La Missione è quella di creare un'associazione tra la Comunicazione e la Cultura. Spesso questi due ambiti non si incontrano (il comunicatore non fa vera cultura e l'accademico non sa comunicare in modo efficace). Noi vorremmo far incrociare i due binari per portarli a formarne uno unico.

Vorremmo stimolare l'aspetto critico del fruitore, per comunicare cultura e per acculturare la comunicazione.

Questo Blog vuol essere un punto di riferimento per articoli d'informazione giornalistica-scientifico-culturale-economica.

Qui potrete trovare ogni tipo d'informazione e saremo lieti di stimolare un sano e doveroso dibattito per ogni singolo articolo, con il fine d'incrociare nel massimo rispetto di pareri ed opinioni diversi tra loro, per giungere così ad una proposta d'incontro tra i molteplici aspetti di una società multiculturale

venerdì 4 novembre 2011

La teologia del corpo secondo Giovanni Paolo II

da: Zenit



Convegno Internazionale all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

ROMA, giovedì, 3 novembre 2011 (ZENIT.org) - Nei giorni 9-11 novembre si terrà a Roma un Convegno Internazionale sulla Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II organizzato dalle facoltà di Teologia, di Filosofia e di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma (APRA).

Per conoscerne i contenuti e le finalità ZENIT ha intervistato uno degli ideatori e promotori del convegno, Padre Pedro Barrajón, L.C., Rettore dell’APRA.

Perché un convegno sulla Teologia del Corpo?
Barrajón: Questo convegno risponde a un mio desiderio che procede da molto tempo addietro. Otto anni fa ho preparato un corso di Licenza in Teologia sul tema Visione cristiana del corpo dove prendevo buona parte del materiale delle famose catechesi di Giovanni Paolo II sull’amore umano. Poi ho riproposto questo corso a studenti di bioetica e ho visto in tutti un grande interesse sul tema e sul modo di affrontare Giovanni Paolo II la questione dell’amore umano e del corpo. Per cui avevo pensato da tempo che sarebbe stato interesante organizzare a Roma un congresso internazionale dove si potesse raccogliere meglio l’eredità di Giovanni Paolo II in questo ambito. Questa mia idea la ho condivisa con i decani delle tre facoltà dell’Ateneo e con il Preside e il Coordinatore del Centro Studi del nostro Ateneo e ho trovato un totale appoggio da parte loro. Abbiamo preso l’occasione della beatificazione di Giovanni  Paolo II per organizzarlo nello stesso anno.

Quale è secondo lei la novità del contributo di Giovanni Paolo II?
Barrajón: Giovanni Paolo II, come ben sappiamo, era un uomo a cui il Signore aveva dato grandi talenti. Uno di essi era aver capito ciò che il concilio aveva chiamato, citando una frase di Gesù nel Vangelo, “i segni dei tempi”. Egli sentiva il bisogno di riproporre in modo nuovo la dottrina cattolica sull’amore umano che è strettamente legata alla teologia del corpo. Avendo avuto una notevole esperienza pastorale con le famiglie, nell’insegnamento dell’etica all’università, aveva potuto poi rifletterne lasciando scritti di unica finezza come Amore e responsabilità. Egli ha potuto guardare la teologia del corpo sotto ciò che egli chiama l’ermeneutica del dono, ha guardato la realtà come dono assoluto di Dio e sotto questa prospettiva della donazione considerare anche il valore del proprio corpo nell’alleanza matrimoniale.

Per alcune persone, queste catechesi sono molto difficili da leggere e da capire? Perché questa difficoltà e come superarla?
Barrajón: In effetti non è un linguaggio semplice. Ricordo bene che quando Giovanni  Paolo II diede inizio a queste catechesi io ero studente di filosofia a Roma all’Università Gregoriana. Veramente all’epoca io non me ne interessai affatto perché anche io le capivo bene. Ma dopo alcuni anni, una lettura d’insieme e con più formazione filosofica e teologia, le grandi intuizioni del Papa furono per me una grande rivelazione che servirono non soltanto per l’insegnamento ma per la pastorale. Per capirle meglio io raccomanderei qualche introduzione fatta da una persona competente o da qualche libro - adesso ce ne sono tanti - che possano dare una visione sintetica e spiegare i concetti portanti. Poi è interessante capire sin all’inizio il metodo proprio che Giovanni Paolo II seguì in queste catechesi.

Quale è questo la metodologia specifica dell’approccio del Papa?
Barrajón: Il Papa parte dalle parole del Vangelo, specialmente le parole di Cristo e cerca di capirle, inserendole in un contesto amplio dove emerge la profonda unità tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Queste parole sono poi interpretate alla luce della ragione ma anche dell’esperienza oggettiva. E qui entra, in un certo senso, il metodo fenomenologico che il Papa aveva studiato in autori come Max Scheler, usato come metodo - non come fine - per capire ciò che è essenziale all’essere umano, capace di esprimere e di dare amore, capace di essere vivere la vita che gli è stata donata come un supremo dono che egli deve a sua volta donare.

Come è organizzato il Convegno?
Barrajón: Il Convegno dura tre giorni. Il primo è un incontro dei partecipanti con il Santo Padre nell’udienza del mercoledì. La sera del primo giorno abbiamo un primo incontro soltanto i relatori per fare conoscenza diretta delle persone che interverranno e per ascoltare una relazione del prof. Michael Walstein, grande esperto in materia, il quale ci presentare una panoramica generale della situazione attuale della teologia del corpo. Il primo giorno, nel mattino, si tratteranno aspetti generali sul tema. Nel pomeriggio ci sono tre percorsi, uno più filosofico,un altro più teologico e una presentazione di papers. Poi ci sono testimonianze di esperienze pastorali fatte in diversi paesi (USA, Italia, Spagna, Austria, Francia, Irlanda, Canada, Messico…). Nel secondo giorno, durante il mattino ci sono aspetti più pastorali come l’impatto della teologia del corpo nella evangelizzazione o il corpo sofferente. Di pomeriggio ci sono due altri percorsi,  uno bioetico e l’altro pastorale. Finalmente si conclude con alcuni interventi che vanno nella direzione di capire quale può essere il futuro per la teologia del corpo nella Chiesa e nella società.

Nel programma del Convegno c’è anche l’intervento di Christopher West, la cui figura è controversa negli Stati Uniti per alcune sue spiegazioni e interpretazioni peculiari sulla teologia del corpo…
Barrajón: Sì, sarà presente Christopher West. Farà una relazione e poi anche una presentazione che ha avuto successo negli Stati Uniti sulla teologia del corpo chiamata Fill our Hearts. So che alcune sue espressioni hanno causato negli Stati Uniti una vivace polemica mediatica negli ambienti cattolici. Dall’altra parte so anche che egli ha affermato che è disposto a rivedere certe sue posizioni, se fosse necessario. Ma è anche indubbio il grande bene che ha fatto e che fa con i suoi libri e le sue conferenze. Noi l’abbiamo invitato perché crediamo che convegni come questi possono servire a tutti per confrontare le diverse posizioni, chiarirle se fosse necessario, è dialogare in spirito di ascolto reciproco.

Abbiamo visto molti relatori del  vostro Ateneo.

Barrajón: Più meno la metà dei relatori sono docenti nel nostro Ateneo. Abbiamo voluto che i nostri professori contribuissero all’approfondimento del pensiero del Papa Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo. Perciò alcuni dei nostri professori delle tre facoltà. Di teologia i Padri Thomas Williams, Giovanni Boer, Georges Woodall, P. Paolo Scarafoni e io stesso anche faccio una relazione introduttiva. Della facoltà di filosofia partecipano il José Antonio Izquierdo Labeaga e il Prof. Guido Traversa; della facoltà di bioetica, il decano, P. Gonzalo Miranda, P. Joseph Tham e la prof. ssa Giorgia Brambilla.

E gli altri, da quali Paesi provengono?
Barrajón: Abbiamo invitato ad un gruppo di relatori americani, dove la teologia del corpo è molto sviluppata: oltre a Michael Waldstein, verrà anche Christopher West, che avrà una presentazione speciale sul tema intitolata Fill our Hearts, Janet Smith, Katrina Zeno, P. Walter Schu, Dalla Francia vengono Mons. Jean Lafitte, Segretario della Pontificia Accademia per la Vita, don Pascal Ide, Xavier Lacroix e Yves Semen. Dalla Spagna, P. Ramón Lucas, docente di filosofia alla Gregoriana a anche al nostro Ateneo. L’on. Rocco Buttiglione, autore di un eccellente libro sulla filosofia di Karol Wojtyla, il prof. Mario Morcellini, preside della facoltà di sociologia dell’università La Sapienza di Roma e  la prof.ssa. Michaëla Liuccio della stessa facoltà, la prof.ssa Ales Belo, già decano di filosofia dell’università Lateranense e don Manlio Sodi, professore di Liturgia all’università Salesiana di Roma procedono dall’Italia. Polacco è Mons. Sygmund Zymonsky, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria. Dalla Cina partecipa Mons. Savio Hon, Segretario della Pontificia Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e dalla Germania, la prof. ssa Yvonne Dohna, docente di storia dell’arte all’università Gregoriana.

Quali sono i frutti che vi aspettate da questo Convegno?

Barrajón: Innanzi tutto fare il punto della situazione sullo stato della teologia del corpo, della sua comprensione e presentazione dopo più di trenta anni della sua apparizione e in questo anno della beatificazione del suo creatore, Giovanni Paolo II. Il fatto di poter dialogare tra esponenti provenienti di diversi ambiti e esperienze, confrontare diverse interpretazioni teologiche e pastorali è già un frutto importante. Mi auguro che il Convegno rafforzi le esperienze positive pastorali, aiuti ad approfondire la teologia dell’amore e l’antropologia cristiana e a mettere sempre di più la teologia del corpo al servizio della nuova evangelizzazione, della diffusione della fede e della pastorale matrimoniale e familiare.

L'Allegra Truffa delle Banche Centrali - IL SOGNO AMERICANO...e non solo.

da: nocensura.com

Il "divertentissimo" cartoon che non vedrete mai nelle TV di massa.



Dura 50 minuti, ma ne vale davvero la pena. Guardatelo. Se non potete ora, salvate la pagina nei preferiti e guardatelo quando avete tempo... basta guardare i primi 3 minuti x capire che è particolarmente particolare... 

Ho fatto due conti: lo Stato mi costa più di tre figli

da:Frews

Editoriale, di Giorgio Gibertini

Seguo con molta attenzione, ed in parte direi apprensione, quello che il nostro caro Manuel scrive per Frews sulla crisi economica, sugli investimenti, sul redditometro e via dicendo.
Conoscendo da una vita Manuel mi sento di dargli credito su molte affermazioni per tanti motivi. Primo fra questi non è un economista, cioè non è uno di quelli che ci ha ridotto in questo stato insomma. Secondo, e maggiormente importante, è un Padre di famiglia e, che ne sappia io, ha sempre nella vita sua studiato, poi lavorato inframezzando queste due attività con qualche immersione legale (non alla Gianfranco Fini per intendersi).
E' un padre di famiglia e questo basterebbe per renderlo ministro dell'Economia o meglio capo del Paese.
In questo periodo di fine dell'anno, quando ci si dovrebbe serenamente preparare al Natale già apparso sulle vetrine, mi sono messo a fare due conti e mi sono accorto che lo Stato mi costa come, se non di più, dei miei tre figli.
Non essendo bravo nei calcoli mi affido ai conti della serva
43 per cento di tasse, più un altro 10 per cento di Inpgi, più Irpef l'anno prossimo, più mutuo per la casa, più rate della macchina arrivo quasi al 70 per cento delle mie entrate. Caspita!
Mantengo i figli (e la famiglia) con solo il resto?
Certo, tutti sappiamo che se si può rinunciare a qualcosa lo si taglia da quel 30: inutile dire che non si può decidere di ridurre le tasse o non pagare l'Irpef...ma magari prendere i vestiti per i figli dalla sorella maggiore o in Parrocchia dalla Caritas, perchè no?
Lo Stato mi costa come i miei tre figli, anzi di più: e poi dicono che i figli costano....

Via D’Amelio, Scarantino: “Mi costrinsero a confessare con minacce e promesse”

da:il Fatto Quotidiano

Il "picciotto" della Guadagna, indicato da Salvatore Candura come mandante del furto della 126 dell'attentato a Paolo Borsellino, rivela di essere un "falso pentito". E racconta di torture subite in carcere e di istruzioni ricevute dai poliziotti per riempire i verbali, con la connivenza dei pm

La madre l’ha rinnegato, e non da ora. Nella borgata della Guadagna, come scrive tale Antonio Chinnici su Facebook, dicono “che si può impiccare da solo, fa prima”. E gli ergastolani scarcerati per lui hanno solo una domanda: “Chi ti ha detto di fare il mio nome?”. Ora Vincenzo Scarantino ha paura e non vuole uscire dal carcere, dove deve restare altri due anni. La libertà per lui è diventata un incubo, così come lo è stata la detenzione degli anni di Pianosa, dal ‘ 92 al ‘ 94, quelli in cui è maturato il suo falso pentimento. Era bastata mezz’ora di interrogatorio al pm di Palermo Alfonso Sabella per cacciarlo via, dopo avere raccolto l’improbabile confessione di Enzino “serial killer” che staccava la testa delle sue vittime con un taglierino. Ma su via D’Amelio, le parole del falso pentito, rese inossidabili dalla ragion di Stato, hanno scavalcato le montagne della logica, trovando accoglienza in tre sentenze timbrate dalla Cassazione.

Calligrafie femminili e “metodi forti”

EPPURE le pressioni che sarebbero state utilizzate per strappare una confessione impossibile, trasformando un piccolo manovale di borgata nel teste chiave della strage, erano state denunciate subito dai familiari, terrorizzati dalla vendetta mafiosa. La madre di Scarantino, la moglie e le altre donne della famiglia accusarono i poliziotti di aver messo in piedi, con Enzino, un’autentica “fabbrica di pentiti”: parlarono di verbali studiati a memoria, di riscontri sul territorio ottenuti grazie alle indicazioni degli agenti, riferirono di annotazioni scritte dagli inquirenti, a margine degli interrogatori, per istruire il teste su quanto avrebbe dovuto riferire in aula. E al processo saltarono fuori tre fogli di verbale, con annotazioni a mano di una calligrafia “femminile”, con suggerimenti ed aggiustamenti delle sue dichiarazioni. Lezioni di pentimento e “metodi forti”. Per convincere Enzino a parlare in carcere gli avrebbero dato “cibo scarso e con i vermi”, così confidò alla moglie il falso pentito durante un colloquio, lo avrebbero minacciato “di iniettargli il virus dell’Aids”, e “di impiccarlo”. Gli avrebbero reso la vita un inferno: in cella, fece sapere Scarantino tramite i familiari, aveva “il divieto di lavarsi e di dormire”, e quando riusciva a chiudere gli occhi lo svegliavano con “secchi d’acqua gelida lanciati addosso”. Denunciò sevizie e minacce, ma anche anche promesse di denaro e libertà: “La Barbera mi disse che mi sarei fatto solo qualche mese di galera e che mi avrebbe dato duecento milioni”, rivelò il picciotto della Guadagna alla sua prima ritrattazione, nel ‘ 98, quando confessò di avere raccontato balle apprese da Radio Radicale, perchè lui non sapeva neanche “dov’era via D’Amelio”. Lette a distanza di diciott’anni, alla luce della nuova indagine, quelle denunce delle donne di casa Scarantino, come abbiamo scritto ne “L’Agenda nera della seconda Repubblica” (Chiarelettere), anticipano dall’esterno le accuse mosse oggi dai tre ex collaboratori (Scarantino, Candura e Valenti) contro i poliziotti che li avrebbero manovrati nelle varie località segrete, e che attualmente sono indagati come autori del depistaggio in un’inchiesta in cui, come scrivono i pm nisseni, non sono stati finora trovati “sufficienti elementi di riscontro”. È la moglie di Scarantino, Rosalia Basile, a denunciare per prima che, al telefono, il marito le racconta che i poliziotti gli suggeriscono le parole per riempire i verbali e che i pm lo assecondano, pur sapendo che le sue “sono tutte bugie”, per tenere in piedi l’inchiesta.

“Un orsacchiotto con le batterie”

LE ACCUSE della donna finiscono in una lettera indirizzata a Silvia Tortora, paladina del garantismo, e sui giornali attraverso le parole di Tiziana Maiolo, deputato di Forza Italia. Poi Rosalia Basile è persino ospite di Enzo Biagi, nella trasmissione televisiva “Il fatto”. L’altalena di rivelazioni e retromarce di Scarantino raggiunge il culmine il 15 settembre 1998, quando il pentito, in aula a Como, ritratta ufficialmente tutte le sue accuse. Dice di aver studiato gli organigrammi di Cosa nostra su un libro scritto dal collaboratore Tommaso Buscetta (volume che gli sarebbe stato consegnato dai poliziotti) per dimostrare ai pm una profonda conoscenza della mafia. “Sono stato usato come un orsacchiotto con le batterie – dice – costretto con le minacce a prendere in giro lo Stato, in galera ho mangiato anche i vermi, le guardie mi dicevano che mentre ero in carcere mia moglie andava a battere, e facevano allusioni al suicidio di Gioè”. In aula, alla fine, l’ex collaboratore scoppia in lacrime: “Sono quattro anni che volevo dire la verità”. Accusa: “Il pm Palma mi disse che era meglio se all’appello arrivavo come definitivo, così sarei stato più convincente”. E conclude: “Sono innocente. Se muoio, è per ordini superiori della Squadra mobile di Napoli o Palermo. Io non ho intenzione di ammazzarmi”. Tutto cominciò pochi mesi dopo la strage di via D’Amelio, in quella fine estate del ‘ 92, con Salvatore Candura, che si autoaccusò falsamente del furto della 126, chiamando in causa, come mandante, Scarantino. Interrogato lo scorso anno, Candura non ha saputo indicare neppure dov’era parcheggiata l’auto: “Un semplice sopralluogo, all’epoca dei fatti – scrivono oggi i pm nelle 1300 pagine della memoria – avrebbe potuto contribuire ad accertare che Salvatore Candura non poteva essere il ladro”. Ma quel sopralluogo non fu mai fatto.