Tutta la storia dell’arte sembrerebbe, ad uno sguardo attento, un tentativo di interpretare i fenomeni che regolano e influenzano la vita dell’uomo sulla terra. Lo spazio, il tempo, il movimento, l’assenza – dimensioni ritenute scontate dalla mentalità comune – sono da sempre state delle mete agognate nella ricerca degli artisti. E tra i temi cruciali che hanno impegnato i protagonisti dell’arte di ogni tempo, quello della luce è stato forse il compito più difficile da portare a termine, superato solamente dai grandi della storia. In quest’ottica bisognerebbe infatti leggere l’anelito degli artisti bizantini del VI secolo a rivestire intere pareti delle chiese con mosaici di oro zecchino che, grazie alla luce esterna filtrata dalle finestre, creavano un maestoso effetto di riflessi luminosi, degno di una ‘dimora’ terrestre di Dio. E come chiamare, se non templi di luce, le maestose cattedrali gotiche che, per mezzo delle immense vetrate colorate e istoriate, creavano al proprio interno un caleidoscopico rimando di luce divina?
La peculiarità dell’uso della luce nella strutturazione dell’architettura viene approfondita, infatti, proprio nel Medioevo, dove ogni manifestazione della realtà veniva interpretata come immagine del divino. Così la luminosità diveniva segno concreto del manifestarsi del trascendente nella storia. E ancora nel ‘600, un genio assoluto come Caravaggio, che ha basato tutta la sua ricerca artistica sul tentativo di riprodurre il vero in ogni sua più intima piega, ha individuato nella luce lo strumento di indagine, mezzo di significazione esso stesso, immagine tangibile della grazia; luce che illumina avvenimenti che si pongono al limite tra il conoscibile e l’imponderabile. E ancora, percorrendo il corso dei secoli, incontriamo nell’800 uno dei movimenti che ha rivoluzionato l’approccio dell’arte alla realtà: l’Impressionismo. Tale movimento, decidendo di dipingere en plein air, ha infatti spostato l’attenzione dalla mimesi del reale alla percezione che si ha di questo attraverso la luce, per catturare, appunto, l’impressione che ne riceviamo. Dunque l’uscita dal chiuso dello studio all’aria aperta, sembrerebbe essa stessa una rivoluzione, uno studio su come ‘sentiamo’ le cose, piuttosto che su come le pensiamo. Facendo un paragone ardito, lo stesso mito della caverna di Platone, metafora del processo di liberazione dell’uomo dagli stereotipi per acquisire (o contemplare?) la vera conoscenza, non è altro che il volgere dello sguardo verso la vera luce, piuttosto che sulle ombre proiettate da questa sulle parete.
Dunque, sicuramente, dove c’è luce non c’è solo vita, ma c’è anche bellezza, verità e conoscenza. Non dimenticandoci inoltre, che il primo movimento significativo di avanguardia in Italia è stato il Futurismo, che ha fatto dello studio sulla luce, assieme a quello sul movimento, uno dei cardini della propria poetica, tanto che i suoi componenti non disdegnavano di nominarsi come Signori della luce.
La stessa invenzione della fotografia, che potrebbe sembrare una frattura insanabile nei confronti del modo tradizionale di fare arte, ne è forse la più logica conseguenza, non essendo altro che una ‘scrittura di luce’ (foto-grafia). Il riferimento alla Luce diviene, anche se in maniera indiretta, il tema centrale della 54° edizione della Biennale di Venezia (inaugurata una settimana fa) curata da Bice Curiger, che ha voluto intitolare ILLUMInazioni le sue scelte artistiche per la prestigiosa mostra. Titolo che ha subito riportato alla mente una frase del collezionista Panza di Biumo: “L’arte vissuta fino in fondo è maestra di vita, poiché ci insegna a vivere attraverso le sue illuminazioni”. E luce sia.
Nessun commento:
Posta un commento