. Sempre in quella data il rapporto tra anziani e giovani sarà di una criticità esemplare: ogni cento giovani ci saranno 280 anziani, contro i 142 del 2007.

Gli immigrati sbarcano a Civitavecchia A quale società italiana pensa la politica? Me lo chiedo tutti i giorni quando osservo l’agenda del Parlamento e del governo. Mi rendo conto che la risposta è sempre la stessa: a un’Italia che in futuro non ci sarà più. I lettori de Il Tempo sanno quanto importanza attribuisca alla demografia: morti e nascite, aspettative di vita, sono la vera forza di ascesa o declino di una nazione.

Lo sbarco di migliaia di giovani immigrati e le rivoluzioni del Nord Africa dovrebbero indurre i politici a studiare, ma vedo che non c’è volontà di comprendere. Bene. Consiglio la lettura di un documento Istat pubblicato nel giugno del 2008. Riguarda le previsioni demografiche dal 2007 al 2051. Risultato: l’Italia sarà un paese vecchio, con pochi giovani. Secondo lo scenario, nel 2051 i «grandi vecchi» (le persone di 85 anni e oltre) saranno 4,8 milioni contro gli 1,3 milioni del 2007. Sempre in quella data il rapporto tra anziani e giovani sarà di una criticità esemplare: ogni cento giovani ci saranno 280 anziani, contro i 142 del 2007. L’Italia tra qualche decennio avrà davanti a sé una sfida enorme: lo squilibrio intergenerazionale di cui abbiamo già un’anticipazione nel presente con l’aumento del precariato, della disoccupazione giovanile e il turn over scarsissimo nei posti di comando del Paese, saldamente in mano a una sempre più imbarazzante gerontocrazia.

Ci stiamo avvicinando alla «rottura» del patto di solidarietà tra ragazzi e pantere grigie. Segnali dalla politica? Zero, nel Palazzo vivono alla giornata e, a giudicare dal livello di produttività, in parecchi hanno scambiato le Camere per l’ospizio. Mentre i valorosi rappresentanti del popolo si lambiccano sul come assicurarsi la lauta pensione o la rielezione per nomina suprema, là fuori accadono cose titaniche. Il numero di stranieri presenti in Italia aumenterà in maniera vertiginosa: secondo le proiezioni Istat nel 2031 saranno 8,2 milioni, fino a salire a oltre 12 milioni nel 2051. Anche in uno scenario prudente, una cosa è certa: gli stranieri in quella data saranno ben oltre il 15 per cento della popolazione complessiva. Gli italiani non si saranno estinti, ma saranno più vecchi e meno attivi, mentre gli stranieri si concentreranno tra i giovani e gli adulti, cioè nelle fasce di chi lavora, crea reddito, produce e determina il futuro della nazione. Toc toc, c’è qualcuno che pensa all’Italia nel Palazzo?

Facebook perde la “faccia” e si trasforma in “book”

di: Olga Sanese - L'Ottimista


È a tutti noto il fenomeno Facebook, il social network più utilizzato e il sito più cliccato dopo Google. Il suo successo cresce ancora: sempre più persone cedono alla tentazione di iscriversi, rincontrare vecchi amici, rimanere in contatto con quelli nuovi, condividere link, foto e commenti. Sull’esempio dei figli, si iscrivono anche i genitori; dopo gli alunni, anche i professori.

Persino Benedetto XVI ha dato la benedizione papale a Facebook, notando come la virtualità aiuti a rimanere in contatto con persone lontane, anche se resta preferibile il rapporto umano vissuto nella realtà. E la Chiesa si prepara alla Giornata Mondiale della Gioventù di quest’estate attraverso il canale YouCat così come il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha annunciato le materie della maturità su YouTube.

Ma dopo il suo exploit, quali sono le novità sul fronte Facebook? Già sotto l’albero di Natale, i Re magi portavano doni come I-tunes Group-gift, foto e commenti. Alle elementari è arrivato Net pupils che permette ai bambini di fare i loro primi passi su “Faccialibro” attraverso un canale protetto. Adesso c’è anche The Family-books, un sito nato per condividere esperienze positive che le famiglie fanno nella società: dal sostegno agli anziani e ai disabili, dai consigli sui problemi genitori-figli alle ricette per il pranzo della domenica. Nelle grandi città sono stati organizzati eventi come Social Media Week e non mancano coloro che vedono nei social network una malattia, il mal di Facebook appunto. Ma non finisce qui. Ora Facebook te lo metti anche in tasca con l’abbigliamento high-tech: una marca di jeans sta sperimentando processi virtuali tipici del social network per farli diventare reali. In particolare sta ricreando lo scambio dei file che avviene in rete attraverso il contatto dei chip contenuti nei pantaloni (per cui bisogna necessariamente incontrarsi): ti “strusci” con un amico e condividi un link.

Dulcis in fundo, sta arrivando Yoursocialbook: l’incarnazione cartacea dei nostri commenti virtuali in un semplice, classicissimo libro che contiene le strisce dei cambi di stato più interessanti, i commenti degli amici più sentiti e le foto più belle in cui siete stati “taggati” su Facebook. Tocca solo scegliere la grandezza del volume: quello da 50 pagine che racchiude gli ultimi 30 giorni delle vostre attività virtuali oppure quello da 400 pagine per imprimere sulla carta cosa avete fatto da sei mesi ad oggi. Insomma una vostra autobiografia virtuale con la cronistoria delle vostre azioni in rete.

Da tutte queste novità emerge che gli utenti di Facebook non riescono proprio a mandar giù l’amaro boccone del commento-scaccia-commento, cioè non digeriscono il fatto che “pagine della nostra vita” si accavallino così velocemente sullo schermo da dare la sensazione di perdersi nell’etere e che basta un click per cancellare un amico e smarrire per sempre i suoi recapiti. Dunque è facile concludere che se il web è fatto da persone prima che da fili invisibili e se queste chiedono di capire, conoscere, rispondere alle domande della vita, la condivisione passa dai file di musica ai sentimenti umani. Come è insito nell’uomo, accadrà che la consapevolezza del tempo che passa, della precarietà delle cose e, al tempo stesso, del desiderio di eternità, avranno il sopravvento e l’impalpabile Facebook cederà alle lusinghe dell’intramontabile libro di carta. 

Esattamente il contrario di ciò che sta accadendo con la digitalizzazione e gli I-PAD. Ancora oggi, infatti, è così forte l’idea della conservazione e della memoria che si prova quasi paura di perdere il nostro presente trascorso su internet. Per salvarlo tutto comunque ci vorrebbe non uno, ma collane di libri, e comunque tutta la nostra vita virtuale potrà essere pubblicata solo post mortem. Dunque, ai posteri l’ardua sententia.

La protesi “intelligente” che cresce con il resto del corpo

di: Bruno Brundisini - L'Ottimista

Un femore artificiale è stato impiantato poche settimane fa ad un bambino di 11 anni ricoverato presso il Policlinico  Gemelli di Roma. La protesi al titanio ha sostituito il femore destro asportato ed è capace di crescere di pari passo con la statura. La protesi “intelligente”, costruita su misura, è dotata di un meccanismo elettronico miniaturizzato che ne regola l’allungamento in sincronia con quello fisiologico dell’altro arto. L’intervento, durato cinque ore, è stato effettuato per la prima volta nel Lazio al Policlinico Gemelli di Roma, ad opera di un’équipe di chirurghi ortopedici e vascolari guidati dal prof. Giulio Maccauro, responsabile dell’Unità Operativa di Oncologia Ortopedica di quel nosocomio.

Questa nuova e promettente frontiera della chirurgia ortopedica è stata resa possibile grazie agli studi dei ricercatori di Muenster in Germania dove appunto è nata la protesi denominata Mutars Xpand. “Essa – spiega il Prof. Maccauro – consente l’allungamento meccanico non invasivo dell’arto attraverso una procedura eseguibile anche dallo stesso paziente o dai genitori istruiti dai medici tramite degli impulsi ad alta frequenza che vengono inviati dall’esterno al paziente ad un ricevitore sottocutaneo che attiva il dispositivo elettronico miniaturizzato inserito nella protesi stessa”. Finora di questi dispositivi ne sono stati impiantati solo sei in Italia (tre a Milano, uno a Napoli, uno a Brescia ed uno a Torino). Questi tumori delle ossa detti osteosarcoma purtroppo colpiscono prevalentemente i bambini. “Il trattamento chirurgico in questa fascia di età – spiega Maccauro – è gravato dalle varie complicanze, anche dalla differente lunghezza degli arti, poiché quello operato, durante l’accrescimento, rimane anche molto più corto dell’altro”. Superato ormai da anni l’intervento demolitivi, finora l’alternativa era solo di tipo meccanico con le protesi espandibili con meccanismo a vite che richiedono continue riaperture della cicatrice chirurgica con ripetuti traumi e con la possibilità di infezioni o di blocchi dell’allungamento, ma soprattutto con un notevole impoverimento della qualità della vita proprio nel periodo più delicato, dovendo il paziente subire continue fasi di asimmetria degli arti.

Il Loft, uno spazio a misura d’uomo

di: Andrea Baciarlini - L'Ottimista



Tipologia edilizia nata una trentina d’anni fa negli Stati Uniti come scelta anticonvenzionale di una generazione che voleva sperimentare nuovi modi di vivere e di abitare, il Loft oggi si ripropone come opzione interessante ed ecologica in grado di contrastare l’estensione del perimetro urbano a scapito del territorio rurale, a tutto vantaggio della qualità di vita dei suoi abitanti.

Nelle nostre città, dove pullulano edifici ormai dimessi ed inutilizzati (spesso bellissimi esempi di architetture proto-industriali o interessanti casi di hangar ed edifici di servizi), la creazione di nuove edificazioni che urbanizzassero il territorio campestre circostante sembrava fino a poco tempo fa  essere l’unica opzione possibile per far fronte alla sempre maggior richiesta di nuovi alloggi e di nuovi locali di servizi.

Il Loft invece, nato in associazione all’idea del riuso e della riconversione di edifici già esistenti, con la loro immagine acquisita nel sentire collettivo, la loro storia ed il loro valore intrinseco, vuole proporsi come scelta intelligente, ecologica, economica e rispettosa dell’immagine urbana consolidata, della sua tradizione formale, in definitiva del suo “genius loci”, ancor più in questo momento di crisi economica globale.
Lo stesso  concetto di Loft, infatti, prevede il riuso di gran parte dell’esistente (con un gran sollievo per l’ambiente che non si trova a dover “smaltire” gli ingombranti residui della demolizione di interi fabbricati), limita il carico ambientale del ciclo produttivo e di trasporto ai soli materiali utili per la ristrutturazione parziale di edifici che già esistono, tenendo conto che questa tipologia edilizia possiede normalmente anche un linguaggio architettonico di estrema semplicità e chiarezza (“semplice è bello”) in tutti gli ambiti: con la visibilità dei materiali (mattoni o blocchetti a vista), la semplicità degli impianti (spesso apparati con tubi a vista), la semplicità dell’arredamento, spesso vintage, carico di emozionalità nelle sue reinterpretazioni.

Interessanti sono anche i nuovi “modus habitandi” che genera e le relazioni interpersonali che obbligatoriamente provoca nella sua carica di novità; chi si trova a vivere in questi spazi sente di essere parte di un “qualcosa di diverso” e quindi vede accrescere il suo “senso di appartenenza” ad una comunità sociale differente dai normali condomìni cui siamo abituati, con le loro relazioni interpersonali spesso cariche di tensione.
Nel Loft è possibile soddisfare le esigenze abitative che l’uomo, come diceva Le Corbusier, in occasione della progettazione dell’Unitè d’Habitatiòn di Marsiglia, desidera avere nel suo proprio ambiente, modellato su di sé: un minimo spazio esterno privato che gli permetta quel rapporto con la natura che ha perso nella città; un suo spazio privato interno ed esterno, meglio se distinto e diverso da quello altrui; una varietà formale che eviti la monotonia di ambienti scatolari; aperture all’esterno che rifuggano dalle banali finestre a doppia anta con tapparelle che si moltiplicano nel panorama urbano; l’avere “qualcosa di nuovo e diverso” non necessariamente strettamente funzionale, ma apportatore di quella novità e meraviglia che fanno da sempre dell’Arte la ristoratrice dello spirito umano. Le variazioni altimetriche e volumetriche peculiari del Loft rispondono all’esigenza di percezione dell’uomo, spesso repressa dalle scontate soluzioni edilizie dei normali appartamenti ed uffici, dall’impostazione “piana, anzi piatta”, limitante per la fantasia. Per questa stessa ragione suscitano in noi tante emozioni ed appagante meraviglia molte architetture medioevali con le loro irregolarità, le loro continue novità, le loro armoniose semplicità, il loro gusto dei materiali a vista, le loro soluzioni di disarmante semplicità ma proprio per questo belle ed interessanti.

È incoraggiante notare come quella del Loft, che agli inizi sembrava solo una moda di pochi artisti, stia diventando una tendenza che contagia positivamente un sempre maggior numero di persone che, forse senza saperlo, omaggiano l’Arte per quello che è veramente: ancella di Bellezza a servizio dell’uomo, portatrice di novità, meraviglia e incanto in quel Nuovo Umanesimo del Terzo Millennio tante volte invocato per rinnovare e rinverdire il secolo presente.

Green economy, e-commerce e ICT: primi segnali di ripresa

di: Emilio Galdieri - L'Ottimista

Il perdurare della crisi economica (elevata disoccupazione, imprese e famiglie in difficoltà) si accompagna a dei timidi, ma incoraggianti segnali di ripresa. I settori più promettenti? Green economy, e-commerce, ICT (Information and Communication Technology): in sostanza, qualsiasi cosa abbia a che fare con la tecnologia.

“Tecno” è bello. Secondo le statistiche, la ripresa economica passa per i settori legati al mondo della tecnologia. È su di essa, dunque, che conviene investire: specialmente se si è giovani e in cerca di un promettente futuro. Non importa se si tratti di Internet, telefoni cellulari o eco-sostenibilità; quel che conta davvero è pensare fuori dal coro, ingegnarsi per trovare nuove soluzioni a vecchi problemi, avere l’entusiasmo e la determinazione per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.

Green economy: l’ambiente al primo posto. A livello globale si diffonde sempre di più la consapevolezza che lo sviluppo economico non può prescindere dal rispetto per la natura. Per rispondere a questa esigenza, sta crescendo il mercato della green economy: ossia il sistema di produzione di beni e servizi ecologici: dal pannello solare all’automobile elettrica, dalla casa a basso consumo energetico al materiale riciclabile, etc.
Secondo il rapporto “Clean Energy Trends 2010”, realizzato dalla Clean Edge Inc., Istituto di Ricerca nel settore dell’alta tecnologia, già nel 2009 i tre principali settori dell’energia pulita – solare, eolico e biocarburanti – sono cresciute del 11,4% dal 2008, raggiungendo 139,1 miliardi di dollari di fatturato. Entro il 2019 si prevede che tutti e tre i settori raggiungeranno addirittura una soglia di 325,9 miliardi dollari.

E-commerce: il mondo a portata di click. Dopo tanti anni di attesa, finalmente nasce la versione “.it” di Amazon, una delle più grandi piattaforme di e-commerce (ossia commercio elettronico tramite internet) del mondo. Simbolo di un altro settore in rapida ripresa che consente di poter acquistare prodotti, magari anche a prezzi più vantaggiosi, stando comodamente seduti davanti al proprio computer. Secondo quanto evidenziato da Forrester Research, nell’arco dei prossimi 5 anni, le vendite in questo settore aumenteranno del 10%.
ICT: la tecnologia al servizio dell’informazione. Secondo il Rapporto Assinform 2011, il mercato mondiale dell’ICT ha ripreso a crescere con un ritmo tornato ai livelli precedenti alla crisi, passando dal -1,5% annuo registrato nel 2009, al + 4,9% del 2010.

Dulcis in fundo. In termini generali, fermo restando che la crisi economica non può dirsi conclusa, alcuni dati incoraggianti ci sono stati forniti proprio dall’Istat. Nel quarto trimestre del 2010, infatti, il tasso di disoccupazione era all’8,7% mentre a febbraio 2011 è calato all’8,4%, in diminuzione dello 0,2% sul mese precedente (gennaio) e di un decimo di punto su base annua.