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domenica 22 aprile 2012

Fondamentale debellare il virus del protezionismo

di: Il Sole 24 Ore

Gli indizi di un risorgente protezionismo erano apparsi con chiarezza mesi addietro, quando un Rapporto dell'Ue mise in guardia contro i rischi derivanti da misure restrittive su export e appalti pubblici decise dai paesi emergenti. I Bric - Russia, Brasile, Cina e India - ne erano i principali responsabili, ma anche l'Argentina mostrava già di essere della partita. Con il 
perdurare della crisi internazionale gli emergenti sembrano decisi a chiudersi in difesa delle proprie risorse, nonché ad accelerare i programmi di industrializzazione e import substitution.
Perciò, di fronte alla recente nazionalizzazione di Ypf da parte della presidente argentina Kirchner, è difficile sfuggire a una sorta di déjà vu che induce a riesaminare l'esperienza del passato. Sebbene la presenza delle imprese italiane in Sudamerica risalga alla fine dell'Ottocento, negli anni fra le due guerre, i nuovi investimenti diretti all'estero furono sovente una reazione al ritorno del protezionismo e al naufragio della cooperazione fra Stati.


Fra i grandi gruppi italiani, Pirelli decise di attivare la produzione in loco nel Subcontinente per gli effetti attesi dalle nuove barriere doganali, e altrettanto fecero le concorrenti americane Goodyear e Firestone. In Argentina la presenza di imprese italiane trasse inoltre un forte impulso, alla fine degli anni '40, dagli ambiziosi piani per l'industrializzazione voluti da Peron, in particolare nella meccanica e della siderurgia. In quelle circostanze Agostino Rocca, ex grande manager della siderurgia di Stato, dopo aver lasciato l'Italia per il Sud America, avviò l'espansione della Techint, oggi uno dei più potenti gruppi industriali del Subcontinente. D'altra parte, il recente accordo fra Fiat e governo argentino per la produzione di macchine agricole tecnologicamente avanzate, tramite la controllata Cnh, ripercorre nelle linee di fondo il modello di intervento manifatturiero a suo tempo delineato dalla Fiat Concord, che venne creata per la produzione di trattori con una partecipazione di minoranza dello Stato argentino nel 1954.
Nei decenni '50 e '60, in uno scenario dominato dal bipolarismo politico Est-Ovest e segnato dalle nuove istanze dei paesi in via di sviluppo, le imprese italiane non mancarono di rispondere alle sollecitazioni che provenivano dai governi di quelle aree. In India, per esempio, l'impostazione dirigistica della politica economica nazionale, con i piani quinquennali, aveva dettato le regole per gli investimenti esteri in entrata con una politica altamente selettiva e dando la preferenza ad accordi di proprietà a maggioranza locale. Molte industrie strategiche furono inserite nel settore pubblico e si aumentarono incentivi finanziari per attrarre i progetti industriali anche di importanti imprese italiane come l'Olivetti.
Cosa insegnano queste esperienze? In generale, che l'acquisizione di una identità "nazionale" per i propri insediamenti in loco da parte delle grandi multinazionali manifatturiere, al fine di dare maggiori garanzie ai propri investimenti esteri, non è una novità, e può produrre vantaggi per l'impresa e il paese ospitante. Diverso è il discorso per le Pmi che sugli scenari internazionali devono essere doppiamente sostenute: da una rete finanziaria e informativa, nonché da una forte determinazione dell'autorità politica italiana ed europea.

A fare le spese di questa nuova fase di arroccamento degli Stati emergenti, ricchi di - o affamati di - materie prime e risorse energetiche come il petrolio, saranno infatti gli Stati europei e la Ue. Le nuove tendenze nazionalistiche che derivano da un'economia mondo divisa per "arcipelaghi" e continenti sono l'effetto dei nuovi scenari aperti dalla globalizzazione senza regole dei mercati che ha tratto impulso dalla fine della contrapposizione politica fra Est ed Ovest, dalla perdita di efficacia della leadership americana e dalla debolezza delle istituzioni internazionali come la Wto.
Perciò è quanto mai urgente una vera leadership politica europea che sappia approntare le azioni di difesa e intraprendere le innovazioni, innanzitutto con una politica energetica comune, per traghettare l'Europa fuori dalla secche del risorgente protezionismo mondiale.

Un corso per esorcisti «Il demonio è in azione»

di: Quotidiano.net

Bologna, 12 aprile 2012 - PRENDE il via lunedì la VII settimana di studio su ‘Esorcismo e Preghiera di liberazione’, organizzata dal Gris, Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa, in collaborazione conl’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Si tratta diun corso unico al mondo, per portata e approfondimento. Si terrà all’Istituto Veritatis Splendor in via Riva Reno 57. Per gli iscritti che ne facciano richiesta, è prevista la possibilità di pernottare presso la foresteria dell’Istituto. Per informazioni si può contattare il numero 051 6566289 o scrivere una mail all’indirizzo masters@gris.org. Padre François Dermine, padre domenicano canadese e docente di Teologia Morale, è stato per anni esorcista ufficiale in una diocesi italiana. 

Come è nata questa iniziativa e a chi è diretta?
«Il corso — spiega padre François-Marie Dermine OP, presidente del Gris — è nato constatando la reale esigenza della società. È diretto a tutti i sacerdoti, compresi quelli che non hanno intenzione di esercitare il ministero di esorcista, e anche ad alcuni laici, che presentino però adeguate motivazioni».



È vero che clero e vescovi faticano a credere nell’esistenza del demonio?

«In una certa parte del clero questa difficoltà c’è. Il Catechismo della Chiesa cattolica specifica che l’esistenza del demonio e della sua azione straordinaria sono un dato di fede». 



Perché questa mancanza di sensibilità verso l’esorcismo? 

«Deriva a monte dal modo in cui i sacerdoti oggi esercitano il loro ministero. Hanno sempre tanto da fare, corrono a destra e sinistra per fare fronte a tanti problemi, ma rischiano di trascurare il compito primario: l’accompagnamento spirituale, in cui non possono non emergere le problematiche derivanti dall’azione straordinaria del demonio».



Il corso serve ad aumentare questa sensibilità?

«Penso di sì, soprattutto perché appoggiato da un dicastero importante come quello della Congregazione per il clero». 



Bologna ha un esorcista ufficiale?

«No, nessun esorcista con incarico ‘permanente’, che abbia cioè la possibilità di decidere autonomamente se compiere o meno un esorcismo. Vengono dati incarichi di volta in volta per singoli casi. Personalmente sarei per un mandato ufficiale, ma è una decisione che spetta al vescovo».



Cosa succede nelle altre diocesi?

«Guardi, l’autonomia dell’esorcista è importante, ma se poi è abbandonato a se stesso non ce la fa. Anzi, diventa sempre più solo. Molte richieste di aiuto nascono dal bisogno di ascolto e conforto, o di sole preghiere di liberazione, che qualsiasi sacerdote sarebbe in grado di affrontare».



Il laico che impara a fare preghiere di liberazione può supplire alla mancanza di esorcisti? 

«No, c’è una dichiarazione ufficiale che vieta al laico anche la recita della preghiera a San Michele Arcangelo, redatta con formule imperative da Papa Leone XIII, salvo che la reciti per se stesso». 



Ma nei primi tre secoli, dice padre Gabriele Amorth, il decano degli esorcisti italiani, tutti i cristiani scacciavano i demoni con l’imperativo: ‘nel Nome di Cristo, vattene’. Perché oggi non più? 

«La Chiesa ha fatto bene a riservare la battaglia diretta all’esorcista, perché può sempre essere pericolosa. Il cristiano gode della protezione di Dio, ma l’esorcista, con il mandato ufficiale, ha alle spalle la preghiera della Chiesa: è preghiera ecclesiale».



Ma perché, se il Vangelo insegna che Cristo ha detto ai suoi discepoli di scacciare i demoni nel suo nome, questo può essere pericoloso?

«Qualsiasi laico può fare preghiere di liberazione, ma questa funzione si può prestare ad abusi e fanatismi; bisogna assicurarsi che siano fatte con equilibrio, per evitare di vedere il demonio dappertutto».