Londra, Parigi e Roma inviano “consiglieri militari” contro Gheddafi
Si comincia mandando consiglieri, si finisce invischiati in una guerra lunga. Sir Manzies Campbell, ex leader dei LibDem, ieri ha visto subito il rischio nella notizia che la Gran Bretagna, ma anche l’Italia e la Francia, stanno mandando istruttori militari per aiutare i ribelli libici a resistere contro le forze di Muammar Gheddafi. “Il Vietnam è cominciato con un presidente americano che mandava consiglieri militari. Dovremmo procedere con cautela”. Questo tipo di appoggio è spesso stato il capitolo iniziale di operazioni militari massicce: durante la Guerra fredda, quando non si poteva agire allo scoperto, l’Unione Sovietica fondò tutta la sua geopolitica sull’invio di “consiglieri militari”, agguerritissimi contingenti di migliaia di soldati, in ogni area d’interesse dall’Angola a Cuba, dallo Yemen all’Egitto.
Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, insiste: non si tratta di “boots on the ground”, di anfibi a terra, come è sempre evocata alla spiccia l’opzione di una invasione di terra. “Ribadisco che non addestreranno le forze libiche a combattere e nemmeno le armeranno o equipaggeranno; sono là per aiutarli a organizzarsi a difendere meglio la popolazione civile. Non andranno sul campo di battaglia, si occuperanno di organizzare strutture di comando. Operiamo nell’ambito di una risoluzione delle Nazioni Unite che proibisce la presenza di qualsiasi tipo di forza d’occupazione in qualunque parte della Libia. La rispetteremo sempre. Non schiereremo forze di combattimento terrestri laggiù. Non è quello che stiamo facendo”.
Eppure, la storia dell’intervento occidentale a guida Nato contro Gheddafi è fatta di promesse di neutralità giocoforza non mantenute, di livelli di coinvolgimento progressivi, sempre più intensi e sempre negati come irrealizzabili fino al momento in cui non si sono invece realizzati. Per le strade della capitale dei ribelli, Bengasi, ci sono ancora le scritte “No all’intervento straniero, la Libia può fare da sola”. Eppure, dopo avere visto il nemico arrivare alle porte della città, sono stati gli stessi ribelli libici a chiedere prima una zona di non sorvolo aereo e poi i bombardamenti alleati, e poi ancora a insistere per averne di più intensi. Quando li hanno avuti – ma non bastano mai – hanno chiesto forniture di armi più sofisticate – persino di elicotteri – per battere gli uomini di Gheddafi, e ora sembra quasi naturale che arrivino istruttori occidentali per addestrarli.
Gran Bretagna, Italia e Francia mandano soltanto dieci consiglieri a testa, ma il nemico incalza. Al largo di Cipro è prevista nelle prossime due settimane un’esercitazione con navi inglesi e 600 commando della Royal Marine, ed è naturale collegare la loro presenza da quanto sta succedendo a Misurata, la città ribelle assediata a poche ore di navigazione. La Sarajevo della Libia minaccia di cedere da un momento all’altro sotto la pressione e i colpi dei gheddafiani. Sembra passato un secolo, ma anche i bombardamenti che ormai vanno avanti da un mese all’inizio erano stati esclusi dalle opzioni possibili: poi si era dovuta salvare Bengasi e non si è più smesso. Ieri la Casa Bianca ha approvato l’invio dei consiglieri ma ha ripetuto che non intende mandare suoi militari.
In realtà, gli istruttori si aggiungono a squadre occidentali già presenti con discrezione sul teatro di operazioni. Uomini della Cia e dei corpi speciali, ma anche semplici tecnici militari che aiutano con le comunicazioni.
Nella città di Misurata, dove ieri due giornalisti americani, Chris Hondros (candidato al Pulitzer) e Tim Hetherington (candidato all’Oscar per un suo documentario), sono morti centrati da un mortaio, la notizia dell’arrivo dei consiglieri è accolta con entusiasmo. “Vogliamo una forza di protezione qui in città ora”, dice al Times di Londra uno dei membri del Consiglio cittadino, Nour Abdulati. “Quando dicevamo che non volevamo l’intervento straniero, Gheddafi non ci stava bombardando con razzi e aerei da guerra. Ora vogliamo vedere francesi e inglesi combattere a fianco dei rivoluzionari libici”. Ismail Tabal, un settantenne in coda per la distribuzione di cibo, dice allo stesso giornalista: “Quando? Li vorremmo stasera alle sei”. L’Ue ha detto di essere pronta a mandare un contingente armato di mille uomini per proteggere l’arrivo degli aiuti alla città, e il regime di Tripoli ha fatto sapere che l’azione sarebbe considerata alla stessa stregua di un’invasione.
La presenza dei consiglieri stranieri creerà strane mescolanze. Londra spedisce un colonnello veterano della guerriglia nell’Helmand, l’area più violenta dell’Afghanistan, un ufficiale che ha visto mille battaglie contro i talebani e che ora potrebbe finire a lavorare con qualche ex nemico. Tra le file della guerriglia afghana ci sono – c’erano – anche volontari libici. Prima cercavano scampo dai raid della Nato in Afghanistan, ora in Libia forniscono agli stessi aerei le coordinate per bombardare i tank di Gheddafi. Un generale dei rivoltosi ucciso venerdì scorso, Abdul Monem Muktar Mohammed, mentre alla testa di un convoglio di 200 macchine guidava verso Ajdabiya, durante le persecuzioni di Gheddafi aveva cercato protezione assieme con molti connazionali sotto i talebani.
Nello stesso letto finiscono anche Londra e Doha. Gli inglesi vogliono alzare il livello di collaborazione con il Qatar, che sta fornendo armi avanzate ai ribelli libici.
Nessun commento:
Posta un commento