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venerdì 9 novembre 2012

La fatica di Sisifo e quella degli italiani, condannati a rivivere la storia per l’eternità

da: Il Quintuplo - di Eugenio Cipolla


La verità è che la storia è un ciclo continuo. Non ci puoi fare nulla. Passato un determinato lasso di tempo si ripete. E’ un circolo vizioso, un interminabile riproporsi di eventi più o meno negativi. Prendete l’Italia, ad esempio. Dal 1861 a oggi questo paese è stato protagonista di un’involuzione culturale spaventosa. Centocinquanta anni fa siamo partiti con Garibaldi, con la cosiddetta Italia Liberale, con una Monarchia Costituzionale tuttavia discreta, con Crispi, Giolitti, Minghetti, La Marmora, Turati, Sturzo e Gramsci. Personaggi d’altri tempi, politici di alto spessore, protagonisti, nel bene o nel male, di un’Italia che nonostante tutto rappresentava un cantiere in crescendo.

Fino a quello sciagurato anno in cui ci piegammo ai voleri di un omuncolo tanto ambizioso quanto folle. Benito Mussolini arringava la massa con facili promesse, con l’impegno di ripulire un paese letteralmente in crisi, con un voto di fedeltà ai suoi elettori che ricorda tanto quello di chi oggi fa dell’antipolitica il suo punto di forza. Com’è andata a finire è noto a tutti. Nel tentativo di ripristinare una democrazia monca abbiamo creato una dittatura, diramato le leggi razziali, sterminato gli ebrei, negato il libero arbitrio a migliaia di persone, sganciato bombe su civili innocenti, rovinato l’immagine di un paese ricco di fascino e storia, demolendo letteralmente quel palazzo di ideali liberali che avevamo costruito con tanta fatica.

Ma non ci siamo persi d’animo. Nel ’48 siamo ripartiti. Abbiamo riscritto la Costituzione nella speranza di poter ripartire con i più ampi auspici democratici. Così ci siamo affidati ai partiti: Dc, Pci, Psi, Pri, Pli. Sbagliando. Non nel merito, piuttosto nel metodo. Un metodo che ha visto il popolo subalterno ai propri rappresentanti e non viceversa. Un metodo che, negli anni a venire, ha permesso al dualismo Dc-Pci, piuttosto blando e ipocrita, di dominare questo paese per quasi un trentennio. Il peccato originale, che oggi scontiamo, ossia quello del debito pubblico immenso, nasce da qui. Da una gestione allegra delle risorse statali di cui abbiamo goduto tutti, di cui hanno goduto i vostri  nonni, i vostri padri, le vostre madri, i vostri zii, attraverso un clientelismo ufficioso ma mai ufficiale.

Erano i tempi delle vacche grasse. Le ultime  le abbiamo fatte gestire a Bettino Craxi, in comproprietà con quello stesso sistema corrotto che al momento giusto scaricò su di esso tutte le colpe possibili e immaginabili. Caddero tutti, o quasi. Fine della prima Repubblica e tentativo, l’ennesimo, di rinnovare un paese che già allora aveva il proprio intestino in metastasi.

Così giunge il momento di Silvio Berlusconi, della rivoluzione liberale, dell’imprenditore sceso in campo per salvare il paese da una dittatura fin d’allora evidente. Lui è l’uomo nuovo, quello dei video messaggi, degli arredamenti moderni, delle librerie bianche dietro le spalle, delle foto con i figli sugli scaffali. E’ il primo a denunciare il sistema di potere creato dalla sinistra. Scuole, università, televisioni, ministeri, organi di garanzia costituzionale. Persino le cooperative sociali sono in mano loro. Vero? Falso? Verissimo.

Vince, poi perde, poi rivince, poi riperde e, infine, rivince. Si dice che il potere logora chi non ce l’ha. Nel caso di Silvio Berlusconi è l’esatto contrario. Il troppo potere, ahi noi, lo ha logorato. In giro si inizia a raccontare il suo eccesso di autoritarismo, le ingerenze con gli organi d’informazione statali (anche quelli in mano alla sinistra), la poca democrazia all’interno del suo movimento politico, il partito di plastica e chi più ne ha, più ne metta. In parte è vero, in parte no. Sta di fatto che con il tempo l’Italia agli occhi del mondo diventa una dittatura democratica, una di quelle simili alle repubbliche comuniste di Chavez e Putin.

La svolta non c’è nemmeno stavolta. L’uomo che poteva salvare il paese cade, vittima delle sue debolezze, della sua ingenuità, della sua bontà, della sua crudeltà, della spinta negativa di un’opinione pubblica facilmente influenzabile da tutto ciò che sente. Nel frattempo la sinistra mantiene il proprio inestimabile potere socio-politico-giudiziario-mediatico. In soldoni, nonostante non governi con in numeri in Parlamento, ha il paese in mano.

Così per togliersi di mezzo l’uomo debole permettono lo sbarco in politica di un comico, uno di quelli emarginati dal potere politico, un presunto perseguitato, un miliardario, l’ennesimo, che in ciabatte fa proclami su quanto sia povera la gente povera, un altro che promette pulizia in un paese malato terminale di corruzione da circa duemila anni, che urla e arringa le folle, che si arrabbia, si sbraccia, si mostra cattivo di fronte al malcostume dilagante. E’ bravo, molto. Bravo a convincere la gente sulla scia di una disperazione che sembra non avere fine, di una luce in fondo al tunnel ancora spenta, di un governo di banchieri che ha rapinato le famiglie e le imprese.

E’ la storia che si ripete, dunque. E’ il circolo vizioso che si ricomincia a girare da capo. Dall’anno zero, l’anno in cui dovrà cambiare tutto, ma che in realtà di cambiamenti ne vedrà pochi. Gli italiani ci stanno ricascando, affascinati come non mai dall’autoritarismo del singolo, dalla subalternità all’individuo che li dovrà governare, dalle facili promesse, dalla vacuità degli ideali, dalla frivolezze delle proposte. Ecco perché si meritano Grillo, ecco perché sono degni di rivivere da capo ogni singolo attimo negativo. Un po’ come Sisifo che, pensando di essere scaltro, fu condannato a ricominciare da capo la sua scalata ogni maledettisimo giorno senza mai riuscirci.

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