Cerco di immedesimarmi nella complessità e nella contraddittorietà della situazione italiana, culturale, sociale, politica e, di riflesso anche ecclesiale, cercando di percepire il tipo di sfida che viene alla mia presenza di pastore, di guida di una comunità ecclesiale.
Ora è indubbio che come ho detto tante altre volte - ma mi sembra giustissimo ribadirlo – quella cui siamo di fronte è una gravissima crisi di carattere culturale. Culturale nel senso sostanziale della parola cultura, che io ho imparato congiuntamente da don Luigi Giussani e da Giovanni Paolo II: quella impostazione sostanziale della vita umana come senso, come significato, come bellezza, come giustizia, come bene. Questa cultura primaria – così la chiamava Giovanni Paolo II nell’indimenticabile allocuzione all’Unesco del 1° luglio 1980 - questa cultura di base è sostanzialmente sparita dal nostro paese.
Ed è anche l’occasione per dire che chi ha spazzato via la cultura del nostro popolo è questa specie di ideologia, blanda come formulazioni ma durissima come realizzazioni, che possiamo ascrivere a quel fermentare di posizioni massoniche, razionaliste, consumiste, comuniste (o meglio, materialiste) che sono ferreamente dominate dal massmediatico. I mass media – recuperando una bellissima immagine di Benedetto XVI in Germania – hanno fatto piovere sulla nostra fede e sul nostro popolo la pioggia acida di questa ideologia del massmediaticamente corretto.
E’ un vuoto, è un vuoto che si ammanta di perbenismo, di rispettabilità, di sviscerata devozione alle istituzioni sociali da cui deriverebbero tutti i diritti. In pratica siamo tornati all’assolutismo di stato, all’assolutismo della società, i diritti non sono recepiti dall’uomo nell’ambito della sua coscienza nel confronto aperto con il mistero, con Dio. No, i diritti sono quelli che la società riconosce, promuove. Ecco quindi servito Benedetto XVI con i suoi valori non negoziabili. L’abolizione dei cosiddetti valori non negoziabili, così come formulati dal Papa, sarà di fatto il fil rouge dei programmi di tutte le formazioni socio-politiche, soprattutto quelle che si collocano o si collocheranno a sinistra. E non ci si illuda di perseguire così il bene comune. Il bene comune - che è una realtà ampia e variegata che si attua in certe precise condizioni di carattere sociale - è l’espressione di un cuore più profondo. E Il cuore più profondo sono i valori non negoziabili.
C’è dunque un disagio, che è un disagio fortissimo, perché mancando la cultura mancano gli uomini, mancano le personalità capaci di assumersi le proprie responsabilità, capaci di dare giudizi, capaci di porre azioni conseguenti.
La politica è una miseria, ma quale altro campo della nostra vita culturale e sociale non mostra questa miseria? Questa assenza di personalità significative, questo morire ogni giorno nella polemica politica o culturale nella banalità della cosiddetta vita privata che diventa, per gli uni e per gli altri senza molta differenza, una questione di Stato.
Allora io credo che la Chiesa debba rifuggire la tentazione di intervenire velocemente per cercare di risolvere velocemente le cose. Questi non sono problemi che si risolvono velocemente, queste crisi hanno bisogno di un lungo processo educativo . E il processo educativo non si fa con le autostrade, il processo educativo si fa camminando per sentieri, salendo greppi – come dicono nei posti dove sono vescovo -, faticando giorno dopo giorno perché la cultura di base che la Chiesa propone diventi forma della personalità, riferimenti valoriali ultimi, obiettivi personali, familiari, sociali. L’educazione non si improvvisa e soprattutto non è frutto di qualche slogan ben detto o di qualche pubblicazione di grande o di piccolo respiro. Dobbiamo tornare a educare il nostro popolo a partire dalla fede in modo che il fenomeno della evangelizzazione diventi educazione, l’educazione diventi formazione di personalità.
Certo, la società è in crisi nel suo aspetto politico, ma la società non è forse in crisi nel suo aspetto familiare? La crisi sociale è un aspetto di questa impressionante crisi familiare per cui le famiglie, distrutte nella maggior parte della loro realtà, sono incapaci di dare ai giovani e ai più giovani degli orientamenti sicuri per vivere, e quindi quelle ragioni per vivere senza la formulazione delle quali non esiste possibilità di educazione.
Il compito è formare un popolo di laici che si assumano poi la responsabilità dei giudizi e delle azioni conseguenti; si deve fuggire la tentazione di creare un popolo o un pseudo popolo di credenti che poi accetti di essere telecomandato dall’ecclesiasticità nei punti di maggiore responsabilità. Non dobbiamo in nessun modo sostituirci ai laici nell’impresa totalmente loro di portare dentro una società come la nostra il loro contributo originale di intelligenza, di passione, di educazione, di capacità costruttiva.
Io credo che sia una grande sfida. Non possiamo disperderci su altre sfide pretendendo che noi siamo sfidati nel campo delle indicazioni alla soluzione dei problemi concreti sociali e politici, o che siamo sfidati nella individuazione di strategie a breve o lungo termine per la soluzione dei problemi socio-politici. Noi siamo sfidati sull’essenza della nostra identità, della nostra missione. Giovanni XXIII ha detto che se la Chiesa non è maestra non è neanche madre, se è madre non può che essere maestra. E’ una strada, lunga ma affascinante, lungo la quale è possibile incontrare persone vicine o lontane, ma che sono disponibili alla conversione dell’intelligenza e del cuore.
Sembra un discorso astratto? Credo ci sia una parte dell’ecclesiasticità che sbufferà sentendo queste cose come se queste cose fossero astratte. Ma questa è l’astrazione che cambia la storia. La concretezza di tanti, anche cattolici, finisce per morire nella storia.
Ed è anche l’occasione per dire che chi ha spazzato via la cultura del nostro popolo è questa specie di ideologia, blanda come formulazioni ma durissima come realizzazioni, che possiamo ascrivere a quel fermentare di posizioni massoniche, razionaliste, consumiste, comuniste (o meglio, materialiste) che sono ferreamente dominate dal massmediatico. I mass media – recuperando una bellissima immagine di Benedetto XVI in Germania – hanno fatto piovere sulla nostra fede e sul nostro popolo la pioggia acida di questa ideologia del massmediaticamente corretto.
E’ un vuoto, è un vuoto che si ammanta di perbenismo, di rispettabilità, di sviscerata devozione alle istituzioni sociali da cui deriverebbero tutti i diritti. In pratica siamo tornati all’assolutismo di stato, all’assolutismo della società, i diritti non sono recepiti dall’uomo nell’ambito della sua coscienza nel confronto aperto con il mistero, con Dio. No, i diritti sono quelli che la società riconosce, promuove. Ecco quindi servito Benedetto XVI con i suoi valori non negoziabili. L’abolizione dei cosiddetti valori non negoziabili, così come formulati dal Papa, sarà di fatto il fil rouge dei programmi di tutte le formazioni socio-politiche, soprattutto quelle che si collocano o si collocheranno a sinistra. E non ci si illuda di perseguire così il bene comune. Il bene comune - che è una realtà ampia e variegata che si attua in certe precise condizioni di carattere sociale - è l’espressione di un cuore più profondo. E Il cuore più profondo sono i valori non negoziabili.
C’è dunque un disagio, che è un disagio fortissimo, perché mancando la cultura mancano gli uomini, mancano le personalità capaci di assumersi le proprie responsabilità, capaci di dare giudizi, capaci di porre azioni conseguenti.
La politica è una miseria, ma quale altro campo della nostra vita culturale e sociale non mostra questa miseria? Questa assenza di personalità significative, questo morire ogni giorno nella polemica politica o culturale nella banalità della cosiddetta vita privata che diventa, per gli uni e per gli altri senza molta differenza, una questione di Stato.
Allora io credo che la Chiesa debba rifuggire la tentazione di intervenire velocemente per cercare di risolvere velocemente le cose. Questi non sono problemi che si risolvono velocemente, queste crisi hanno bisogno di un lungo processo educativo . E il processo educativo non si fa con le autostrade, il processo educativo si fa camminando per sentieri, salendo greppi – come dicono nei posti dove sono vescovo -, faticando giorno dopo giorno perché la cultura di base che la Chiesa propone diventi forma della personalità, riferimenti valoriali ultimi, obiettivi personali, familiari, sociali. L’educazione non si improvvisa e soprattutto non è frutto di qualche slogan ben detto o di qualche pubblicazione di grande o di piccolo respiro. Dobbiamo tornare a educare il nostro popolo a partire dalla fede in modo che il fenomeno della evangelizzazione diventi educazione, l’educazione diventi formazione di personalità.
Certo, la società è in crisi nel suo aspetto politico, ma la società non è forse in crisi nel suo aspetto familiare? La crisi sociale è un aspetto di questa impressionante crisi familiare per cui le famiglie, distrutte nella maggior parte della loro realtà, sono incapaci di dare ai giovani e ai più giovani degli orientamenti sicuri per vivere, e quindi quelle ragioni per vivere senza la formulazione delle quali non esiste possibilità di educazione.
Il compito è formare un popolo di laici che si assumano poi la responsabilità dei giudizi e delle azioni conseguenti; si deve fuggire la tentazione di creare un popolo o un pseudo popolo di credenti che poi accetti di essere telecomandato dall’ecclesiasticità nei punti di maggiore responsabilità. Non dobbiamo in nessun modo sostituirci ai laici nell’impresa totalmente loro di portare dentro una società come la nostra il loro contributo originale di intelligenza, di passione, di educazione, di capacità costruttiva.
Io credo che sia una grande sfida. Non possiamo disperderci su altre sfide pretendendo che noi siamo sfidati nel campo delle indicazioni alla soluzione dei problemi concreti sociali e politici, o che siamo sfidati nella individuazione di strategie a breve o lungo termine per la soluzione dei problemi socio-politici. Noi siamo sfidati sull’essenza della nostra identità, della nostra missione. Giovanni XXIII ha detto che se la Chiesa non è maestra non è neanche madre, se è madre non può che essere maestra. E’ una strada, lunga ma affascinante, lungo la quale è possibile incontrare persone vicine o lontane, ma che sono disponibili alla conversione dell’intelligenza e del cuore.
Sembra un discorso astratto? Credo ci sia una parte dell’ecclesiasticità che sbufferà sentendo queste cose come se queste cose fossero astratte. Ma questa è l’astrazione che cambia la storia. La concretezza di tanti, anche cattolici, finisce per morire nella storia.
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