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giovedì 6 maggio 2010

"Assumo un impiegato ma solo piemontese"

di: ANTONIO GIAIMO - La Stampa.it (6 maggio 2010)

Una ditta di Scalenghe: «Deve parlare con gli allevatori della zona»

TORINO - Quando hanno ricevuto la richiesta all’Ufficio per l’impiego di Pinerolo sono sobbalzati. «Sarà un errore», hanno pensato. Si sono attaccati al telefono per verificare, capire, chiedere chiarimenti. Dall’altro capo lo stesso stupore: «Perché, che c’è di strano?». Di strano c’è che una piccola azienda di Scalenghe, che produce macchinari zootecnici e agricoli, ha urgente bisogno di un disegnatore esperto in progettazione, ma lo vuole piemontese o, almeno, capace di parlare il dialetto. E l’ha messo nero su bianco nella richiesta inviata al centro per l’impiego: «Cercasi disegnatore per la progettazione di stalle, con diploma o laurea. Preferibilmente piemontese».

Sui primi due requisiti niente da eccepire. Il terzo però - l’origine etnica - ha mandato in tilt il sistema dell’ufficio di collocamento, tant’è vero che ieri mattina, nella bacheca dove vengono affisse le offerte di lavoro, quella inviata dalla Ascai di Scalenghe non c’era. «L’abbiamo bloccata», spiega Renato Zambon, dirigente dell’ufficio pinerolese.

Non era accettabile. Fa a pugni con tutte le norme stabilite dal ministero del Lavoro, che prevedono pari opportunità nell’accesso all’impiego e non ammettono nemmeno distinzioni di sesso».

A Scalenghe sono rimasti di sasso. Il signor Dario Audisio - che con il fratello Pier Giorgio e il nipote gestisce questa piccola ditta che produce nastri trasportatori utilizzati nelle stalle per portare all’esterno il letame - allarga le braccia sconsolato: «Razzista? Io? Ma non scherziamo». Mostra il suo capannone, con gli operai al lavoro. È imbarazzato, avvilito. «Guardi, abbiamo 15 dipendenti: due sono stranieri e alcuni sono nati nel Sud Italia. Le sembriamo gente che discrimina?». È stato lui a scrivere la domanda e a inviarla all’ufficio di Pinerolo.

«È vero, abbiamo scritto che cercavamo un addetto e preferivamo parlasse piemontese, ma solo perché il disegnatore, una volta assunto, dovrà anche andare nelle aziende della zona e avere a che fare con clienti che spesso parlano meglio il piemontese dell’italiano. Non è una scelta politica; quelle rimangono fuori dal lavoro. Questa è un’esigenza pratica».

Ecco spiegato anche il perché, sempre nella stessa domanda, la Ascai ha inserito un’altra singolare richiesta: il dipendente dev’essere residente nelle campagne della zona. «Vero, ma anche qui non c’è nulla di “leghista”: in passato abbiamo assunto anche persone extracomunitarie, ma a volte abbiamo visto che dopo un po’ se ne andavano, lasciavano l’azienda per tornare nel paese d’origine. Un giovane della zona, invece, oltre a conoscere bene la nostra realtà, offre maggiori garanzie: è legato al territorio, vuole tenere qui le sue radici. Insomma, è più affidabile. Questo non è razzismo; è realismo».

Sarà, ma ai funzionari dell’Ufficio per l’impiego le spiegazioni del signor Audisio non sono bastate. L’annuncio è stato stralciato, la richiesta rispedita al mittente: così non si pubblica. «Abbiamo chiesto alla ditta di mandarcene una nuova che non contenga riferimenti a provenienza o etnie - racconta Zambon - Se lo faranno, la prossima settimana l’annuncio sarà inserito nella nostra banca dati».

Alla Ascai scuotono la testa. Dario Audisio non si stanca di ripeterlo: «Avremo forse altre colpe, commetteremo errori, ma non accusateci di essere razzisti. Spesso nelle ricerche del personale si richiede la conoscenza dell’inglese o del francese: non credo sia un vezzo, è un’esigenza dell’azienda. Ebbene, noi abbiamo bisogno anche di persone che sappiano parlare il piemontese, perché i nostri clienti sono allevatori e spesso si esprimono in dialetto. Che male c’è?».

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